Sulle differenze tra l’azione di arricchimento senza causa e l’istituto dell’indebito e sulla esperibilità dell’azione di arricchimento indiretto

Il nostro ordinamento non consente che, in assenza di una causa giustificativa dello spostamento della ricchezza, una persona consegua un vantaggio patrimoniale ingiusto, a fronte di un impoverimento altrui.

Per tal motivo, il legislatore ha previsto l’art. 2041 c.c., il quale sancisce, in via generale, che colui che abbia subito una deminutio patrimonii possa rivalersi, tramite l’azione di ingiustificato arricchimento, nei confronti di chi sia ingiustamente arricchito.

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L’azione di ingiustificato arricchimento – generalità

L’azione di ingiustificato arricchimento trova il suo fondamento nell’art. 2 della Costituzione, ossia nel principio di solidarietà e nel generale principio di causalità dei trasferimenti.

L’azione può essere esperita solo in presenza di un arricchimento, cioè di un aumento effettivo del patrimonio, il quale può derivare da un’attribuzione traslativa ovvero da un risparmio di spesa.

L’arricchimento ha come contraltare l’impoverimento di un altro soggetto, consistente nella diminuzione effettiva del patrimonio[1].

Deve sussistere, inoltre, tra la locupletazione e l’impoverimento un nesso di correlatività, inteso dalla giurisprudenza più recente come “unicità del fatto causativo”, ossia che entrambi siano l’effetto di uno stesso fatto causativo[2].

Infine, non deve esserci una causa giustificativa, cioè non deve sussistere una causa idonea a giustificare l’arricchimento di un soggetto e l’impoverimento dell’altro.

Ai sensi dell’art. 2042 c.c., peraltro, l’azione in esame ha una portata residuale, sicché potrà trovare applicazione solo nei casi in cui non vi siano ulteriori rimedi esperibili[3].

Il rapporto tra la condictio indebiti e l’ingiustificato arricchimento

Ciò premesso, occorre precisare che la causa assume particolare rilievo anche nell’ipotesi di condictio indebiti, regolata dagli artt. 2033 e 2036 del codice civile.

Innanzitutto, può senz’altro affermarsi che l’azione di ingiustificato arricchimento (art. 2041 c.c.) si pone in termini di residualità rispetto alle azioni di cui agli artt. 2033 e 2036 del codice civile.

In particolare, l’art. 2033 c.c. disciplina l’istituto dell’indebito oggettivo[4], che si ha quando un soggetto effettua un pagamento non dovuto a chi non ha alcun credito ovvero anche nei casi di indebito “soggettivo” ex latere accipientis[5], ossia allorquando un soggetto ha effettivamente un debito, ma non nei confronti di chi riceve il pagamento, bensì nei confronti di un altro soggetto.

L’art. 2036 c.c., invece, regola l’indebito soggettivo[6], che si realizza allorquando, pur sussistendo un’obbligazione, un soggetto ritiene erroneamente di essere debitore e paga al debitore quanto, in realtà, egli avrebbe dovuto riceve da un terzo.

In relazione al rapporto sussistente tra l’azione di ingiustificato arricchimento e la conditio indebiti, parte minoritaria della dottrina ha ritenuto che la ripetizione dell’indebito fosse una species del genus dell’arricchimento senza giusta causa. Tuttavia, tale orientamento è rimasto minoritario, poiché la tesi maggioritaria ritiene si tratti di azioni differenti sulla base della sussidiarietà di una rispetto all’altra e, soprattutto, sulla base dei differenti presupposti previsti per la loro esperibilità.

Nell’azione di arricchimento, segnatamente, è richiesta una locupletazione dell’accipiens e un impoverimento del solves, mentre tale presupposto non è richiesto nel caso di conditio[7].

Per quel che riguarda la conditio, inoltre, l’accipiens ha l’obbligo di restituire[8], ai sensi del combinato disposto dagli artt. 2033 e 2036 comma II c.c., quanto ha ricevuto, i frutti e gli interessi. Di converso, per l’azione di ingiustificato arricchimento, invece, il soggetto che propone l’azione può ottenere soltanto la somma minore tra l’impoverimento ricevuto dal solvens e il correlativo arricchimento dell’accipiens.

Infine, nel caso di conditio, manca effettivamente la causa del pagamento (causa adquirendi), mentre nel caso di azione di ingiustificato arricchimento manca la causa retinendi[9].

Si legga anche:” Arricchimento senza causa e prescrizione “

L’azione di arricchimento indiretto

Alla luce di quanto sino ad ora affermato, occorre comprendere se nel nostro ordinamento trovi dimora l’azione di arricchimento indiretto, ossia se sia esperibile l’azione di arricchimento senza causa anche nei casi in cui l’arricchimento venga conseguito da un soggetto diverso rispetto all’effettivo destinatario della prestazione ingiustificata.

Per comprendere i diversi orientamenti, appare necessario prendere le mosse da uno dei presupposti per l’azione di ingiustificato arricchimento prima menzionato, ossia il nesso di correlatività tra arricchimento e impoverimento.

Parte della dottrina[10] ritiene che detto nesso di correlatività non costituirebbe un presupposto essenziale ai fini dell’esperibilità dell’azione, bensì un mero accadimento storico necessario.

Secondo tale orientamento, in altre parole, non dovrebbe sussistere un medesimo fatto costitutivo tra arricchimento e impoverimento, poiché una interpretazione in tal senso, andrebbe a restringere il campo di applicazione dell’art. 2041 c.c. e, pertanto, a frustrare la funzione equitativa e solidale della norma.

Inoltre, secondo tale parte della dottrina, ciò si dedurrebbe anche dallo stesso art. 2038 c.c., il quale, in un’ottica equitativa e solidale, sancisce che “nel caso di alienazione a titolo gratuito, il terzo acquirente è obbligato, nei limiti del suo arricchimento, verso colui che ha pagato l’indebito”.

La dottrina maggioritaria[11], tuttavia, ritiene che detto nesso di correlatività sia un presupposto necessario ai fini dell’esperibilità dell’azione di cui all’art. 2041 del codice civile e che, quindi, arricchimento e depauperamento patrimoniale debbano necessariamente discendere da un medesimo fatto causativo.

Tale opinione si fonda sull’assunto che, qualora i fattori causativi dell’arricchimento e dell’impoverimento fossero diversi, verrebbe meno l’utilità della previsione riguardante la “correlativa diminuzione patrimoniale”.

Inoltre, in relazione all’art. 2038 c.c., ritiene che questo richiamo sia improprio, poiché ciò presupporrebbe un rapporto di species a genus tra le due azioni, il quale dovrebbe ritenersi escluso, essendo i due rimedi posti in relazione di sussidiarietà.

Anche nella giurisprudenza di legittimità si sono avuti diversi orientamenti.

In particolare, sotto la vigenza del codice abrogato, la giurisprudenza italiana, richiamando quella francese, ammetteva l’ipotesi di una azione di arricchimento indiretta.

Sotto la vigenza del codice attuale, tuttavia, si sono susseguite pronunce discordi, fino alla sentenza della Suprema Corte n. 183 del 2 febbraio 1963. Tale pronuncia chiariva la stretta sussidiarietà tra i due rimedi e, soprattutto, affermava l’unicità del fatto costitutivo tra arricchimento e depauperamento patrimoniale, innalzando, pertanto, quest’ultimo a presupposto necessario dell’azione di ingiustificato arricchimento.

Tuttavia, le Sezioni Unite con la pronuncia del 2008[12], pur affermando nuovamente quanto sancito dalla sentenza n. 183 del 1963, hanno ammesso delle eccezioni alla regola della non esperibilità della azione indiretta di arricchimento.

Segnatamente, la prima eccezione riguarda l’arricchimento mediato conseguito dalla Pubblica Amministrazione rispetto ad un ente di natura pubblicistica direttamente beneficiario della prestazione ingiusta.

La seconda eccezione, invece, attiene all’arricchimento conseguito dal terzo a titolo gratuito.

Tali eccezioni troverebbero il proprio fondamento dalla funzione stessa dell’azione, ossia una funzione equitativa e solidale.

Conclusione

In via di conclusione, al termine della complessa disamina, emerge una netta distinzione tra la l’istituto dell’arricchimento ingiustificato e della conditio indebiti, la quale si fonda non soltanto sulla posizione residuale della prima rispetto alla seconda, bensì ponga le proprie basi sulla diversità dei presupposti previsti dal legislatore.

Inoltre, emerge altresì come una interpretazione formalistica e rigida del nesso di correlatività di cui all’art. 2041 c.c. abbia, in passato, condotto alla mancata applicazione della norma in oggetto, in ipotesi ove, vista la funzione della stessa e le esigenze del caso concreto, sarebbe stata applicabile.

Pertanto, si ritiene che, ferma restando la generale non esperibilità dell’azione di arricchimento indiretto, prosegua l’interpretazione meno rigida affinché questa possa essere applicata in determinati casi eccezionali.

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[1] Carbone, Caringella, I principi del diritto civile, Roma 2018, pag. 206.

[2] Cass. Civ. 2018/16305.

[3] Carbone, Caringella, op. cit.

[4] Dario Primo Triolo, La disciplina dell’indebito, Vicalvi 2017, pag. 12.

[5] Cass. Civ. 2003/3802.

[6] Dario Primo Triolo, op. cit., pag. 32.

[7] Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Milano 2017, pagg. 1214 a 1218.

[8] Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano 2019, pagg. 882 e 884.

[9] Trabucchi, op. cit., pag. 1212.

[10] Bianca, Diritto Civile 5, Milano 1994.

[11] Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2001, pag. 689; Gallo, L’arricchimento senza causa, Padova, 1990, pag. 518.

[12] Cass. Civ. S.U. 2008/24772

Dott. D’Ausilio Antonio

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