Il diritto del condomino di aprire una finestra sulla facciata comune per dare maggior luce ed aria al proprio appartamento prevale sul diritto alla privacy del condomino confinante

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Tribunale di Roma, sentenza del 19.11.19

Il fatto

La proprietaria di un appartamento facente parte di un condominio, lamentava che la confinante avesse aperto una portafinestra nel proprio appartamento e realizzato dinanzi a detta porta-finestra un balcone di forma trapezoidale che insisteva sul chiostro condominiale. In particolare, l’attrice lamentava che detta costruzione avesse leso il suo diritto di proprietà, perché violava i limiti legali stabiliti dal codice civile in materia di vedute e di distanze, posto che la convenuta aveva la possibilità di affacciarsi sul balcone a guardare all’interno dell’appartamento di sua proprietà ed in particolare nel bagno. Inoltre, parte attrice motivava la propria posizione sostenendo che il balcone ledeva altresì la sua privacy. In considerazione di ciò, aveva chiesto al giudice romano di ordinare che il balcone venisse demolito e che la convenuta venisse condannata al risarcimento dei danni.

La proprietaria dell’appartamento dove era stato realizzato il balcone oggetto di causa, si costituiva in giudizio sostenendo che tale manufatto era già stato realizzato molti anni prima e che ella aveva acquistato l’appartamento con il balcone già annesso ed evidenziava come in ogni caso dovesse tenersi in considerazione che il balcone si trovava in seno ad un condominio. La convenuta evidenziava inoltre che si era configurata una servitù di veduta per usucapione, in considerazione del fatto che il balcone era stato realizzato da oltre vent’anni prima dell’inizio della causa.

La decisione del Tribunale

Il tribunale di Roma ha preliminarmente rilevato come il balcone fosse stato realizzato all’interno di un condominio e come entrambe le parti fossero proprietarie di appartamenti facenti parte del medesimo, conseguentemente come il manufatto oggetto di contestazione incidesse su beni comuni (cioè la facciata dell’edificio condominiale).

Per quanto riguarda il primo motivo su cui si fonda la domanda introdotta da parte attrice, il giudice lo ha ritenuto infondato, in considerazione del fatto che, attraverso la costruzione del balcone e della portafinestra, non è stata realizzata alcuna nuova veduta a danno di parte attrice. Secondo il giudice romano, infatti, si può parlare di veduta soltanto nel caso in cui l’apertura realizzata, oltre che di vedere e guardare frontalmente, permette ad una persona di media altezza anche di affacciarsi e quindi di guardare in maniera laterale ed obliqua sul fondo altrui.

Nel caso oggetto di controversia, invece, il balcone ha permesso soltanto di avvicinare l’apertura realizzata dalla convenuta sulla facciata, la quale però deve essere qualificata come luce in considerazione del fatto che la finestra dispone di un’inferriata che non permette di potersi affacciare dalla finestra medesima. In altri termini, secondo il giudice, il manufatto realizzato da parte attrice permette soltanto di dare maggiore aria e luce al proprio appartamento, ma non permette di mettere la testa fuori, anche in considerazione del fatto che è presente un’inferriata alla finestra e manca un’intercapedine: per tali ragioni, tale apertura si può qualificare come luce e non come veduta.

In secondo luogo, il giudice ha ritenuto che neanche la normativa in materia di distanze fosse applicabile al caso di specie, in considerazione del fatto che il balcone è stato realizzato sul fondo finitimo, poiché la facciata dove è ancorato il balcone, da una parte, costituisce un lato del balcone e, dall’altra parte, costituisce muro di confine dell’appartamento di parte attrice.

 

Dopo aver rigettato, quindi, il primo motivo di doglianza dell’attrice, il tribunale, in considerazione del fatto che il balcone era stato realizzato su un bene condominiale e che conseguentemente ha comportato un uso più intenso di tale bene a favore di parte attrice, ha ritenuto opportuno valutare anche l’applicabilità delle norme in materia di servitù nei rapporti fra condomini.

Il giudice romano, a tal proposito, ha evidenziato come le norme sulle distanze e sulle vedute siano applicabili anche ai rapporti fra condomini solo quando esse siano compatibili con le disposizioni in materia di condominio; mentre, nel caso in cui tali disposizioni contrastino, le norme speciali in materia di condominio prevalgono su quelle in materia di distanze perdute, le quali ultime pertanto saranno inapplicabili. Sulla scorta di tale ragionamento, il tribunale romano ha ritenuto che, qualora l’uso del bene comune sia stato effettuato senza pregiudicare i diritti degli altri condomini e nel rispetto del regolamento condominiale, anche se l’opera in cui si sostanzia l’uso del bene comune sia stata realizzata senza il rispetto della normativa prevista in tema di distanze o vedute, tale opera è comunque legittima.

Ebbene, nel caso di specie, il tribunale di Roma ha ritenuto applicabile soltanto la normativa in materia di condominio e pertanto, al fine di verificare la legittimità della realizzazione del balcone, ha valutato soltanto se la costruzione di tale manufatto abbia comportato un uso illegittimo della facciata (cioè del bene comune sul quale esso è ancorato) e se tale costruzione abbia realizzato un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio; elementi, entrambi, idonei a configurare una violazione della normativa in materia di condominio.

Per quanto riguarda il primo aspetto, l’attrice ha lamentato che l’uso del balcone da parte della convenuta fosse lesivo della sua privacy; mentre, circa il secondo aspetto, parte attrice ha esclusivamente riferito che la realizzazione del balcone era potenzialmente idonea a violare la sicurezza del proprio appartamento.

Circa il primo aspetto di doglianza, il tribunale ha ritenuto che, nel bilanciamento tra il diritto alla privacy dell’attrice e il diritto della convenuta a poter ampliare l’apertura della porta-finestra sulla facciata condominiale per avere più aria e luce, sia da preferire il diritto della convenuta di utilizzare il bene comune (cioè la facciata) per dare maggior luce ed aria al proprio appartamento. Ciò, anche in considerazione del fatto che, il tribunale non ha ritenuto sussistente una violazione della privacy dell’attrice posto che la convenuta aveva messo un’inferriata sulla finestra che impediva alla stessa di accedere sul balcone e che dalla c.t.u. svolta era emerso che il bagno dell’attrice su cui affacciava il balcone presentava uno scuro, un vetro opaco e delle tende che proteggevano l’ambiente dagli sguardi altrui.

Circa il secondo aspetto, invece, posto che non è stata messa in discussione la stabilità dell’edificio né il suo decoro architettonico, la lamentata violazione della sicurezza dell’appartamento di parte attrice non è stata ravvisata dal giudice romano, in considerazione del fatto che il balcone realizzato sulla facciata comune non era facilmente raggiungibile da estranei (in quanto non era posto sulla pubblica via, ma all’interno di un chiostro interno e chiuso) ed inoltre si trovava al secondo piano dell’edificio ed era munito di inferriata; mentre, in tale corte interna vi erano altri manufatti (come numerose tubazioni e una tettoia sottostante l’appartamento della parte attrice), i quali apparivano invece più idonei – rispetto al balcone di cui è causa – a diminuire la sicurezza dell’appartamento dell’attrice.

In considerazione di tutto quanto sopra il giudice ha quindi respinto la domanda proposta da parte attrice

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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