(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 634)
Il fatto
La Corte di appello di Ancona aveva dichiarato inammissibile la richiesta di revisione presentata dal condannato avverso la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata dal Tribunale di Ravenna in ordine al reato di cui all’art. 482 – 477 cod. pen. per aver falsificato il certificato di revisione di un’autovettura.
La richiesta di revisione si fondava sulla dedotta sussistenza di prove nuove costituite dalle dichiarazioni di due soggetti, sentiti in sede di indagini difensive, dalle quali sarebbe emersa l’estraneità del condannato al delitto di falso.
La Corte di appello aveva ritenuto inammissibile l’istanza poiché la prova dedotta sarebbe consistita “in contributi dichiarativi che introducono circostanze prive di raccordo con il materiale probatorio raccolto nel processo e non suscettibile di verifica“.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento ricorreva il condannato, tramite il difensore, proponendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in quanto, nel richiamarsi alcuni arresti giurisprudenziali che precludono al giudice di svolgere un apprezzamento sul merito delle prove nella fase preliminare del giudizio di revisione, si sosteneva come la Corte di appello avrebbe omesso di comparare le prove nuove con quelle già raccolte nel giudizio di cognizione nel senso che, se il condannato sarebbe stato condannato per concorso nella falsificazione del certificato di revisione soltanto in quanto fermato a bordo dell’autovettura con targa bulgara che aveva in uso momentaneo, le deposizioni dei nuovi testimoni, invece, avrebbero dimostrato le modalità della revisione e del rilascio del certificato nonché l’inconsapevolezza da parte del condannato della falsità del documento con il risultato di confutare il quadro probatorio del giudizio di condanna basato solo sulle dichiarazioni di M. L.; 2) violazione di legge per aver la Corte di appello proceduto a valutare l’attendibilità delle prove nuove impedendo il contraddittorio.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Si osservava in via preliminare che il provvedimento impugnato non era l’ordinanza di inammissibilità emessa de plano ex art. 634 cod. proc. pen. ma una sentenza pronunciata nel contraddittorio delle parti a seguito di regolare citazione del condannato e del difensore.
Tal che se ne faceva conseguire come fossero inammissibili, perché inconferenti, le censure mosse dal ricorrente (con il secondo motivo di ricorso e, in parte, anche con il primo) sul piano della asserita violazione del diritto al contraddittorio.
Premesso ciò, gli Ermellini evidenziavano altresì come la Corte di cassazione avesse affermato, in più occasioni, che l’inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, oltre che con l’ordinanza prevista dall’art. 634 cod. proc. pen., anche con sentenza successivamente all’instaurazione del giudizio ai sensi dell’art. 636 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 34773 del 17/05/2018; Sez. 3, n. 43573 del 30/09/2014; Sez. 5, n. 4652 del 20/11/2013 nel solco inaugurato da Sez. U. n. 18 del 10/12/1997 e da Sez. U. n. 624 del 26/9/2001) rilevandosi al contempo come fosse stato sottolineato che il procedimento di revisione si sviluppa in due fasi: la prima è costituita dalla valutazione dell’ammissibilità della relativa istanza e mira a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con l’osservanza delle norme di legge nonché che non sia manifestamente infondata; la seconda è, invece, costituita dal vero e proprio giudizio di revisione volto all’accertamento e alla valutazione delle “nuove prove” al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all’affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve invece essere prosciolto; in particolare, è stato affermato che, in questa seconda fase, che deve svolgersi, appunto, nelle forme previste per il dibattimento, è consentito alla Corte di appello rivalutare le condizioni di ammissibilità dell’istanza ed eventualmente respingerla senza assumere le prove in essa indicate e senza dare corso al giudizio di merito e ciò tanto è possibile fare sia all’esito del dibattimento, sia nel corso del dibattimento, e, sia, ancora, nella fase degli atti preliminari, allorché risulti, per qualsiasi ragione, che le prove richieste manchino del requisito di novità o della idoneità a provocare l’assoluzione del condannato imprescindibile perché si debba procedere all’assunzione delle prove dedotte e alla valutazione dei risultati delle stesse non residuando alcun ulteriore accertamento che giustifichi il prosieguo del dibattimento e lo svolgimento di ulteriore attività difensiva (così: Sez. 3, n. 43573 del 30/09/2014).
Ciò posto, nel trattare le doglianze prospettate in termini di vizio di motivazione, si consideravano anch’esse essere inammissibili perché estranee all’alveo precettivo dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen..
La Corte di appello di Ancona, difatti, rilevava come le “nuove prove” non fossero in grado di incrinare il compendio probatorio del giudizio di condanna fondato: a) sulla prova storica che il condannato, fermato alla guida di un’autovettura intestata a un cittadino bulgaro, era in possesso di un certificato di revisione falso; b) sulla prova storica e scientifica della contraffazione risultante dalle indagini tecniche condotte sul documento e dall’accertamento (presso la casa madre) che l’autovettura non era mai stata sottoposta a revisione; c) sulla prova logica che il condannato aveva concorso nel reato quantomeno indicando all’esecutore materiale i dati della autovettura; d) sulla ulteriore constatazione della assenza di altre ragionevoli spiegazioni alternative da parte dell’imputato.
Inoltre, sempre secondo la Corte distrettuale, le nuove prove si erano esaurite in contributi dichiarativi di carattere generico che miravano a introdurre o circostanze insuscettibili di verifica mai riferite neppure dall’imputato oppure che esprimevano valutazioni personali sullo stato soggettivo del condannato che non competevano a un testimone.
Orbene, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, l’incedere argomentativo della sentenza impugnata non presentava alcuna frattura logica e risultava pienamente rispondente al potere del giudice di valutare in sede preliminare, nel contraddittorio delle parti, la rilevanza della prova che si chiedeva di assumere.
Le censure sollevate dall’imputato, all’opposto, non attaccavano la tenuta dell’impianto motivazionale ma si limitavano a contestarne la persuasività mentre, in tema di revisione, la declaratoria di inammissibilità della richiesta per essere le “nuove prove” palesemente inidonee ad inficiare l’accertamento dei fatti posti alla base della sentenza di condanna si sottrae a censure in sede di legittimità allorché sia fondata su una motivazione adeguata ed immune da vizi logici (Sez. 3, n. 39516 del 27/06/2017).
Conclusioni
La decisione in oggetto è assai interessante nella parte in cui si spiega quando può essere dichiarata inammissibile la richiesta di revisione.
Difatti, in tale pronuncia, è asserito, citandosi giurisprudenza costante formatasi sul punto, che l’inammissibilità della richiesta di revisione può essere dichiarata, oltre che con l’ordinanza prevista dall’art. 634 cod. proc. pen., anche con sentenza successivamente all’instaurazione del giudizio ai sensi dell’art. 636 cod. proc. pen..
Oltre a ciò, viene altresì evidenziato che la declaratoria di inammissibilità della richiesta per essere le “nuove prove” palesemente inidonee ad inficiare l’accertamento dei fatti posti alla base della sentenza di condanna si sottrae a censure in sede di legittimità allorché sia fondata su una motivazione adeguata ed immune da vizi logici.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché fa chiarezza su tali tematiche procedurali, dunque, non può che essere positivo.
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