(Riferimenti normativi: Cod. proc. pen., artt. 197-bis, c. 2; 210)
Il fatto
Il Tribunale di Teramo in composizione collegiale aveva dichiarato: a) uno dei coimputati colpevole dei reati a lui ascritti al capo D) (esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11-quinquies) ed al capo C) (qualificato D.P.R. n. 309 de 1990, ex art. 73, comma 5, ed in esso assorbita la condotta in origine contestata sub B)), unificati dal vincolo della continuazione, condannato alla pena ritenuta di giustizia; b) l’altro coimputato colpevole del reato a lui ascritto al capo C) (qualificato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, ed esclusa l’aggravante di cui all’art. 80 stesso D.P.R.), condannato alla pena ritenuta di giustizia, con sospensione condizionale.
Con sentenza del 6.12.2017, la Corte d’appello di L’Aquila aveva integralmente confermato la predetta sentenza.
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La disciplina dei reati in materia di stupefacenti
Forte della consolidata esperienza degli Autori, l’opera si pone quale strumento utile al Professionista per affrontare la trattazione dei reati in materia di stupefacenti, nell’ambito dell’aula giudiziaria.Aggiornato alla recente giurisprudenza, il volume costituisce una vera e propria guida, privilegiando l’analisi degli aspetti operativi e processuali e fornendo una rassegna giurisprudenziale al termine di ogni singolo capitolo.L’opera si completa di un dettagliato indice analitico che permette un’agevole consultazione, realizzando il diretto richiamo a tutte le singole questioni trattate.Il volume include una rassegna giurisprudenziale al termine di ciascun capitolo.Santi BolognaMagistrato ordinario con funzioni di giudice distrettuale per le indagini preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta, già Giudice del dibattimento presso la Prima sezione penale del Tribunale di Caltanissetta. Docente, ad incarico, nella materia del Diritto penale presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali costituita dall’Università degli studi di Enna Kore, negli anni accademici 2017-2021. Ha curato la redazione dei Capp. I, III, V.Alessandro BoscoMagistrato ordinario in tirocinio presso il Tribunale di Roma, già abilitato all’esercizio della professione forense. Dottore di ricerca in Diritto pubblico presso l’Università degli studi di Roma «Tor Vergata», Cultore della materia presso l’Università LUISS «Guido Carli» di Roma e l’Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Ha curato la redazione dei Capp. XI, XII, XIII.Alfredo SpitaleriMagistrato dal 2017, è Giudice del Tribunale di Siracusa dove ha svolto fino al 2020 le funzioni di Giudice del dibattimento penale. Si è occupato di numerosi e rilevanti procedimenti in materia di Criminalità organizzata, stupefacenti e reati contro la persona. Attualmente svolge le funzioni di Giudice civile presso lo stesso Tribunale. Ha curato la redazione dei Capp. II, IV, VI, VII, VIII, IX, X.
Santi Bologna, Alessandro Bosco, Alfredo Spitaleri | 2021 Maggioli Editore
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questa decisione proponevano ricorso per Cassazione gli imputati.
In particolare, uno di questi deduceva i seguenti motivi: a) nullità della lista testi del P.M. con conseguente decadenza ed inutilizzabilità delle deposizioni testimoniali acquisite su richiesta del P.M. per violazione dell’art. 468 c.p.p., comma 1; b) inutilizzabilità delle dichiarazioni di P.G. per violazione dell’art. 197-bis c.p.p., comma 4; c) inutilizzabilità dei tabulati telefonici acquisiti ex art. 507 c.p.p. perché non presenti nel fascicolo del P.M. al momento della richiesta di giudizio immediato, nè menzionati tra gli atti d’indagine rilevanti; d) inattendibilità delle dichiarazioni rese dal tese P.G. e insussistenza dei necessari riscontri.
L’altro imputato, a sua volta, prospettava le seguenti doglianze: 1) violazione degli artt. 64, 210 e 468 c.p.p. e violazione correlata degli artt. 192, 511 e 546 c.p.p. – art. 111 Cost., art. 6 Conv. EDU: violazione del diritto di difesa, del diritto al contraddittorio, del diritto alle parità delle armi ed al giusto processo, in particolare nella formazione della prova nonché plurimi vizi di motivazione; 2) violazione degli artt. 468, 192, 197, 197-bis e 210 c.p.p. – art. 12 c.p.p., comma 1, lett. a), – D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, art. 125 c.p.p., comma 3, art. 178 c.p.p., art. 179 c.p.p., comma 2, artt. 191, 192, 526 e 546 c.p.p., art. 111 Cost., art. 6 CEDU.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
Per quel che rileva in questa sede e, quindi, in relazione al motivo concernente la violazione dell’art. 468 c.p.p., giova rilevare come la Corte di Cassazione abbia rilevato quanto segue.
Veniva osservato prima di tutto che l’art. 468 c.p.p. richiede testualmente, a pena d’inammissibilità, soltanto il tempestivo deposito della lista e l’indicazione delle circostanze sulle quali deve vertere il chiesto esame, non anche l’indicazione della qualità dei soggetti indicati in lista e, pertanto,
non è richiesta l’indicazione del loro nominativo dal momento che la Cassazione (Sez. 4, Sentenza n. 23986 del 26/04/2016, Rv. 266706; Sez. 3, Sentenza n. 38501 del 25/09/2007, Rv. 237948) ha già chiarito che l’omessa o l’erronea indicazione, da parte del P.M., nella lista testimoniale di cui all’art. 468 c.p.p., del nome del pubblico ufficiale di polizia giudiziaria verbalizzante non comporta l’impossibilità di escutere il soggetto che ha effettivamente operato purché tale nominativo sia facilmente reperibile e conoscibile da parte dell’imputato sulla base degli atti, l’esame sia condotto ritualmente e verta sulle circostanze indicate nella lista tenuto conto altresì del fatto che il P.G. aveva correttamente indicato in lista come persona offesa (lo era in relazione al reato di estorsione), fosse stato altrettanto correttamente esaminato in qualità di testimone “assistito” ai sensi dell’art. 197-bis c.p.p., comma 2.
Il contrario assunto dei ricorrenti, ad avviso del Supremo Consesso, non risultava essere condivisibile posto che: I) l’art. 210 c.p.p. disciplina testualmente l’esame delle persone che non possono assumere l’ufficio di testimone; II) l’art. 197-bis c.p.p., comma 2, stabilisce, diversamente, che può assumere l’ufficio di testimone l’imputato in procedimento connesso ex art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c), o di un reato collegato ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), nel caso previsto dall’art. 64 c.p.p., comma 3, lett. c).
Orbene, nel caso di specie, secondo la Suprema Corte, il presupposto di cui al numero II) ricorreva nel caso concreto ed era stato giustamente valorizzato per determinare lo status del dichiarante P.G., imputato di un reato collegato ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), dato che uno degli imputati era stato chiamato a rispondere nell’odierno processo, in concorso con l’altro, non soltanto di concorso in cessione di sostanze stupefacenti ma anche, da solo, di estorsione finalizzata ad ottenere il pagamento del prezzo della predetta cessione) ed altresì ricorreva pacificamente il caso previsto dall’art. 64 c.p.p., comma 3, lett. c).
Di conseguenza, alla stregua di ciò, si riteneva come non potesse risultare decisiva,
in senso contrario, la decisione invocata a sostegno del contrario assunto (Sez. 6, n. 12610 del 14/01/2010, Rv. 246726: “Il venditore del,a sostanza stupefacente non può essere sentito in qualità di testimone assistito, ma solo in qualità di imputato di reato connesso, nel dibattimento a carico dell’acquirente della stessa sostanza, atteso che egli è concorrente necessario nel reato contestato a quest’ultimo”), riguardante fattispecie nella quale si procedeva per il solo reato di acquisto di sostanze stupefacenti non anche di estorsione in danno dell’acquirente.
Ma al di là di ciò, gli Ermellini consideravano siffatta decisione comunque non condivisibile visto che, come assolutamente pacifico in giurisprudenza (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 7404 del 15/01/2015, Rv. 262421), il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 ha natura giuridica di norma a più fattispecie, con la conseguenza che, da un lato, il reato è configurabile allorché il soggetto abbia posto in essere anche una sola delle condotte ivi previste, dall’altro, deve escludersi il concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative previste dalla norma poste in essere senza apprezzabile soluzione di continuità dallo stesso soggetto ed aventi come oggetto materiale la medesima sostanza stupefacente: pertanto, quando unico è il fatto concreto che integra contestualmente più azioni tipiche alternative, le condotte illecite minori perdono la loro individualità e vengono assorbite nell’ipotesi più grave; quando invece le differenti azioni tipiche sono distinte sul piano ontologico, cronologico e psicologico, esse costituiscono distinti reati concorrenti materialmente (Sez. 6, n. 22549 del 28/03/2017, Rv. 270266).
Ciò posto, fuori da questa ipotesi, è in generale pacifica anche l’autonomia di ciascuna condotta tipica (Sez. 5, n. 4529 del 10/11/2010, dep. 2011, Rv. 249252) dato che, con la previsione normativa del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 ed 80, il legislatore ha voluto punire tutte le attività che concretano il traffico (quali che ne siano le effettive dimensioni, dall’importazione di massicci quantitativi al piccolo spaccio al minuto) di sostanze stupefacenti o psicotrope enucleando una serie di condotte tipiche (tra le quali anche acquisto e vendita o cessione) tutte punite allo stesso modo e costituenti, perciò, ipotesi criminose distinte, autonome, ma equivalenti, che si pongono in rapporto di alternatività formale; le diverse condotte dalle norme previste perdono la loro individualità se costituiscono manifestazione del potere di disposizione della medesima sostanza il che può comportarne l’assorbimento, e la conseguente esclusione del concorso di reati, sempre che si tratti della stessa sostanza stupefacente e che le condotte siano state poste in essere contestualmente, ossia indirizzate ad un unico fine e senza apprezzabile soluzione di continuità (così tradizionalmente la giurisprudenza, a partire da Sez. 6, n. 11360 del 08/07/1994, Rv. 199368).
Tal che se ne faceva conseguire come fosse evidente che, in presenza di un rapporto contrattuale contra legem tra due soggetti, l’uno cedente (a titolo gratuito) o venditore (a titolo oneroso), l’altro acquirente (in ipotesi a sua volta al fine di future cessioni o vendite), il primo risponda di “cessione” o di “vendita” illecita di sostanze stupefacenti, il secondo di “acquisto” illecito delle medesime sostanze stupefacenti e che si sia fuori dal concorso nel medesimo reato poiché distinte sono le condotte tipiche a ciascuno ascrivibili.
Invece, secondo il Supremo Consesso, a ritenere il contrario (come fa l’isolata decisione richiamata dal ricorrente), dovrebbe, infatti, inammissibilmente ritenersi non soltanto il secondo soggetto responsabile di concorso nella cessione o vendita illecita posta in essere dal primo soggetto ma a ben vedere anche il primo soggetto responsabile di concorso nella condotta di acquisto illecito posta in essere dal secondo soggetto (è questa infatti la specifica fattispecie esaminata dal orientamento richiamato): condotte entrambe da assorbire – data la loro contestualità, considerato che ne costituirebbe oggetto la medesima sostanza stupefacente, e dovendosi quindi evitare un’indebita duplicazione di titoli di responsabilità penale – in una sola più grave condotta fermo restando che, tuttavia, in siffatta situazione, per la Corte di legittimità, non appare correttamente invocabile l’istituto del concorso di persone la cui funzione è pacificamente quella di attrarre nell’area del “penalmente rilevante” condotte atipiche causalmente collegate alla condotta tipica, altrimenti penalmente irrilevanti e quindi non sanzionabili, laddove, nel caso di specie, ciascuno dei soggetti interessati pone in essere una diversa condotta tipica (vendita/acquisto) della quale può quindi autonomamente e monosoggettivamente essere chiamato a rispondere.
Il Supremo Consesso, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, perveniva ad affermare quanto segue: a) “In presenza della vendita (o cessione) illecita di sostanza stupefacente a soggetto che la acquisti a sua volta illecitamente (ovvero al fine di successive vendite o cessioni illecite), i soggetti contraenti pongono in essere ciascuno una delle diverse ed autonome condotte tipiche incriminate D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73 (il primo, di “vendita” o “cessione”; l’altro, di “acquisto”), delle quali devono, quindi, autonomamente e monosoggettivamente essere chiamati a rispondere, non potendo essere configurato il concorso ex art. 110 c.p. dell’acquirente nella vendita o del venditore nell’acquisto, in quanto la funzione dell’art. 110 c.p. è quella di attrarre nell’area del “penalmente rilevante” condotte atipiche causalmente collegate ad una condotta tipica, altrimenti penalmente irrilevanti e quindi non sanzionabili, laddove, nel caso di specie, ciascuno dei soggetti interessati pone in essere una diversa condotta tipica.
Tal che se ne faceva derivare che, ove si proceda nei confronti dei predetti soggetti separatamente, l’acquirente non deve essere esaminato con le forme previste dall’art. 210 c.p.p., non essendo concorrente nel reato di vendita di sostanze stupefacente ed anzi, ricorrendone i presupposti, può essere esaminato con le forme previste dall’art. 197-bis c.p.p., comma 2.
Conclusioni
La decisione in oggetto è assai interessante nella parte in cui è postulato che, ove si proceda separatamente nei confronti di un soggetto che acquisti illecitamente sostanza stupefacente, costui non deve essere esaminato con le forme previste dall’art. 210 c.p.p. fermo restando che, ricorrendone i presupposti, può essere esaminato con le forme previste dall’art. 197-bis c.p.p., comma 2.
Da ciò discende dunque che ne confronti di tale soggetto, nel caso in cui sia giudicato separatamente dagli altri imputati, si dovrà sentirlo non nelle forme e nei modi stabiliti dall’art. 210 c.p.p. che, come è noto, regola l’esame di persona imputata in un procedimento connesso, ma, ove ne ricorrano le condizioni applicative, l’art. 197-bis, c. 2, c.p.p. che, come è altrettanto noto, dispone quanto segue: “L’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto dall’articolo 64, comma 3, lettera c)” (“Prima che abbia inizio l’interrogatorio, la persona deve essere avvertita che: (…) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall’articolo 197 e le garanzie di cui all’articolo 197-bis” c.p.p..
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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