La facoltà di astensione dalla deposizione ex art. 199 c.p.p. si applica anche alle coppie di fatto

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 Il caso

Il Tribunale di Imperia assolveva, perché il fatto non sussiste, due imputati dal reato di cui all’art. 372 c.p.

Secondo l’accusa, i due, sentiti come testimoni nel dibattimento a carico di un altro soggetto per violenza sessuale ai danni di un minorenne, avevano dichiarato il falso negando alcune circostanze della vicenda con lo scopo di alleggerire la posizione dell’imputato. Il Tribunale giungeva all’assoluzione in virtù dell’art. 199 c.p.p. con riferimento alla situazione di convivenza di fatto tra persone dello stesso sesso.

II giudice monocratico evidenziava, in particolare, che nel corso del dibattimento gli imputati non avevano ricevuto, ai sensi dell’art. 199 c.p.p. l’avviso della facoltà di non deporre pur essendo acclarato che gli odierni imputati, allora testi, erano stati o erano all’epoca della deposizione, conviventi more uxorio con l’imputato del reato di violenza sessuale.

Secondo il giudice anche prima della novella del 2017, esecutiva della legge cd. Cirinnà n. 76 del 2016 sulle unioni civili, i conviventi anche omosessuali avrebbero goduto de facto della facoltà di astensione ai sensi dell’art. 199 c.p.p. previo diritto di avviso. Da tale violazione deriverebbe la non configurabilità del delitto di cui all’art. 372 cod. pen. a carico degli imputati.

Il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per cassazione osservando che la norma applicata dal giudice monocratico per addivenire ad una pronuncia assolutoria è disposizione processuale e non penale sostanziale per la quale trova applicazione il principio tempus regit actum.

Di conseguenza le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 6/2017 (che hanno esteso l’applicabilità dei commi 1 e 2 dell’art. 199 c.p.p. anche alle situazioni di convivenza derivante da unione civile tra persone dello stesso sesso), non potevano trovare applicazione negli anni 2011/2013, allorché la legge sulle unioni civili n. 76/2016 non era vigente.

Nella fattispecie concreta, inoltre, non vi sarebbe prova evidente – in forza della sentenza di primo grado del Tribunale di Imperia in cui hanno deposto i due attuali imputati – del regime di convivenza di fatto tra ciascuno di essi con l’imputato in tempi diversi.

La decisione della Corte

La Suprema Corte rileva, in primo luogo, che il reato di falsa testimonianza ascritto ai ricorrenti è stato commesso in data 22/01/2013, allorquando, sentiti come testimoni nel processo a carico di un imputato per il reato di cui all’art. 609 bis c.p., non avevano ricevuto l’avviso di cui all’art. 199 comma 3 c.p.p. della facoltà di astenersi dal deporre.

Il giudice monocratico aveva assolto gli imputati applicando la causa di non punibilità di cui all’art. 384 comma 2 c.p. facendo applicazione del principio fissato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “non integra il reato di falsa testimonianza la dichiarazione non veritiera resa da persona che non possa essere sentita come testimone o abbia facoltà di astenersi dal testimoniare, ma non ne sia stata avvertita, a nulla rilevando le finalità e i motivi che l’abbiano indotta a dichiarare il falso” (Cass. Sez. U, 29/11/2007, n. 7208).

Il Pubblico Ministero ricorrente sostiene, invece, che l’estensione dell’obbligo di informare il teste convivente more uxorio sarebbe intervenuta soltanto a seguito della riforma introdotta dalla cd. legge Cirinnà e dal regolamento attuativo della medesima, mentre all’epoca dei fatti contestati, l’originaria formulazione ne escludeva l’applicazione estensiva alle coppie omosessuali non rientranti nella categoria giuridica della famiglia come riconosciuta dall’art. 29 Cost. (famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio), né della famiglia di fatto composta da due persone dello stesso sesso.

Invero, già il legislatore, nel prevedere la facoltà del coniuge di astenersi dal deporre “limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall’imputato durante la convivenza coniugale”, aveva ritenuto di equiparare la convivenza more uxorio al vero e proprio rapporto di coniugio (art. 199 comma 3 lett. a) e b) c.p.p).

Il riconoscimento normativo della situazione di convivenza tra persone dello stesso sesso è avvenuto con la legge sulle unioni civili n. 76/2016.

Cionondimeno, la Corte di Cassazione rileva che un consolidato orientamento giurisprudenziale aveva apprestato in via interpretativa tutela anche ad altre forme di unioni familiari quali le convivenze di fatto, o altre unioni o comunità a prescindere dai rapporti di coniugio e non legate da vincolo giuridico, con tale intendendosi qualunque relazione stabile che, per la consuetudine e la qualità dei rapporti creati all’interno di un gruppo di persone, implichi l’insorgenza, per un apprezzabile periodo di tempo, di vincoli affettivi, solidarietà, protezione reciproca e aspettative di mutua assistenza, assimilabili a quelli tradizionalmente propri del gruppo familiare, oggetto della tutela penale.

La convivenza di fatto può riguardare quelle persone, omosessuali o eterosessuali, che hanno deciso di non contrarre matrimonio, né di sancire il loro legame attraverso l’unione civile, che sono meritevoli di tutela rispetto a determinati aspetti della vita.

L’istituto delle unioni civili è stato concepito per la tutela delle coppie omosessuali che a lungo sono state destinatarie di un trattamento diverso rispetto alle coppie eterosessuali, non essendo prevista in precedenza nessuna tutela specifica, ma in favore delle quali veniva riconosciuto che sono libere di vivere liberamente una condizione di coppia (sent. n. 138/2010 Corte Cost.) nel novero delle formazioni sociali protette dall’art. 2 Cost.

Con la sent. n. 170 del 2014 la Corte Costituzionale invitava il legislatore a individuare forme di riconoscimento e garanzia per le coppe omosessuali di vivere liberamente la loro condizione di coppia.

La legge sulle unioni civili ha normativizzato il riconoscimento delle cd. nuove famiglie garantendo nel solco della giurisprudenza costituzionale ed europea il diritto alla vita familiare (art. 8 CEDU) ed a vivere liberamente la loro condizione di vita di coppia (art. 2 Cost.) nell’ottica di valorizzazione dei diritti dei singoli di organizzarsi liberamente a livello familiare, fornendo rilievo costituzionale e quindi necessità di tutela, a forme di convivenza diverse da quelle tradizionali.

Alla luce delle riflessioni fin qui svolte, i dichiaranti, che siano persone conviventi o che hanno convissuto con l’imputato, devono essere destinatari dell’avviso di cui all’art. 199 c.p.p. tenuto conto che la causa di non punibilità di cui all’art. 384 comma 2 c.p. costituisce norma di carattere penale ovvero sostanziale che ha trovato nelle previsioni recate dall’art. 2 comma 1 lett. a) D.Lgs. 6/2017 e, dunque, per i conviventi in forza di unione civile tra persone dello stesso sesso, una mera esplicazione.

La norma di garanzia a favore dei dichiaranti (rectius l’avviso) nel caso di persone conviventi o che abbiano convissuto si applica, peraltro, limitatamente ai fatti verificatisi ovvero appresi durante la convivenza.

Sulla base delle predette argomentazioni il Collegio ha ritenuto che la sentenza impugnata ha argomentato correttamente sulla ricorrenza del rapporto di convivenza temporalmente collocato nel periodo che va dal 2001 al 2016 e sulla conoscenza, derivante dal rapporto di convivenza dei fatti sui quali l’imputato era chiamato a deporre. Ne consegue il rigetto del ricorso del P.M.

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Avv. Mazzei Martina

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