Disciplina e dibattito relativi all’onere probatorio nel reato continuato
Come si accennava nei paragrafi precedenti, il giudice della cognizione deve applicare la disciplina del reato continuato soltanto nei casi in cui ritenga processualmente provata la sussistenza dell’elemento strutturale centrale della medesimezza del disegno criminoso, all’interno del quale devono poter essere ricondotti i fatti illeciti posti in essere, e che siffatto medesimo quadro sia stato anticipatamente individuato, almeno nelle sue linee essenziali, fin dalla commissione del primo episodio delittuoso (si veda, ex multis, Cass. pen., sez. I, n. 22650/2014).
La Suprema corte ha recentemente approfondito tale tematica con la sentenza del 19 febbraio 2018, n. 7953, nella motivazione della quale viene, innanzitutto, chiarito che “il riconoscimento del vincolo della continuazione richiede l’accertamento in positivo di una reale comune programmazione dei reati, anche solo nelle loro linee essenziali, sin dal compimento del primo reato, e […] che l’utilizzo in tale accertamento dei c.d. indicatori non può avvenire con criterio ‘aritmetico’, ben potendosi escludere la continuazione anche in presenza di una molteplicità di indicatori positivi che risultassero, nella valutazione globale, smentiti da altri elementi di segno contrario”; successivamente, le Sezioni Unite si sono soffermate su argomentazioni strettamente processuali legate all’onere probatorio che incombe sull’istante condannato in sede esecutiva e imputato in sede di giudizio di cognizione. In particolare, è stato precisato che l’onere di produrre sentenze e decreti penali di condanna incombe sul soggetto richiedente l’applicabilità dell’istituto della continuazione soltanto in sede di cognizione, stante la non operatività della disposizione di cui all’art. 186 disp. att. cod. proc. pen. – dettata per la sola fase esecutiva – che prevede l’acquisizione ex officio delle sentenze e dei decreti irrevocabili non allegati alla richiesta.
I giudici di legittimità hanno, in seguito, precisato che la locuzione ‘onere di allegazione’, atecnicamente utilizzata dalla giurisprudenza, “in realtà sottolinea la necessità che la prova dell’esistenza di un comune disegno criminoso sia effettiva, e non si limiti a registrare l’esistenza di elementi, come la prossimità spazio-temporale e l’identità del bene giuridico leso, che, di per sé, sono neutri, essendo anche compatibili con la mera inclinazione a delinquere, fenomeno ben diverso dalla unitaria programmazione, anche generica, di più reati” (Cass. pen., Sez. Un., n. 7953/2018).
Ciò che maggiormente rileva in questa sede riguarda l’applicabilità, in tema di onere probatorio, della disposizione di cui all’art. 186 disp. att. cod. proc. pen. – la quale, come evidenziato in precedenza, onera il giudice dell’esecuzione di acquisire le sentenze e i decreti penali di condanna non allegati alla richiesta dell’istante – anche alla fase di cognizione.
La giurisprudenza di legittimità appare oggi pacifica nel ritenere che, durante il giudizio di cognizione, l’imputato che richiede l’applicazione dell’istituto della continuazione del reato sub judice con altri oggetto di sentenza divenuta irrevocabile non può limitarsi ad indicare esclusivamente gli estremi della stessa dal momento che sussiste a suo carico l’onere di produrne copia, “non essendo applicabile in via analogica la disposizione di cui all’art. 186 disp. att. cod. proc. pen. dettata per la sola fase esecutiva, atteso che l’imputato è necessariamente assistito da un difensore, sul quale incombe l’onere di produrre gli elementi posti a fondamento dell’istanza e l’acquisizione di ufficio dei provvedimenti comporterebbe il rinvio del giudizio senza sospensione del decorso del termine di prescrizione” (così Cass. pen., sez. II, n. 49082/2018).
Invero, all’applicazione di tale disposizione, prevista espressamente per il giudizio in executivis, ostano, come ribadito dalla Suprema corte, diversi fattori. In primo luogo, ne risulterebbe compromesso il principio della ragionevole durata del processo in quanto, al fine di procedere all’acquisizione di ufficio delle sentenze non prodotte dall’istante, sarà necessario rinviare il giudizio di cognizione e questo determinerebbe il decorso del termine prescrizionale. In secondo luogo, contrariamente alla fase esecutiva in cui l’istanza di applicazione della continuazione può essere avanzata personalmente dal condannato, l’imputato nelle more processuali è assistito da un difensore, il quale ha l’onere di produrre al giudice tutti gli elementi sui quali si fonda la richiesta difensiva (si veda Cass. pen., sez. II, n. 49082/2018).
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Massime giurisprudenziali sull’onere probatorio nel reato continuato
L’imputato che richiede, nel giudizio di cognizione, il riconoscimento della continuazione con reati già giudicati non può limitarsi ad indicare gli estremi delle sentenze rilevanti a tal fine, ma ha l’onere di produrne la copia, non essendo applicabile in via analogica la disposizione di cui all’art. 186 disp. att. cod. proc. pen. dettata per la sola fase esecutiva, atteso che l’imputato è necessariamente assistito da un difensore, sul quale incombe l’onere di produrre gli elementi posti a fondamento dell’istanza e l’acquisizione di ufficio dei provvedimenti comporterebbe il rinvio del giudizio senza sospensione del decorso del termine di prescrizione. (Cass. pen., sez. II, 17 aprile 2018, n. 49082).
L’imputato che intenda richiedere, nel giudizio di cognizione, il riconoscimento della continuazione in riferimento a reati già giudicati non può limitarsi ad indicare gli estremi delle sentenze rilevanti a tal fine, ma ha l’onere di produrne la copia, non essendo applicabile in via analogica la disposizione di cui all’art. 186 disp. att. cod. proc. pen. dettata per la sola fase esecutiva. (In motivazione, la Corte ha precisato che l’onere di allegazione delle sentenze nel giudizio di cognizione è finalizzata ad impedire richieste intenzionalmente dilatorie ed a garantire la celerità del rito, esigenze che, invece, non sussistono in fase esecutiva). (Cass. pen., sez. VI, 6 febbraio 2018, n. 19487).
Ai fini dell’applicazione della disciplina della continuazione tra più delitti giudicati in separati processi, si configura l’onere dell’interessato di farne richiesta già al giudice della cognizione, con conseguente impossibilità di proporla per la prima volta a quello dell’esecuzione, solo quando il riconoscimento del medesimo disegno criminoso dipenda da circostanze di fatto mai oggetto di precedente accertamento, che, come tale, esorbita dalle competenze del giudice dell’esecuzione. (Cass. pen., sez. I, 22 giugno 2017, n. 28798).
Il presente contributo in tema di reato continuato è tratto da “Esecuzione del reato continuato” scritto da Paolo Emilio De Simone ed Elisabetta Donato.
Esecuzione del reato continuato
Con il presente testo si vuole fornire all’operatore del diritto un attento ed organico approfondimento della disciplina relativa al concorso formale tra reati ed al reato continuato, dettata dall’articolo 81 del codice penale, focalizzando in particolare l’attenzione sull’applicazione di tali istituti proprio nella fase esecutiva della condanna penale.Curata ed approfondita, la trattazione dedicata ai principi operanti in materia così come desumibili dalla elaborazione giurisprudenziale: il testo, infatti, è arricchito da una raccolta organica, aggiornata e ragionata dei provvedimenti resi dalla giurisprudenza di legittimità con specifica indicazione, all’interno di ogni singola massima, del principio cardine.Paolo Emilio De SimoneMagistrato dal 1998, dal 2006 è in servizio presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma; in precedenza ha svolto le sue funzioni presso il Tribunale di Castrovillari, presso la Corte di Appello di Catanzaro, nonché presso il Tribunale del Riesame di Roma. Nel biennio 2007/08 è stato anche componente del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Roma previsto dalla legge costituzionale n°01/89. Dal 2016 è inserito nell’albo dei docenti della Scuola Superiore della Magistratura, ed è stato nominato componente titolare della Commissione per gli Esami di Avvocato presso la Corte di Appello di Roma per le sessioni 2009 e 2016. È autore di numerose pubblicazioni, sia in materia penale che civile, per diverse case editrici.Elisabetta DonatoDottoressa in giurisprudenza con lode e tirocinante presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma, ha collaborato, per la stessa casa editrice, alla stesura del volume I reati di falso (2018).
Paolo Emilio De Simone, Elisabetta Donato | 2019 Maggioli Editore
32.00 € 30.40 €
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