I principi della Corte di Cassazione in tema di accertamenti fiscali

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Secondo principi consolidati della giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’art. 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’Amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non trova applicazione per gli atti di cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza per effetto di precedente comunicazione, sicché è sufficiente che il processo verbale di constatazione sia stato precedentemente consegnato in copia previa sottoscrizione al legale rappresentante della società contribuente (cfr. Cass. nn. 407/2015, 15327/2014), poiché un’interpretazione puramente formalistica si porrebbe in contrasto con il criterio ermeneutico che impone di dare alle norme procedurali una lettura che, nell’interesse generale, faccia salva la funzione di garanzia loro propria, limitando al massimo le cause di invalidità o d’inammissibilità chiaramente irragionevoli (cfr. Cass. n. 18073/2008).

Le sanzioni

L’eventuale irrogazione di sanzioni, se contestuale all’accertamento dell’imposta, si deve ritenere motivata quando la pretesa fiscale sia definita nei suoi elementi essenziali e sia precisata la sanzione (cfr. Cass. nn. 16484/2016, 9774/2010).

In tema di accertamenti fondati sulle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari, ai sensi degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, l’onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti intestati a soggetti per i quali è fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a sua disposizione non viola il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o divieto di doppie presunzioni o divieto di presunzioni di secondo grado o a catena) sia perché tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento, sia perché, anche qualora lo si volesse considerare esistente, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice, ma non con una presunzione legale, sicché non ricorrerebbe nel caso di specie (cfr. Cass. n. 15003/2017, 1898/2016).

In sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi, infatti, limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli intestati ai soci, agli amministratori o ai procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati, senza necessità di provare altresì che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali, atteso che, ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 cit., incombe sulla società contribuente dimostrarne l’estraneità alla propria attività di impresa (cfr. Cass. n. 8112/2016).

L’accertamento

In tema di accertamento, la mancanza di autorizzazione alle indagini bancarie rende le stesse illegittime ove si sia tradotta in un concreto pregiudizio per il contribuente, in conformità alla concezione sostanzialistica dell’interesse del privato alla legittimità del provvedimento amministrativo, espressa, in via generale, dall’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990 (cfr. Cass. n. 9480/2018, 3628/2017).

Infine, sul concetto di fatto notorio, la Corte di Cassazione ha costantemente statuito che «il fatto notorio, derogando al principio dispositivo delle prove e al principio del contraddittorio, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire incontestabile» (cfr. Cass. n. 5232/2008), ovvero che il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile.

Al che consegue che restano estranei a tale nozione le acquisizioni specifiche di natura tecnica, gli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari o richiedono il preventivo accertamento di particolari dati, nonché quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione d’analoghe controversie (cfr. Cass. n. 6299/2014; da ultimo, Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile – ordinanza n. 23546 depositata il 20 settembre 2019).

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