Il fatto
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva rigettato la richiesta di emissione di decreto penale di condanna avendo ritenuto che sulla pena base dovesse, dapprima, operarsi la riduzione ex art. 459 c.p.p., comma 2, e, poi, la diminuzione per le attenuanti generiche (mentre nella richiesta di emissione di decreto penale, dapprima, si era operata la riduzione per le attenuanti generiche e, poi, quella ex art. 459 c.p.p., comma 2).
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questo provvedimento il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro aveva proposto ricorso per cassazione deducendo l’abnormità del provvedimento in quanto a suo avviso avrebbe determinato un’illegittima regressione del procedimento.
Difatti, sarebbe stato errato l’ordine seguito dal giudice e, comunque, il risultato del calcolo sarebbe stato uguale se si fosse effettuata la riduzione per il rito prima anziché dopo la riduzione per le circostanze attenuanti.
Il giudice, poi, avrebbe dovuto valutare la congruità della pena finale a prescindere dai singoli passaggi interni di calcolo come affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo al patteggiamento tenuto conto altresì del fatto che, procedendo ad un’interpretazione sistematica dell’art. 459 c.p.p., comma 2, inquadrandolo all’interno della disciplina dei riti alternativi premiali, non si sarebbe compresa la ragione per cui solo nel procedimento per decreto la riduzione di pena, prevista per le peculiarità del rito, avrebbe dovuto essere applicata prima e non dopo gli aumenti o le diminuzioni di pena, operate sulla pena edittale in ragione della presenza di eventuali circostanze aggravanti o attenuanti.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
Il ricorso veniva stimato inammissibile perché proposto per motivo manifestamente infondato.
Si osservava a tal proposito prima di tutto che l’ordinamento non prevede un mezzo d’impugnazione avverso il provvedimento con cui il G.i.p., non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale di condanna e non dovendo pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 c.p.p., restituisce gli atti al Pubblico ministero a norma dell’art. 459 c.p.p., comma 3, e dunque, in forza del principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione, previsto dall’art. 568 c.p.p., comma 1, il ricorso in esame, per la Corte di Cassazione, sarebbe dunque da ritenersi inammissibile a meno che – come deduceva il ricorrente – ci si trovi di fronte ad un atto abnorme.
Ciò posto, in assenza di definizione normativa del concetto di atto abnorme, suscettibile d’autonoma impugnazione che, per la difficoltà di tipizzazione, anche il legislatore del 1988 ha preferito non disciplinare nel codice di rito, lasciando alla giurisprudenza il compito di delinearne i confini – si faceva presente come la Cassazione, con plurime decisioni assunte a Sezioni Unite (v. in particolare: Sez. U, n. 17 del 10/12/1997; Sez. U, n. 26 del 24/11/1999; Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005; Sez. U, Sentenza n. 5307/2008 del 20/12/2007; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009) avesse individuato la categoria, connotandola, per un verso, in negativo – nel senso che non può definirsi abnorme l’atto che costituisce mera violazione di norme processuali – e, per altro verso, in positivo nel senso che è affetto da vizio di abnormità, sotto un primo profilo (cd. strutturale), il provvedimento che, per singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite mentre sussiste abnormità (c.d. funzionale) quando l’atto, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (così, in motivazione, Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009).
In particolare, con riferimento al decreto penale di condanna, è stato ritenuto che non è abnorme il rigetto della richiesta di emissione del decreto penale di condanna che disponga la restituzione degli atti al P.M. salvo che il provvedimento sia fondato esclusivamente su ragioni di opportunità (Sez. 3, n. 5442 del 6/12/2017, dep. 2018, che ha escluso l’abnormità del provvedimento di rigetto fondato sull’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p.; Sez. 6, n. 23829 del 12/5/2016, relativa al rigetto per inadeguatezza della pena pecuniaria a sanzionare la condotta di omesso versamento delle somme, dovute dall’imputato al coniuge a titolo di mantenimento; Sez. 6, n. 6663 dell’1/12/2015, in cui il rigetto era stato motivato con la ritenuta insussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria; Sez. 4, n. 45683 del 18/09/2014, che ha ritenuto legittimo il provvedimento di restituzione degli atti giustificato dalla valutazione di incongruità della pena richiesta in relazione alla gravità della violazione contestata; Sez. 6, n. 14764 del 18/03/2014, che non ha qualificato abnorme il rigetto per l’inosservanza del termine di sei mesi per la presentazione della richiesta).
Nel caso in esame, dunque, ad avviso del Supremo Consesso, il rigetto della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, motivato con l’asserita presenza di un errore di calcolo della pena, non era abnorme posto che l’esercizio dell’azione penale nelle forme ordinarie è attività che il P.M. potrà immediatamente esercitare così dando nuovo impulso al procedimento.
Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso del Pubblico Ministero veniva dichiarato inammissibile.
Conclusioni
La decisione in questione desta un certo interesse nella parte in cui spiega in cosa consiste l’atto abnorme nel processo penale.
Difatti, una volta fatto presente che non può definirsi abnorme l’atto che costituisce mera violazione di norme processuali, viene affermato che ricorre l’abnormità c.d. strutturale quando il provvedimento, connotato da singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti essere avulso dall’intero ordinamento processuale ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite mentre è invece configurabile l’abnormità c.d. funzionale laddove l’atto, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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