L’onere della prova del credito nelle domande di ripetizione proposte dal correntista

Redazione 12/02/20
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E’, allo stesso modo, doveroso ricordare che particolare attenzione deve riservare la difesa del correntista laddove questi sia parte attrice nella domanda di ripetizione di importi di cui abbia sostenuto il  diritto ad ottenerne la restituzione in quanto corrisposti nel corso del rapporto sine causa. Si consideri, innanzitutto, che, sebbene personalmente da me non condiviso per le ragioni più volte manifestate in miei vari modesti lavori, un prevalente orientamento giurisprudenziale ritiene ammissibile la domanda di ripetizione solo se il rapporto di conto corrente è chiuso e, quindi, secondo tale orientamento, se il conto è ancora aperto, sarebbe ammissibile solamente l’accertamento del saldo ma non anche la restituzione di importi.

Il principio dell’onere della prova

In merito all’onere della prova, è ovvio, anche in tal caso, che, in virtù del principio generale dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ., il correntista deve provare l’elemento costitutivo del diritto. Trattandosi di domanda di ripetizione deve provare il credito producendo i contratti e gli estratti conto del rapporto. Si ricorda, peraltro, che, in mancanza della documentazione contrattuale e contabile, l’utente bancario può sempre, ex art. 119 del decreto legislativo n. 385/1993, chiedere alla banca la documentazione relativa al decennio precedente (anche se un orientamento in dottrina e giurisprudenza ritiene -e io personalmente condivido- che, per quanto riguarda i documenti contrattuali, la banca non possa distruggere i contratti se non dopo il decorso del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria e, quindi, di sicuro non prima dei 10 anni dalla chiusura del rapporto e, per quanto riguarda la documentazione contabile, che il decennio di cui all’art. 119 d.l.gs 385/1993 andrebbe inteso come riferito ai documenti attestanti le singole operazioni ma non anche agli estratti conto che, invece, costituirebbero una sorta di rendiconto con la conseguenza che, anche essi, non potrebbero essere distrutti durante la pendenza del rapporto). Si consideri, ancora, che laddove la banca non ottemperi all’obbligo di consegna della documentazione richiesta ex art. 119 d.l.gs 385/1993, la giurisprudenza appare uniforme nel riconoscere il diritto del correntista di agire anche con ricorso per decreto ingiuntivo per la consegna di documentazione.

Non può ignorarsi, infine, che mentre alcune pronunce hanno affermato che non è ammissibile l’ordine di esibizione nel corso del giudizio ex art. 210 c.p.c. se l’utente non ha richiesto la documentazione prima dell’instaurazione del giudizio, con altre si è riconosciuto, invece, che la norma di cui all’art. 119 d.lgs. 385/1993 non prevede una preclusione tale che, se non si è chiesta prima del giudizio, non si potrebbe richiedere l’esibizione ex art. 210 c.p.c. (Cass. civ., sez. I, ord. 24 maggio 2019, n. 14231; Cass. civ., sent. 17 maggio 2017, n. 11554 ma già Cass. 5091/2016) in quanto, invece, la norma prevede una facoltà dell’utente. E’ necessario, in tal caso, tuttavia, che la richiesta non sia formulata oltre i termini di rito di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c.

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Andrea Agnese | 2017 Maggioli Editore

L’onere della prova del credito da parte del correntista

Detto questo, è evidente, tuttavia, in generale, l’onere della prova del credito da parte del correntista laddove sia attore.

Un problema si è posto nel caso in cui la documentazione contabile prodotta dal correntista non sia completa o non sia dall’inizio del rapporto. In tale ultima ipotesi, si sono registrate, in giurisprudenza, alcune pronunce che hanno ritenuto l’applicabilità, anche nella materia della ripetizione degli indebiti nei rapporti di conto corrente bancario, del principio cosiddetto della “vicinanza alla fonte di prova”. Nel caso in cui, in particolare, il correntista abbia la documentazione solo a partire da una certa data e con un saldo che risulti a debito e di cui contesti la validità, in virtù di tale principio e del fatto che è la banca ad avere maggiore possibilità di conservare l’intera documentazione, alcune pronunce hanno ritenuto che possa ritenersi possibile azzerare il  primo saldo con indubbi vantaggi per il correntista. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9201/2015 -senza a mio avviso,  però, una motivazione esaustiva- ha ritenuto, però, che l’azzeramento sarebbe possibile solamente quando sia la banca ad agire e non anche quando attore sia il correntista.

Recentemente, la Corte di Cassazione, con la sentenza del 2 maggio 2019, ha distinto, come sappiamo, “una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista e si riscontri la mancanza di una parte degli estratti conto, il primo dei quali rechi un saldo iniziale a debito del cliente” l’ipotesi in cui parte attrice sia il correntista da quella in cui sia la banca. In quest’ultimo caso, come abbiamo detto, è stato affermato che l’accertamento del dare e avere può attuarsi con l’impiego di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; possono inoltre valorizzarsi quegli elementi, quali ad esempio le ammissioni del correntista stesso, atti quantomeno ad escludere che, con riferimento al periodo non documentato da estratti conto, questi abbia maturato un credito di imprecisato ammontare (tale da rendere impossibile la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti per il periodo successivo), così che i conteggi vengano rielaborati considerando pari a zero il saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti; in mancanza di tali dati la domanda deve essere respinta”; nel caso in cui sia il correntista ad agire per la ripetizione dell’indebito, l’eventuale incompletezza degli estratti conto “si ripercuote sul correntista, su cui grava l’onere della prova degli indebiti pagamenti, sicché, in assenza di diverse evidenze, il conteggio del dare e avere deve essere effettuato partendo dal primo saldo a debito del cliente di cui si abbia evidenza (cfr., in tema, Cass. 28 novembre 2018, n. 30822). Ciò non esclude, tuttavia, che lo stesso correntista possa fornire “puntuali elementi di prova atti a dar ragione del pregresso andamento del conto, così da consentirne la ricostruzione per il periodo non documentato dagli estratti; e non esclude nemmeno che, sulla base del complessivo quadro processuale, e indipendentemente da tale ricostruzione, al periodo in questione possa assegnarsi un saldo di diverso ammontare, più favorevole al cliente (ciò che potrà ad esempio verificarsi in ragione della condotta processuale della banca, la quale ritenga di stralciare, in tutto o in parte, il credito da essa maturato in detto arco di tempo, o di riconoscersi addirittura debitrice di una data somma per le movimentazioni occorse nello stesso periodo)”. Nel caso di domanda proposta dal correntista, pertanto, secondo la suddetta pronuncia, l’accertamento del dare e avere può del pari attuarsi con l’utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete atte a dar ragione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto; ci si può inoltre avvalere di quegli elementi che consentano di affermare che il debito nell’intervallo non documentato sia inesistente o inferiore al saldo passivo iniziale del primo degli estratti conto prodotti o che permettano addirittura di affermare che in quell’arco di tempo sia maturato un credito per il cliente stesso; diversamente si devono elaborare i conteggi partendo da tale saldo debitore”.

Sebbene, mi pare il caso di precisare, è solo una mia modesta opinione, a mio avviso, non ci si può esimere da una riflessione: la tenuta e gestione del conto rientra tra le obbligazioni a carico della banca nel rapporto di conto corrente a tal punto che, per tale gestione, sono previste delle apposite spese. Meriterebbe, allora, una maggiore riflessione la questione se, in caso di documentazione incompleta e di rifiuto della banca a fornire quei documenti contabili sin dall’inizio del rapporto, si possa richiedere la differenza che si determinerebbe se si azzerasse  il  primo  saldo a debito in forma risarcitoria per non avere conservato la documentazione contabile e, quindi,  per avere violato un obbligo tenendosi conto, oltretutto, degli obblighi  derivanti dalla disciplina dello specifico contratto e da quella sul mandato.

La lacuna documentale

Per quanto riguarda l’ipotesi in cui, invece, la lacuna documentale riguardi solo uno o alcuni periodi, all’orientamento giurisprudenziale che ha negato ingresso alla domanda di ripetizione, se ne affianca un altro -condiviso anche dai giudici di legittimità- secondo cui, invece, la domanda è ammissibile laddove sia possibile la ricostruzione cosiddetta “a blocchi”. Si ricorda, a tal proposito, solo per citare le pronunce più chiare e note, quanto ricordato da Tribunale di Macerata, con sentenza 2 novembre 2016, n. 1233, nonché dalla Corte di Cassazione, con ordinanza del 1° giugno 2018, n. 14074 oppure ancora da Cass. civ. ord. 3 dicembre 2018 n. 31187 che ha ricordato che il correntista, il quale “agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito è tenuto a fornire la prova sia degli avvenuti pagamenti che della mancanza, rispetto ad essi, di una valida “causa debendi”, sicché il medesimo ha l’onere di documentare l’andamento del rapporto con la produzione di tutti quegli estratti conto che evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione in quanto riferite a somme non dovute.” 6.4. Tuttavia, qualora il cliente limiti l’adempimento del proprio onere probatorio soltanto ad alcuni aspetti temporali dell’intero andamento del rapporto, versando la documentazione del rapporto in modo lacunoso e incompleto, il giudice – valutate le condizioni delle parti e le loro allegazioni (anche in ordine alla conservazione dei documenti) – può integrare la prova carente, sulla base delle deduzioni in fatto svolte dalla parte, anche con altri mezzi di cognizione disposti d’ufficio, in particolare con la consulenza contabile, utilizzando, per la ricostruzione dei rapporti di dare e avere, il saldo risultante dal primo estratto conto, in ordine di tempo, disponibile e acquisito agli atti. La Corte territoriale – affermando che «la mancata produzione dei contratti e degli estratti conto completi (questi ultimi oggetto di onere probatorio gravante sul correntista, attore in ripetizione dell’indebito) non comporta impossibilità di procedere al ricalcolo dei saldi (…), ma la mera necessità di assumere come punto di partenza il primo degli estratti disponibili» – si è uniformata ai principi sopra enunciati, nel rispetto della regola relativa all’onere della prova. Infatti, avendo il correntista ottemperato parzialmente a detto onere, la Corte medesima, sulla base del proprio prudente apprezzamento, ha fatto ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio, compiuta attraverso la ricostruzione dell’andamento del rapporto e condotta attraverso ragionevoli e fondate ipotesi matematiche, in relazione alle quali non possono – in questa sede -darsi diverse valutazioni di merito. Trova applicazione, nel caso di specie, il principio già altre volte enunciato da questa Corte, secondo cui «la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche» (Cass. n. 6155 del 2009; in senso conforme, v. anche Cass. n. 2069 del 2013).

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