riferimenti normativi: art. 1102
precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. II, Sentenza n. 4726 del 10/03/2016
La vicenda
Un condomino realizzava un gazebo su uno spazio esterno condominiale gravato da servitù di uso pubblico.
La struttura era tubolare a pianta rettangolare, con i pali laterali infissi al terreno mediante grosse viti e spesse tende di plastica che lo chiudevano lungo i lati; in ogni caso rimaneva sull’ area cortilizia tutto l’anno e veniva utilizzato anche per organizzare feste all’esterno, sia con climi caldi che freddi. L’opera era stata realizzata abusivamente e non era stata autorizzata dai condomini.
L’assemblea si riuniva per discutere in ordine al gazebo e al termine della riunione i condomini presenti a maggioranza autorizzavano l’opera.
Il gazebo però era di dimensioni rilevanti e quindi impediva agli altri condomini di utilizzare l’area occupata. In ogni caso una clausola del regolamento stabiliva che i singoli condomini non avrebbero potuto intraprendere alcuna opera esterna capace di modificare l’architettura, l’estetica e la simmetria del fabbricato senza il consenso di tutti gli altri partecipanti al condominio, nessuno escluso.
Per quanto sopra un condomino impugnava la delibera che riteneva illegittima in quanto non approvata da tutti i condomini (1000 millesimi).
Si costituiva il condominio, sostenendo l’infondatezza dei ragionamenti dell’attore in quanto la delibera era legittima, anche se approvata a maggioranza; in ogni caso si riteneva che il gazebo non creasse alcuna alterazione del decoro.
La causa veniva istruita sia con prove orali (escutendo diversi testimoni) sia con prove documentali prodotte dalle parti.
La questione
È valida la delibera che a semplice maggioranza autorizza un condomino ad occupare una parte comune con un rilevante gazebo, escludendo gli altri condomini dall’utilizzo di tale bene comune?
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La soluzione
Il Tribunale, dopo aver esaminato la documentazione e ascoltato i testimoni, ha dato ragione al condomino.
Secondo lo stesso giudice i condomini in assemblea non potevano a semplice maggioranza autorizzare il gazebo che per le dimensioni era lesivo dei diritti di ciascun condomino nell’uso delle cose comuni.
In altre parole, secondo il Tribunale la predisposizione del gazebo e le modalità in cui veniva utilizzato, incideva in maniera significativa sui diritti dei condomini sulle cose comuni, perché veniva interdetto, in via definitiva, all’uso comune una porzione dell’area condominiale e limitato l’esercizio dei poteri e delle facoltà che normalmente ineriscono al contenuto del diritto di proprietà dei singoli sui beni comuni.
In tale fattispecie, l’approvazione doveva avvenire all’unanimità, cioè dovevano essere presenti tutti i proprietari che avrebbero dovuto raggiungere i 1000 millesimi.
In ogni caso, ad avviso del Tribunale, la delibera violava una specifica clausola del regolamento condominiale secondo cui non poteva essere intrapresa dai condomini, senza l’autorizzazione totale dei proprietari, qualsivoglia opera esterna che modificasse l’architettura, l’estetica e la simmetria del fabbricato.
Le riflessioni conclusive
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso (art 1102 c.c.).
Dunque, a prescindere dall’estensione del suo diritto, a norma dell’art. 1102 c.c., il singolo partecipante alla comunione (sia semplice che edilizia) può usare – con i limiti sopra detti – la cosa comune a suo piacimento, secondo le proprie convenienze, e nella sua interezza, indipendentemente dal fatto che sia titolare di una quota maggiore o minore della comproprietà ragguagliata al valore dell’appartamento di sua pertinenza.
Applicando questi principi si è affermato che la regolamentazione dell’uso della cosa comune, in assenza dell’unanimità, deve seguire il principio della parità di godimento tra tutti i condomini stabilito dall’art. 1102 c.c., il quale impedisce che, sulla base del criterio del valore delle singole quote, possa essere riconosciuto ad alcuni il diritto di fare un uso del bene, dal punto di vista qualitativo, diverso dagli altri; di conseguenza la Cassazione ha confermato l’invalidità di una delibera assembleare che ha attribuito il diritto di scegliere i posti auto nel garage condominiale – tra loro non equivalenti per comodità di accesso – a partire dal condomino titolare del più alto numero di millesimi (Cass. civ., sez. II, 07/12/2006, n. 26226).
Allo stesso modo ha precisato che l’uso del bene comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell’art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la normale ed originaria destinazione (per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi dei partecipanti) e di impedire agli altri condomini di fare ugualmente uso della cosa stessa secondo il loro diritto, configurando, pertanto, un abuso la condotta del condomino consistente nella stabile e pressoché integrale occupazione di un “volume tecnico” dell’edificio condominiale, mediante il collocamento di attrezzature ed impianti fissi funzionale al miglior godimento della sua proprietà individuale (Cass. civ., sez. VI – 2, 23/06/2017, n. 15705).
In altre parole, la completa appropriazione di un bene comune non rientra tra le facoltà consentite dall’art. 1102 c.c., il quale vieta al singolo partecipante di attrarre la cosa comune nell’orbita della propria disponibilità esclusiva mediante un uso particolare e l’occupazione totale e stabile, e di sottrarlo in tal modo alle possibilità attuali e future di godimento degli altri contitolari.
Un condomino, quindi, che inserisce stabilmente e con opere murarie una canna fumaria di dimensioni non limitate in corrispondenza dell’esiguo cordolo perimetrale del lastrico solare destinato a stenditoio, pone in essere un’occupazione stabile e duratura, non consentita dall’art. 1102 c.c., sottraendo la relativa porzione di bene comune all’uso e al godimento degli altri condomini.
Al contrario, l’installazione, nel muro di confine comune, di un meccanismo fotocellulare per l’apertura automatica del cancello inserito nel muro, non sporgente all’interno del fondo prospiciente il lato opposto del muro stesso, non viola l’art. 1102 c.c., trattandosi di utilizzo più intenso della cosa comune, secondo la sua naturale destinazione (delimitazione perimetrale e protezione/isolamento dell’esterno delle proprietà), che ne consente il pari uso (Cass. civ., Sez. II, 21/10/2009, n. 22341).
Del resto, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità maggiore e più intensa di quella tratta eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purchè non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso, e senza che tale uso più intenso sconfini nell’esercizio di una vera e propria servitù.
In ogni caso l’uso paritetico della cosa comune va tutelato, in funzione della ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto ne faranno gli altri condomini e non di quella identica e contemporanea che, in via meramente ipotetica ed astratta, ne potrebbero fare, dovendosi anche i rapporti tra condomini fondarsi sul generale principio di solidarietà.
Così, ad esempio, il collegamento effettuato dal singolo condomino di una tubazione di scarico del proprio alloggio ad una linea di scarico preesistente esterna ai muri perimetrali è legittima: questo in quanto tale ipotesi è correttamente riconducibile ad un utilizzo personale di un bene, da ritenersi di proprietà comune, inidoneo a escludere che gli altri comproprietari possano farne un uso analogo.
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