L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza n. 5 del 18/02/2020 enuncia i seguenti principi di diritto:
A) L’art. 42 bis del DPR 8 giugno 2001 n. 327 si applica a tutte le ipotesi in cui un bene immobile altrui sia utilizzato e modificato dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, e dunque quale che sia la ragione che abbia determinato l’assenza di titolo che legittima alla disponibilità del bene.
B) Il giudicato restitutorio (amministrativo o civile), inerente all’obbligo di restituire un’area al proprietario da parte dell’Amministrazione occupante sine titulo, non preclude l’emanazione di un atto di imposizione di una servitù, in esercizio del potere ex art. 42 bis, comma 6, DPR 8 giugno 2001 n. 327, poiché questo presuppone il mantenimento del diritto di proprietà in capo al suo titolare.
L’articolo 42 bis si applica ogni volta che, in assenza di decreto di esproprio o dichiarativo di pubblica utilità, un bene immobile altrui sia utilizzato dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico
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La natura di “norma di chiusura” dell’art. 42-bis permette di ricondurre a al regime ogni ipotesi in cui l’Amministrazione utilizzi la proprietà privata per ragioni di pubblico interesse ma in difetto di un valido titolo legittimante.
La possibilità di consentire l’applicazione dell’art. 42 bis in tutte le ipotesi in cui “per qualsiasi ragione un bene immobile altrui sia utilizzato dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico” risulta coerente anche con l’inquadramento logico-sistematico della disposizione, nell’ambito di una più generale riflessione sull’attività amministrativa e sugli strumenti ad essa inerenti.
Occorre, tuttavia, che l’utilizzazione sine titulo del bene deve essere comunque intervenuta “per scopi di interesse pubblico”.
L’attività della pubblica amministrazione volta alla cura, tutela, perseguimento dell’interesse pubblico, può esercitarsi sia attraverso l’esercizio di poteri pubblicistici sia con strumenti propri del diritto privato, in un contesto generale già delineato attraverso l’esercizio di potestà pubbliche.
Nei casi, infatti, di contratto ad oggetto pubblico l’amministrazione mantiene comunque la sua tradizionale posizione di supremazia. Con riguardo ai cd. contratti ad oggetto pubblico ed ai cd. contratti ad evidenza pubblica, la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di osservare (Cons. Stato, sez. IV, n,. 2256/2017 cit.) come la finalità di pubblico interesse ne determini diversamente il contenuto.
La remissione all’Adunanza Plenaria
Il Consiglio di Stato, Sezione II, sentenza n. 705 del 28/01/2020 ha affermato che la cessione volontaria dell’immobile può essere ricondotta al genus dei c.d. contratti ad oggetto pubblico, che si diversifica dai normali contratti di compravendita di diritto privato.
In primo luogo, quello che caratterizza la cessione volontaria dell’immobile consiste nell’inserimento del negozio nell’ambito di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità. In particolare, la cessione assolve alla peculiare funzione dell’acquisizione del bene da parte dell’espropriante, quale strumento alternativo all’ablazione d’autorità mediante decreto di esproprio.
Inoltre, altro aspetto caratterizzante la cessione volontaria consiste nella preesistenza di una dichiarazione di pubblica utilità e di un subprocedimento di determinazione dell’indennità e delle relative offerte ed accettazione, con la sequenza e le modalità previste dall’art. 12 della legge n. 865 del 1971.
Infine, il prezzo di trasferimento volontario non è retto dai principi di autonomia contrattuale ma è necessariamente correlato ai parametri di legge stabiliti, inderogabilmente, per la determinazione dell’indennità di espropriazione.
Anche in presenza di giudicato restitutorio è possibile l’emanazione di un atto di imposizione di servitù.
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Si tratta dell’ulteriore principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria.
In particolare, nei fatti ad oggetto del giudizio l’appellante ritiene possibile e legittimo il ricorso all’art. 42 bis per l’emanazione di un decreto di imposizione di servitù. Ritenendo, in particolare, che l’esistenza del giudicato civile “semmai costituisce valido presupposto per l’esercizio di tale potere”.
L’ordinanza di rimessione, nel sottoporre i relativi quesiti all’ Adunanza Plenaria, presuppone la inapplicabilità dell’art. 42 bis in presenza di un giudicato restitutorio.
Ed infatti l’ordinanza sottolinea come la sentenza n. 71/2015 della Corte Costituzionale e n. 2/2016 dell’Adunanza Plenaria – che escluderebbero entrambe il ricorso all’art. 42 bis “in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato” – hanno considerato la (sola) ipotesi dell’acquisto della proprietà “per evidenziare come un tale provvedimento non possa caducare il giudicato restitutorio”, lasciando invece impregiudicata la diversa ipotesi della imposizione di una servitù. Ne consegue – secondo l’ordinanza – come “sembra risultare evidente che il giudicato restitutorio di certo dovrebbe escludere l’attivazione e la conclusione del procedimento volto a disporre l’acquisizione in proprietà, ma di per sé può giustificare la diversa misura della imposizione di una servitù”.
Alla luce dei principi desumibili dalle sentenze riportate, l’Adunanza Plenaria afferma che perché possa prodursi l’effetto preclusivo derivante dal giudicato restitutorio, occorre che: la sentenza preveda espressamente la condanna dell’amministrazione alla restituzione del bene; l’effetto preclusivo si realizza con riguardo al provvedimento ex art. 42 bis, co. 2, comportante l’acquisizione dello stesso alla proprietà pubblica.
Pertanto, tali presupposti non possono fermare anche l’adozione del diverso provvedimento di imposizione di servitù, di cui al successivo comma 6.
Quanto a questo secondo aspetto, la sentenza coperta da giudicato in senso sostanziale, ex art. 2909 c.c., fa stato tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, nei limiti oggettivi costituiti dai suoi elementi costitutivi, ovvero il titolo della stessa azione (causa petendi) e il bene della vita che ne forma oggetto (cd. petitum mediato).
Afferma pertanto il Consiglio di Stato che “Appare, dunque, evidente come, se oggetto del petitum è il recupero del bene alla piena proprietà e disponibilità del soggetto privato originariamente proprietario, non rientra nell’ambito oggettivo del giudicato, e dunque non si pone in contrasto con lo stesso, un provvedimento che, senza incidere sulla titolarità del bene, imponga sullo stesso ex novo (e, quindi, ex nunc) una servitù, trattandosi di ipotesi affatto diversa da quella inibita dal giudicato e assolutamente coerente con, e anzi presupponente, il mantenimento della proprietà in capo al privato”.
In conclusione: “il giudicato restitutorio (amministrativo o civile), inerente all’obbligo di restituire un’area al proprietario da parte dell’Amministrazione occupante sine titulo, non preclude l’emanazione di un atto di imposizione di una servitù di passaggio sull’area in questione”, che presuppone il mantenimento del diritto di proprietà in capo al suo titolare.
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