Prescrizione: l’impatto con la normativa europea

Redazione 27/02/20
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L’ordinamento italiano ha da sempre considerato la prescrizione come una sorta tagliola; pur tenendo ben presente che alcuni reati sono imprescrittibili, tra questi vi rientra il genocidio.

Più alto il livello edittale, maggiore sarà la prescrizione.  Quali sono le ragione di questo dettato:

  • primo tra tutti l’oblio, con il passare del tempo si perde l’interesse;
  • in secondo luogo per una ragione pratica, le prove che si possono acquisire.

In Germania la prescrizione è, all’opposto, considerata, come uno sconto di pena.

La pretesa punitiva si stabilisce dal momento in cui si scopre il delitto, per alcuni Stati.

La prescrizione ha carattere personale

In Italia, la prescrizione è a carattere personale. Sull’istituto è intervenuta la legge, denominata ex Cirielli, con la quale si prevedeva che per stabilire la pena bisognava prima pensare al bilanciamento delle circostanze.

La norma modificò il calcolo della prescrizione dei reati. La previgente disciplina commisurava i termini prescrizionali in base a degli “scaglioni” (esempio: la prescrizione è di 15 anni se per il delitto è stabilita la pena della reclusione non inferiore a 10 anni), la nuova legge, invece, fissa i termini di prescrizione rendendoli uguali al massimo della pena edittale prevista per il tipo di reato (esempio: la prescrizione per il delitto di ricettazione sarà di 8 anni visto che la pena massima prevista è di anni 8) mantenendo la prescrizione fissa in 4 anni per i reati contravvenzionali e in 6 anni per i delitti la cui pena sia non superiore a 6 anni oppure sia pecuniaria.

Gli artt. 157 c.p. e 161 co2 c.p. fissano dei limiti massimi a garanzia del soggetto.

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La successione di legge nel tempo (lex mitior)

Se la prescrizione si accorcia allora sarà possibile utilizzarla anche per i processi pendenti (lex mitior), ad eccezione del caso in cui non si sia verificare la dichiarazione di apertura di dibattimento in primo grado. La Corte Costituzionale ha stabilito che la lex mitior non si applica indiscriminatamente. Vi è, quindi, una lesione del principio di ragionevolezza di cui ex art. 3 Cost.

Il caso Taricco sulla prescrizione

Art 325 TFUE la normativa europea sembra violata dalla norma italiana che prevede una prescrizione breve per i reati finanziari. Nel caso in esame, il GUP invece che dichiarare la prescrizione si domanda se la disciplina italiana non fosse in contrasto con il 325 TFUE.

I dubbi sollevati al GUP di Cuneo sono reali per la Corte di Giustizia. Nella materia penale c’è la riserva di legge, la concezione monista che predilige la disapplicazione della norma penale per fare posto alla norma comunitaria non può essere fatto. Nella materia penale, infatti, è prevista una competenza esclusiva della normativa nazionale.

Come è ben noto, in tale pronuncia la Grande Sezione della Corte di Giustizia, sollecitata dal GUP presso il Tribunale di Cuneo, ha affermato l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la disciplina interna in materia di atti interruttivi della prescrizione emergente dagli artt. 160 e 161 c.p., allorquando ritenga che essa, fissando un limite massimo al corso della prescrizione, impedisca allo Stato italiano di adempiere agli obblighi di effettiva tutela degli interessi finanziari dell’Unione, imposti dall’art. 325 del TFUE, nei casi di frodi tributarie di rilevante entità altrimenti non punite in un numero considerevole di casi.

Due le ravvisate ipotesi di incompatibilità degli artt. 160 e 161 c.p. con il diritto UE: la prima, con riferimento all’art. 325, par. 1 TFUE, allorquando il giudice nazionale ritenga che dall’applicazione delle norme in materia di (interruzione della) prescrizione derivi, in un numero considerevole di casi, l’impunità penale a fronte di fatti costitutivi di una frode grave in materia di IVA o di interessi finanziari dell’Unione europea, di talché la normativa interna impedisca l’inflizione di sanzioni effettive e dissuasive per tali condotte; la seconda, con riguardo all’art. 325, par. 2 TFUE, nel caso in cui il giudice interno verifichi che la disciplina nazionale contempli per i casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari interni termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode (di natura e gravità comparabili) lesivi di interessi finanziari dell’UE.

Nel caso di specie, anche la Corte Costituzionale veniva stata scavalcata, perché doveva essere lei a dichiarare la incostituzionalità di cui all’art. 160 c.p.

Nell’ordinanza interlocutoria la Corte Costituzionale tocca il problema del divieto di retroattività e tassatività, mentre astutamente non cita la lesione della riserva di legge.

La pronuncia della Corte di Giustizia

Con la sentenza n. 115/2018 la Corte Costituzionale ha portato il giudice di Lussemburgo a uscirne vittorioso.

La sentenza resa nella causa Taricco dalla Corte di Giustizia ha stabilito che il giudice nazionale deve disapplicare, alle condizioni che poi si vedranno, gli artt. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., omettendo di dichiarare prescritti i reati e procedendo nel giudizio penale, in due casi: innanzitutto, secondo una regola che è stata tratta dall’art. 325, paragrafo 1, TFUE, quando questo regime giuridico della prescrizione impedisce di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di gravi casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione; in secondo luogo, in base a una regola desunta dall’art. 325, paragrafo 2, TFUE (cosiddetto principio di assimilazione), quando il termine di prescrizione, per effetto delle norme indicate, risulta più breve di quello fissato dalla legge nazionale per casi analoghi di frode in danno dello Stato membro. Entrambi i rimettenti giudicano imputati ai quali sono addebitati reati che, ove fossero applicati gli artt. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., dovrebbero ritenersi prescritti. Diversamente si dovrebbe decidere, invece, se in applicazione della “regola Taricco” tali disposizioni non potessero operare.

I giudici de quibus osservano che questa regola è senz’altro applicabile nei rispettivi giudizi, che vertono su gravi frodi in materia di IVA, con conseguente lesione degli interessi finanziari dell’Unione. Le frodi, inoltre, ricorrerebbero in un numero considerevole di casi, così da integrare tutte le condizioni che concretizzano la “regola Taricco”. Nel solo processo milanese rileverebbe anche, e con il medesimo effetto, il paragrafo 2 dell’art. 325 TFUE, perché ad alcuni imputati è contestato il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari attinenti all’IVA. Questa figura criminosa non è compresa nell’elenco dei delitti previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., che invece, nel comma 3-bis, include l’art. 291-quater del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), ovvero l’associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Vi sarebbe perciò un’ipotesi di frode in danno dell’Italia dal profilo analogo a quello del reato per cui procede la Corte d’appello rimettente, per la quale l’ordinamento nazionale prevede un regime della prescrizione più severo, violando così il principio di assimilazione.

I rimettenti, dopo aver dato conto della necessità di applicare la “regola Taricco”, reputano che essa sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato e censurano pertanto la normativa nazionale che, dando esecuzione all’art. 325 TFUE, accoglie nel nostro ordinamento tale regola. Premesso che l’istituto della prescrizione appartiene alla legalità penale sostanziale, la Corte di cassazione ritiene violato l’art. 25, secondo comma, Cost. per i profili della riserva di legge in materia penale, posto che il regime della prescrizione cesserebbe di essere legale, della determinatezza, a causa della genericità dei concetti di «grave frode» e di «numero considerevole di casi», intorno ai quali ruota la “regola Taricco”, e del divieto di retroattività, considerato che i fatti addebitati agli imputati sono anteriori all’8 settembre 2015, data di pubblicazione della sentenza Taricco.

Inoltre sarebbe leso l’art. 101, secondo comma, Cost., perché verrebbe demandata al giudice un’attività implicante una «valutazione di natura politico-criminale» che spetterebbe invece al legislatore. Sarebbero poi violati gli artt. 3 e 24 Cost., a causa della irragionevolezza manifesta della “regola Taricco” e dell’impedimento che essa avrebbe costituito per gli imputati di prevedere la data di prescrizione del reato e conseguentemente di valutare l’opportunità di accedere a un rito alternativo. Infine, sarebbe leso l’art. 27, terzo comma, Cost., perché legare il termine di prescrizione esclusivamente a considerazioni attinenti alla tutela di interessi finanziari farebbe venire meno la finalità rieducativa della pena.

La Corte d’appello di Milano, a sua volta, premessa la natura sostanziale della prescrizione, reputa leso l’art. 25, secondo comma, Cost., a causa del carattere retroattivo in malam partem della “regola Taricco”, tenuto conto del fatto che i reati contestati nel giudizio a quo sono stati commessi prima dell’8 settembre 2015.

Con l’ordinanza n. 24 del 2017 ha riunito i giudizi e disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per l’interpretazione relativa al corretto significato da attribuire all’art. 325 TFUE e alla sentenza Taricco. Secondo questa Corte l’eventuale applicazione della “regola Taricco” nel nostro ordinamento violerebbe gli artt. 25, secondo comma, e 101, secondo comma, Cost., e non potrebbe perciò essere consentita neppure alla luce del primato del diritto dell’Unione. Tuttavia è sembrato a questa Corte che la stessa sentenza Taricco (paragrafi 53 e 55) tenda ad escludere tale applicazione ogni qual volta essa venga a trovarsi in conflitto con l’identità costituzionale dello Stato membro e in particolare implichi una violazione del principio di legalità penale, secondo l’apprezzamento delle competenti autorità di tale Stato. Di ciò è stata chiesta conferma alla Corte di giustizia.

La Grande sezione della Corte di giustizia, con sentenza 5 dicembre 2017, in causa C-42/17, M.A. S. e M. B., ha compreso il dubbio interpretativo di questa Corte e ha affermato che l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la normativa interna in materia di prescrizione, sulla base della “regola Taricco”, viene meno quando ciò comporta una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile o dell’applicazione retroattiva di una normativa che prevede un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.

La nuova pronuncia della Corte di Lussemburgo opera su due piani connessi. In primo luogo, provvede a chiarire che, in virtù del divieto di retroattività in malam partem della legge penale, la “regola Taricco” non può essere applicata ai fatti commessi anteriormente alla data di pubblicazione della sentenza che l’ha dichiarata, ovvero anteriormente all’8 settembre 2015 (paragrafo 60). Si tratta di un divieto che discende immediatamente dal diritto dell’Unione e non richiede alcuna ulteriore verifica da parte delle autorità giudiziarie nazionali.

In secondo luogo demanda a queste ultime il compito di saggiare la compatibilità della “regola Taricco” con il principio di determinatezza in materia penale (paragrafo 59). In tal caso, per giungere a disapplicare la normativa nazionale in tema di prescrizione, è necessario che il giudice nazionale effettui uno scrutinio favorevole quanto alla compatibilità della “regola Taricco” con il principio di determinatezza, che è, sia principio supremo dell’ordine costituzionale italiano, sia cardine del diritto dell’Unione, in base all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo (paragrafi 51 e 52 della sentenza M.A.S.).

Il decreto Renzi ha innalzato le soglie dei reati finanziari, soglie poi che verranno ribassate con la legge manette agli evasori.

Si legga anche:”Il Decreto fiscale “manette agli evasori””

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