Il caso
La Corte d’Appello di Trieste conferma la pronuncia di prime cure che aveva rigettato la domanda attorea di accertamento e dichiarazione di occupazione senza titolo di un immobile, costituito da una porzione di casa con annessa porzione di giardino e di garage. I Giudici di merito ritenevano che l’immobile fosse in comunione tra le parti in quanto costituente un unico corpo di fabbrica, ragione per cui, fino allo scioglimento della comunione tra i proprietari, non era possibile disporre il rilascio di una parte di esso, né tantomeno poteva configurarsi un danno a causa del mancato godimento di una porzione meramente ideale di proprietà trattandosi di un cespite suscettibile di uso turnario.
La soccombente ha proposto ricorso dinanzi alla Suprema Corte sulla base di tre motivi.
Si legge anche:” L’accessione, definizione e caratteri”
Motivi di impugnazione
Con il primo motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 934 e 1101 c.c., perché il giudice d’appello avrebbe errato nel ritenere l’immobile in questione un unico corpo di fabbrica in proprietà indivisa. Infatti, secondo la ricorrente, si tratterebbe di un edificio eretto su due fondi distinti, che non sarebbero mai stati in comunione tra loro. Avrebbe errato, quindi, la corte territoriale nel ritenere che la struttura unitaria dell’edificio posta sui due fondi comportasse di per sé l’esistenza di una comunione tra i titolari del diritto di proprietà di fondi diversi.
Con il secondo motivo, di deduce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., l’omessa motivazione di un punto fondamentale della causa, in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente valutato le risultanze dei libri fondiari, da cui risulterebbe che l’immobile per cui è causa sarebbe stato eretto su due fondi confinanti, appartenenti a due distinti proprietari e che, conseguentemente, in virtù del principio dell’accessione, non avrebbe potuto sussistere una comproprietà indivisa sull’edificio.
Con il terzo motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 2043 c.c., per aver la corte territoriale negato l’esistenza del diritto risarcitorio nonostante la sussistenza del fatto illecito, consistente nell’illegittima privazione, da parte delle convenute, del godimento del bene, avendo occupato l’alloggio sito al primo piano dello stabile eretto sul fondo di sua esclusiva proprietà.
Si legga anche:”
La soluzione della Corte
La Suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, ha accolto il ricorso ritenendo fondati i primi due motivi.
La Corte rammenta che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, nel caso in cui più soggetti, esclusivi proprietari di aree tra loro confinanti, si accordino per realizzare una costruzione, per il principio dell’accessione, ciascuno di essi, salvo convenzione contraria, acquista la sola proprietà della parte di edificio che insiste in proiezione verticale sul proprio fondo, con la conseguenza che anche le opere e strutture inscindibilmente poste a servizio dell’intero fabbricato rientrano, per accessione, in tutto o in parte, a seconda della loro collocazione, nella proprietà dell’uno o dell’altro, salvo l’istaurarsi sulle medesime, in quanto funzionalmente inscindibili, di una comunione incidentale di uso e di godimento, comportante l’obbligo dei singoli proprietari di contribuire alle relative spese di manutenzione e di esercizio in proporzione dei rispettivi diritti dominicali (Cass. Civ., n. 29457 del 2018; Cass. Civ., n. 5112 del 2006).
Nel caso di specie la motivazione della sentenza impugnata richiama le argomentazioni del primo giudice, che non ha ritenuto di disporre il rilascio del bene per “difficoltà di individuare la linea di confine all’interno delle stanze del fabbricato” evidentemente assumendo che esso non fosse stato eretto sulla proprietà comune. Le difficoltà nel separare la parte di immobile ricadente nella proprietà esclusiva dell’attrice ha portato il giudice di merito a ravvisare una situazione di comproprietà dell’immobile eretto su fondi confinanti, in violazione al principio dell’accessione.
Il giudice d’appello, pertanto, ha fatto errata applicazione del principio affermato dalla Corte di Cassazione in quanto, pur avendo accertato che il garage ricadeva nella proprietà esclusiva della ricorrente ed una parte del corpo di fabbrica dell’edificio nella proprietà delle controparti, ha errato nell’affermare che, anche laddove un manufatto sia realizzato su due fondi contigui, ma appartenenti a soggetti diversi, si instauri una comunione sull’opera realizzata – rappresentata da un unico corpo di fabbrica – trascurando, invece, che la proprietà dello stesso resta esclusiva nella parte che si sviluppa in proiezione verticale sulle porzioni di rispettiva titolarità.
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