Il fatto
La Corte di appello di Potenza confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Matera aveva dichiarato l’imputato responsabile del reato di violenza privata (perché si rifiutava si rimuovere l’auto parcheggiata all’ingresso di un cortile in uso anche anche ad altra persona così impedendo a quest’ultima di accedervi e di prelevare gli attrezzi di sua proprietà ivi depositati) condannandolo alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione l’imputato, per il tramite del suo difensore, adducendo i seguenti motivi: 1) inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in ordine all’inutilizzabilità della dichiarazioni auto-accusatorie rese dall’imputato alla polizia giudiziaria; 2) inosservanza della legge penale in quanto il rifiuto addebitabile all’imputato non era equiparabile alla violenza o alla minaccia richieste per l’integrazione del reato laddove i benefici invocati erano stati negati sulla base di mere asserzioni del giudice di appello.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
Il ricorso veniva stimato inammissibile per plurime e convergenti ragioni.
Si osservava a tale proposito come il primo motivo fosse inammissibile perché, da un lato, come affermato dalle Sezioni unite della Cassazione, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, si da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009), dall’altro, il ricorrente, ad avviso della Corte, si era sottratto a tale onere, tanto più che la sentenza impugnata, nel dar conto della conferma del giudizio di colpevolezza, aveva richiamato non solo la testimonianza dell’operante della polizia giudiziaria, ma anche la deposizione dibattimentale della persona offesa.
Ciò posto, medesima sorte processuale seguiva anche il secondo motivo dato che, quanto alla sussumibilità del fatto nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 610 cod. pen., vi è una consolidata giurisprudenza di legittimità in forza del quale integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla persona offesa considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione (Sez. 5, n. 8425 del 20/11/2013; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 603 del 18/11/2011; Sez. 5, n. 1913 del 16/10/2017; Sez. 5, n. 48369 del 13/04/2017; Sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017).
Tal che se ne faceva conseguire come la censura articolata al riguardo dal ricorrente fosse manifestamente infondata così come venivano stimate del tutto generiche le ulteriori doglianze ritenute dalla Cassazione sostanzialmente carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012).
Conclusioni
La sentenza in questione è assai interessante nella parte in cui, richiamandosi un orientamento nomofilattico consolidato, viene postulato che integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla persona offesa.
Va da sé dunque che, ove si verifichi una fattispecie di questo tipo, tale decisione non potrà non essere presa nella dovuta considerazione ai fini di una corretta qualificazione giuridica del fatto (delitto di violenza privata).
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, di conseguenza, non può che essere positivo.
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