Il fatto
La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, in accoglimento della richiesta di concordato ex art. 599-bis c.p.p., aveva rideterminato la pena inflitta all’imputato, per i capi 1), 2), 3), 4) e 5) D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, in 2 anni ed Euro 10.000,00 di multa, quale aumento per la continuazione rispetto ai reati di cui alla sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il suddetto provvedimento, proponeva ricorso per Cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, deducendo il seguente motivo: vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 157 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4 e si eccepiva al contempo, con riferimento al capo 2) della sentenza impugnata, il decorso del termine di prescrizione di anni 7 e mesi 6.
Secondo il ricorrente, infatti, la Corte di appello, nonostante l’accordo ex art. 599-bis c.p.p., avrebbe dovuto dichiarare estinto per prescrizione il reato sub capo 2), con sentenza ex art. 129 c.p.p., avendo avuto ad oggetto la cessione hashish e non cocaina.
Dalle sentenze impugnate, in particolare, emergeva come il ricorrente avesse reso dichiarazioni spontanee confessorie con le quali aveva chiarito che la sostanza ceduta fosse hashish e non cocaina: tale circostanza troverebbe riscontro nei fatti contestati al ricorrente al capo 3) dell’imputazione relativi alla cessione di un rilevante quantitativo di hashish e marijuana e nella sentenza emessa dalla Corte di Appello di Roma con la quale, giudicato separatamente con riferimento all’episodio de quo, costui era stato ritenuto responsabile della detenzione ai fini di cessione di 200 gr. di sostanza stupefacente di tipo hashish.
Si chiedeva quindi di annullare senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento al capo 2) dell’imputazione in quanto il reato estinto per prescrizione e di escludere la relativa pena.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
L’udienza dinanzi alla Corte di cassazione fissata per questo giudizio veniva rinviata per il legittimo impedimento del difensore.
Premesso ciò, l’avviso per l’udienza odierna era stato spedito e notificato a questo legale ma la cancelleria nella stessa data aveva notificato l’avviso anche ad altro avvocato, e ciò veniva fatto per mero errore poiché tale difensore aveva difeso il ricorrente in altro processo.
Subito dopo la rinuncia al mandato difensivo da parte del difensore di fiducia era stata depositata presso la Corte di cassazione il 1 ottobre 2019.
Pertanto, si riteneva come il rapporto processuale fosse stato correttamente instaurato.
Ciò posto, il Supremo Consesso ribadiva il principio di diritto (cfr. Sez. 3, n. 31952 del 20/09/2016) secondo il quale, nel giudizio di cassazione, la rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia, al quale sia già stato notificato l’avviso di udienza, non ha effetto con riferimento a tale udienza, che può essere ritualmente celebrata, essendo il difensore rinunciante ancora onerato della difesa dell’imputato fino alla eventuale nomina di un difensore di ufficio in guisa tale che ne consegue che l’assenza del difensore di fiducia all’udienza non comporta l’obbligo di nominarne uno d’ufficio al ricorrente, né costituisce condizione ostativa alla regolare celebrazione del processo di legittimità.
Chiarito tale aspetto procedurale, gli Ermellini ritenevano come il ricorso in questione fosse inammissibile.
Si faceva presente a tal proposito prima di tutto come, in seguito della reintroduzione del concordato in appello, rivivessero i principi elaborati dalla giurisprudenza e, dunque,
la questione dedotta concerneva in primo luogo la qualificazione giurisprudenza del reato sub 2).
Premesso ciò, si evidenziava come andasse ribadito il principio espresso dalla Sez. 4, nella decisione n. 53565 del 27/09/2017, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte dall’art. 599 c.p.p., comma 4, non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione.
Tal che se ne faceva conseguire, in applicazione del principio, in primo luogo, come fosse inammissibile il ricorso dell’imputato rinunciante ai motivi di appello in punto di qualificazione del reato e, in secondo luogo, come non fosse possibile, in sede di legittimità, a seguito del concordato in appello, dare al reato di cui al capo 2 una qualificazione giuridica diversa rilevandosi contestualmente che l’inammissibilità del ricorso determinava anche l’impossibilità di rilevare l’eventuale prescrizione maturata prima della sentenza di appello citandosi a tal riguardo la sentenza delle Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, per cui: “L’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi dell’art. 129 c.p.p. e art. 609 c.p.p., comma 2, l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata nè eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso. (In motivazione la Corte ha precisato che l’art. 129 c.p.p. non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione)”.
Conclusioni
La decisione in questione è assai interessante nella parte in cui è postulato che nel giudizio di cassazione, la rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia, al quale sia già stato notificato l’avviso di udienza, non ha effetto con riferimento a tale udienza, che può essere ritualmente celebrata, essendo il difensore rinunciante ancora onerato della difesa dell’imputato fino alla eventuale nomina di un difensore di ufficio in guisa tale che ne consegue che l’assenza del difensore di fiducia all’udienza non comporta l’obbligo di nominarne uno d’ufficio al ricorrente, né costituisce condizione ostativa alla regolare celebrazione del processo di legittimità.
Orbene, pur essendo tale criterio ermeneutico già oggetto di un precedente giudiziale (cfr. Sez. 3, n. 31952 del 20/09/2016), chi scrive, perlomeno per i procedimenti che non si celebrano in camera di consiglio, ritiene tale principio di diritto lesivo del diritto di difesa che viene ad essere sacrificato proprio per il fatto che, in assenza del difensore di fiducia, l’imputato non viene assistito nemmeno dal difensore d’ufficio.
Si ritiene infatti un tale approdo ermeneutico chiaramente lesivo dell’art. 24 della Cost. tenuto conto altresì del fatto che l’art. 613, c. 1, secondo capoverso, c.p.p. dispone che davanti alla Corte di Cassazione le parti sono rappresentate dai difensori.
Pertanto, ove dovesse persistere questo orientamento nomofilattico, sarebbe auspicabile che venisse sollevata una questione di legittimità costituzionale in relazione a questa norma procedurale tenuto conto che, appunto, l’art. 24, c. 1, Cost. definisce il diritto di difesa (e dunque anche la difesa tecnica) inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (e di conseguenza anche quello che si svolge dinnanzi alla Corte di Cassazione).
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