(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 603, c. 3-bis)
Il fatto
Il Tribunale di Pesaro aveva assolto gli imputati, con la formula perché il fatto non sussiste, dal delitto di truffa in concorso loro ascritto in relazione ad un pacchetto viaggio per Istanbul prenotato presso la loro agenzia a fronte dell’incasso, da parte del F., di un assegno di Euro 1860,00 e, in seguito, alla mancata conferma del viaggio a causa dell’omesso saldo all’operatore turistico di quanto dovuto da parte dell’agenzia.
A fronte dell’incontrovertibile inadempimento civilistico, sulla base della documentazione acquisita, il Tribunale accreditava le dichiarazioni del S. che aveva escluso qualsiasi preordinazione rappresentando l’intenzione fino all’ultimo di confermare la prenotazione, poi non onorata solo per le difficoltà dell’agenzia coinvolta in un’azione di sfratto.
La pronuncia di primo grado, a sua volta, era stata riformata dalla Corte di appello di Ancona che, accogliendo i gravami del pubblico ministero e della parte civile, aveva riconosciuto la penale responsabilità di entrambi gli imputati condannandoli alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese di giudizio in favore delle parti civili.
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la pronuncia della Corte territoriale avevano proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, a mezzo del comune difensore, sollevando quattro motivi di impugnazione così formulati: 1) violazione di legge ed il vizio di motivazione per aver operato la Corte territoriale una reformatio in peius della sentenza impugnata senza procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, come prescritto dall’art. 603 c.p.p., in adesione al principio di cui all’art. 6 par. 3 lett. d) della CEDU: a dire dei ricorrenti, l’affermazione della sentenza, secondo cui non vi sarebbe stata diversa valutazione di prove dichiarative ma soltanto una diversa valutazione dell’atteggiamento psicologico degli imputati, sarebbe stata smentita dalla considerazione che questa implicava, comunque, una diversa valutazione delle dichiarazioni rese dall’imputato S. che, ad avviso del primo giudice, aveva trovato riscontro nella documentazione da questo prodotta; 2) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità degli imputati osservando i ricorrenti che, da un lato, la Corte territoriale non aveva distinto le due posizioni pur essendo il F. titolare dell’agenzia di viaggi ed il S. mero dipendente e che, dall’altro, difetterebbero comunque gli artifici e raggiri tali non potendosi ritenere né l’aver ricevuto la prenotazione di un viaggio in qualità di agenzia autorizzata, né l’affissione in vetrina di offerte commerciali relative a pacchetti viaggio, né ancora la richiesta di pagamento con assegni con la scusa che il pos non era funzionante così come analogamente veniva dedotta l’assenza dell’elemento soggettivo del reato sul rilievo che: a) le altre pratiche dell’agenzia erano andate tutte buon fine; b) le trattative con la parte civile avrebbero dovuto confermare l’intenzione del titolare dell’agenzia di continuare con la sua attività come aveva in effetti fatto nonostante lo sfratto per morosità subito all’epoca dei fatti; 3) vizio della motivazione della sentenza impugnata limitasi, ad avviso dell’impugnante, ad una diversa lettura dei fatti senza analizzare in modo critico ed analitico le valutazioni del primo giudice; 4) vizio di motivazione per non essere stata considerata la diversa posizione dei due imputati, il F. titolare dell’agenzia di viaggi ed il S. mero dipendente, come da documentazione indicata dal ricorrente come depositata all’udienza del 10/12/2014 e come da dichiarazioni del titolare dell’agenzia.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
Il ricorso proposto veniva stimato fondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto come la sentenza del Tribunale di Pesaro avesse dato ampio spazio alle dichiarazioni rese dall’imputato S. “nel suo diffusissimo esame” evidenziando come il predetto avesse escluso qualsiasi preordinazione nel mancato saldo di quanto dovuto all’operatore turistico dopo l’acquisizione dell’assegno di Euro 1800,00 dalle persone offese e rappresentando, invece, la sua intenzione di onorare il contratto stipulato con la persona offesa confermando la prenotazione ma di essersi trovato poi in difficoltà per effetto di una procedura di sfratto in corso della quale non era riuscito ad ottenere lo sperato rinvio e che le spese relative a tale procedura non gli avevano consentito di operare il pagamento, così causando i gravi disagi patiti dalla persona offesa e dai suoi congiunti.
Il Tribunale aveva, quindi, valorizzato tali dichiarazioni, ritenendole anche confermate dalla documentazione prodotta dalla difesa tanto in relazione alle numerose pratiche andate a buon fine in quel periodo, quanto in ordine alla procedura di sfratto subita dall’agenzia.
La Corte di appello di Ancona, invece, pur affermando che “i fatti storici non sono controversi“, aveva inteso darne una “diversa lettura” ritenendo lo sfratto esecutivo subito dall’agenzia di viaggi un indice di una difficoltà preesistente e non già di una situazione imprevista e contingente rilevando altresì che la documentazione di viaggi procurati ad altri clienti si riferiva a diversi periodi rispetto a quello interessato dal viaggio prenotato dalla persona offesa che, come tale, era compatibile con la possibilità che l’agenzia abbia utilizzato l’assegno richiesto alla persona offesa non per il soddisfacimento del fine al quale era vincolata la somma bensì per la necessità di fronteggiare propri debiti non più procrastinabili.
Operando in tal guisa, però, ad avviso del Supremo Consesso, la Corte territoriale aveva ritenuto la documentazione prodotta non confermare, evidentemente, le dichiarazioni dell’imputato S. alle quali il primo giudice aveva viceversa prestato fede così da non fondare su di esse quella che la stessa sentenza aveva definito “l’analisi dell’atteggiamento psicologico degli imputati” tanto che le dichiarazioni del ricorrente non sono state nemmeno esplicitamente esaminate nella sentenza.
Alla luce di ciò, si era così proceduto ad una riforma della sentenza assolutoria di primo grado ritenendo, comunque, soccombenti rispetto alla documentazione esaminata le dichiarazioni del S. sulle quali, invece, si fondava la sentenza di primo grado che le riteneva perfino riscontrate dalla stessa documentazione acquisita ed in tal modo si era operata una reformatio in peius della sentenza impugnata senza procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale richiesta – prima ancora che dall’art. 603 c.p.p., comma 3 bis, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103 – dal principio di cui all’art. 6 par. 3 lett. d) della CEDU che la rendeva necessaria per una diversa valutazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva in primo grado costituita dall’esame dell’imputato S..
La Suprema Corte, di conseguenza, alla stregua di ciò, ravvisava una violazione di legge in virtù del fatto che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la necessità per il giudice dell’appello di procedere, anche d’ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante e vale: a) per il testimone “puro“; b) per quello c.d. assistito; c) per il coimputato in procedimento connesso; d) per il coimputato nello stesso procedimento (fermo restando che, in questi ultimi due casi, l’eventuale rifiuto di sottoporsi all’esame non potrà comportare conseguenze pregiudizievoli per l’imputato); e) per il soggetto “vulnerabile” (salva la valutazione del giudice sulla indefettibile necessità di sottoporre il soggetto debole, sia pure con le dovute cautele, ad un ulteriore stress); f) per l’imputato che abbia reso dichiarazioni “in causa propria” (dal cui rifiuto non potrebbe, tuttavia, conseguire alcuna preclusione all’accoglimento della impugnazione) (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016).
Dalla riforma della sentenza assolutoria di primo grado, senza procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa, se ne faceva discendere la fondatezza del primo ed assorbente motivo di ricorso e, con essa, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia competente ai sensi dell’art. 623 lett. c) c.p.p..
Conclusioni
La decisione in oggetto è assai interessante nella parte in cui, avvalendosi di un arresto giurisprudenziale, da un lato, è postulato che la necessità per il giudice dell’appello di procedere, anche d’ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante, dall’altro, è asserito che siffatta necessità ricorre: a) per il testimone “puro“; b) per quello c.d. assistito; c) per il coimputato in procedimento connesso; d) per il coimputato nello stesso procedimento (fermo restando che, in questi ultimi due casi, l’eventuale rifiuto di sottoporsi all’esame non potrà comportare conseguenze pregiudizievoli per l’imputato); e) per il soggetto “vulnerabile” (salva la valutazione del giudice sulla indefettibile necessità di sottoporre il soggetto debole, sia pure con le dovute cautele, ad un ulteriore stress); f) per l’imputato che abbia reso dichiarazioni “in causa propria” (dal cui rifiuto non potrebbe, tuttavia, conseguire alcuna preclusione all’accoglimento della impugnazione).
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tali tematiche procedurali, dunque, non può che essere positivo.
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