Il caso
Nel caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione la ricorrente, non abilitata all’esercizio della professione forense, era stata condannata, all’esito del giudizio abbreviato (condanna confermata dalla Corte di Appello) per il reato di esercizio abusivo della professione e truffa aggravata ai danni di Tizio e Caio per aver speso il titolo di avvocato per trattare la liquidazione di un sinistro stradale incassando, successivamente, i relativi assegni.
I motivi di ricorso
Per quanto di interesse la difesa della ricorrente ha dedotto la violazione di legge il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 348 c.p.
In particolare si dubita della corretta applicazione, da parte della Corte d’appello, dei principi fissati dalla Corte di Cassazione Sez. Un. n. 11545 del 15.12.2011 secondo cui “integra il reato di esercizio abusivo di una professione ex art. 348 c.p. il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato”.
In particolare la sentenza ha ritenuto la continuatività sulla base della durata dell’assistenza legale presentata al denunziante in contrasto con le indicazioni della giurisprudenza di legittimità e ha omesso la motivazione sul requisito della sistematicità ed, infine, ha giustificato l’asserita ricorrenza del requisito dell’organizzazione con riferimenti incongrui alla delega sottoscritta da Tizio e alla falsa procura speciale senza considerare che siffatto elemento non può che connotare l’attività sul piano dei mezzi impiegati nel suo svolgimento e non l’atto compiuto.
La decisione della Corte
La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo infondato e ha rigettato il ricorso.
La Suprema Corte, partendo dal richiamo alla pronuncia delle Cass. pen., Sez. Unite n. 11545/2011 (il cui principio di diritto, secondo la ricorrente, sarebbe stato stravolto), ha evidenziato che i giudici di merito hanno correttamente ritenuto sussistente il delitto di cui all’art. 348 c.p. anche in ragione di quanto disposto dalla l. 31 dicembre 2012, n. 247 “che disciplina l’ordinamento della professione forense e all’art. 2, comma 6, espressamente prevede la competenza degli avvocati in relazione all’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, “se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato”.
Secondo la Corte, infatti, nel caso in esame, anche alla luce di quanto statuito dalla Legge Professionale Forense, il reato sarebbe pienamente configurabile in quanto la ricorrente, pur avendo seguito solo due pratiche, ha svolto per quasi tre anni un’attività legale e si era, comunque, accreditata verso i proprio clienti quale avvocato esperto del settore e solo per circostanze non attribuibili alla volontà della ricorrente ha appreso dell’insussistenza di un titolo abilitativo da parte del suo legale.
Per quanto attiene, invece, all’indice dell’organizzazione, secondo la Corte esso “deve essere apprezzato sinergicamente con il requisito della continuità o sistematicità, di cui costituisce un predicato concernente una seppur rudimentale strutturazione dell’attività professionale abusiva, non identificabile necessariamente con la disponibilità di uno studio “legale” ovvero di un apparato strumentale che la sostenga”.
Sulla scorta di tali principi, pertanto, la Corte di Cassazione ha concluso sostenendo che, nella specie, l’abusiva e diffusa spendita dell’inesistente titolo professionale, accompagnata dallo svolgimento di una protratta attività di consulenza e mediazione legale con le controparti fino alla liquidazione dei danni relativi ai due sinistri denunziati – i cui importi sono stati incassati anche in forza di una procura speciale falsa all’uopo formata – danno conto della sussistenza della fattispecie ascritta, essendo stata l’attività illecita sostenuta dall’artificiosa creazione e dal successivo mantenimento di un rapporto fiduciario con i denunzianti, avente le caratteristiche di continuità, onerosità e prestazione di mezzi e asserite competenze tipiche dell’esercizio della professione legale.
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