1. – Il quadro normativo di riferimento
Appare doveroso iniziare ad affrontare l’ampia tematica dei concorsi pubblici e, in particolare, dell’aspetto patologico della caducazione degli stessi, con una breve disamina del vastissimo quadro normativo vigente di riferimento che a partire dagli inizi degli anni novanta ha subito notevoli evoluzioni.
Il fondamento dell’intero impianto normativo è certamente il principio costituzionalmente sancito secondo il quale: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge[1]” (Carta Costituzionale all’articolo 97, comma 4).
Quindi la strada maestra indicata dal legislatore Costituente per accedere ai ruoli della Pubblica amministrazione è chiaramente la selezione pubblica che dovrebbe garantire il reclutamento dei candidati migliori e più meritevoli, coloro che saranno i futuri dipendenti per mezzo dei quali la P. A. eserciterà le proprie azioni all’insegna della trasparenza, dell’imparzialità e della legalità garantendo il buon andamento dell’attività amministrativa (art. 97, comma 2, Cost).
Si è data attuazione al dettato di cui all’art. 97 della Costituzione ribadendo tale principio all’art. 35, comma 1, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165 recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” (cd. Testo Unico del Pubblico impiego – T.U.P.I.) prevedendo che le assunzioni nella P.A. avvengono per il tramite di “procedure selettive volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno” e che tali procedure di reclutamento devono essere conformate ai principi di:
“a) adeguata pubblicità della selezione e modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento, ricorrendo, ove è opportuno, all’ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme dì preselezione;
b) adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;
c) rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori;
d) decentramento delle procedure di reclutamento;
e) composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell’organo di direzione politica dell’amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali;
e-bis) (lettera soppressa dall’art. 1, comma 364, legge n. 145 del 2018[2])
e-ter) possibilità di richiedere, tra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento, il possesso del titolo di dottore di ricerca, che deve comunque essere valutato, ove pertinente, tra i titoli rilevanti ai fini del concorso” (comma 3).
Nel suddetto T. U. sono confluite tutte le precedenti normative che, in maniera a volte disarticolata, riguardavano l’accesso al lavoro nella P.A., tra i quali: D.P.R. 487/1994[3] ed il successivo D.P.R. 693/1996[4] con i quali sono state adottate procedure più snelle volte a garantire la selettività, la trasparenza e l’imparzialità delle procedure concorsuali. Su tale linea sono stati adottati, successivamente alla entrata in vigore del T. U., il D.P.R. 24 settembre 2004, n. 272[5] e il D.P.R. 16 aprile 2013, n. 70[6], relativi ad una disciplina più settoriale, rispettivamente, accesso alla dirigenza e formazione del personale reclutato presso le competenti scuole di formazione pubbliche.
Anche il D. Lgs. 150/2009 recante “Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”, è da considerarsi una parte fondamentale della normativa in materia di concorsi pubblici in quanto ha introdotto una profonda riforma della disciplina del lavoro pubblico, all’insegna di alcuni fondamentali principi quali quelli di trasparenza, incremento dell’efficienza, premialità e selettività[7].
Da ultimo, il decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 recante “Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, attuativo della legge delega 7 agosto 2015, n. 124 (cd. Legge Madia) in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, ha introdotto l’articolo 35, comma 5.2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che prevede l’emanazione di “linee guida di indirizzo amministrativo sullo svolgimento delle prove concorsuali e sulla valutazione dei titoli, ispirate alle migliori pratiche a livello nazionale e internazionale in materia di reclutamento del personale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, vigente in materia”.
Tali linee guida sono state adottate con la Direttiva n. 3 del 2018[8] del Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione e si inseriscono nell’ambito di un più ampio e continuo intervento riformatore del legislatore finalizzato ad aggiornare e migliorare la qualità, l’efficienza, la professionalità e le competenze del personale che opera presso le amministrazioni pubbliche, partendo proprio da quei procedimenti pubblici che presidiano l’accesso, per concorso, all’impiego nelle pubbliche amministrazioni, attraverso l’introduzione di nuove pratiche e metodologie veramente idonee a reclutare i candidati migliori in relazione alle esigenze delle amministrazioni.
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2. – I requisiti generali e i limiti all’’accesso ai concorsi pubblici
Scegliendo di trascurare le varie tipologie di procedure concorsuali, l’organizzazione delle stesse e quanto ad esse connesse, per le quali si rimanda alle richiamate linee guida, appare utile ai fini dell’aspetto qui trattato, soffermarsi sulle disposizioni normative in materia di requisiti di ammissione ai concorsi pubblici e quant’altro ne disciplina la fase dell’accesso agli stessi, in quanto legati, il più delle volte, ai motivi di impugnazione.
A tal proposito, e sempre in somma sintesi, si citano solo i requisiti di natura generale in quanto quelli specifici vanno definiti tenendo conto della finalità del concorso ovvero sia in funzione delle professionalità ricercate sia in previsione della platea dei potenziali candidati:
- Cittadinanza italianao cittadinanza di uno degli stati membri dell’Unione Europea (ai sensi dell’art. 38 D. Lgs. 165/01 e s.m.i;
- Età non inferiore a 18 anni[9];
- Idoneità fisica allo svolgimento delle mansioni proprie del posto da ricoprire. L’Amministrazione ha facoltà di sottoporre a visita medica di controllo il vincitore del concorso, in base alla normativa vigente;
- Godimento dei diritti civili e politici;
- Non possono accedere agli impieghi gli esclusi dall’elettorato politico attivo e i destituiti o dispensati dall’impiego presso una Pubblica Amministrazione, per persistente insufficiente rendimento, o dichiarati decaduti da un impiego statale;
- Non aver riportato condanne penali e non avere procedimenti penali pendenti che impediscano, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia, la costituzione del rapporto d’impiego con la Pubblica Amministrazione;
- Non aver subito condanne penali, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, ai sensi dell’art. 35 bis D. Lgs. 165/01;
- Posizione regolare nei confronti dell’obbligo di leva per i candidati di sesso maschile nati entro il 31.12.1985, ai sensi dell’art. 1 Legge 23.08.2004 n. 226.
Per quanto riguarda ulteriori competenze, ai candidati generalmente vengono richieste:
- Conoscenza di una lingua straniera, che con il d. lgs. 25 maggio 2017, n. 75 (art. 7) è diventata obbligatoria la lingua inglese, nonché, ove opportuno in relazione al profilo professionale richiesto, di altre lingue straniere tra le quali può optare il candidato;
- Conoscenza dell’uso delle apparecchiature informatiche e dei software più diffusi.
Tali ultimi ulteriori accertamenti delle conoscenze informatiche e linguistiche sono previste all’art. 37 del D. Lgs. 165/2001, come modificato dal richiamato art. 7 d. lgs. 25 maggio 2017, n. 75[10].
Relativamente alla requisito della conoscenza di una lingua straniera, si rileva che tale previsione è stata introdotta alla lett. e), art. 17 della già richiamata Legge 7 agosto 2015 , n. 124 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, che si riporta di seguito: “previsione dell’accertamento della conoscenza della lingua inglese e di altre lingue, quale requisito di partecipazione al concorso o titolo di merito valutabile dalle commissioni giudicatrici, secondo modalità definite dal bando anche in relazione ai posti da coprire”, attuata attraverso il d. lgs. 25 maggio 2017, n. 75.
A tal proposito, molto clamore ha suscitato il concorso INPS 2017 per 365 posti di “Analista di processo-consulente professionale, area C, posizione economica C1[11]”, in cui veniva richiesto quale requisito il possesso di certificazione di lingua inglese di livello B2. Tale selezione pubblica è stata oggetto di molti ricorsi dai potenziali candidati che non in possesso del requisito obbligatorio della certificazione della lingua. Numerose e diverse sono state le pronunce del Giudice Amministrativo: In un primo caso, infatti, il TAR Lazio con decreto n. 06807 del 18/12/2017 ha accolto un ricorso proposto, invece in un secondo caso, il TAR Lazio ha rigettato un ricorso con sentenza n. 1206 del 01.02.2018, ritenendo che “a seconda del profilo e delle competenze richieste, la conoscenza della lingua inglese di un certo livello può essere individuata anche come requisito di ammissione al concorso pubblico, come nel caso specifico in cui la figura specialistica di Analista del processo – consulente professionale è competente a svolgere funzioni di operatore internazionale, anche nei confronti di utenza di diversa nazionalità”.
Oltre alla normativa fin qui citata, che possiamo definire di base, appare fondamentale richiamare alcune disposizioni a carattere specifico come l’art. 7 D. Lgs. 165/2001 che disciplina, tra l’altro, la parità e pari opportunità tra uomini e donne nell’accesso al lavoro pubblico, nonché l’art. 27 (“Divieti di discriminazione nell’accesso al lavoro”) del D. Lgs. 198/2006 (“Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246”); l’art. 20 della L. 104/1992 sulla partecipazione dei portatori di handicap ai concorsi pubblici e l’art. 3 della legge 12 marzo 1999 n. 68 che prevede una specifica disciplina in materia di avviamento al lavoro delle categorie protette, la cui copertura delle quote d’obbligo è garantita anche in deroga al regime delle assunzioni.
Inoltre, importanti previsioni sono quelle al comma 5-bis del suddetto art. 35 del d. lgs. n. 165/01 che stabilisce l’obbligo per i vincitori di concorso di permanere per non meno di 5 anni nella sede di prima destinazione e quelle al successivo comma 5-ter, introdotto dall’articolo 3, comma 87 della Legge n. 244 del 2007 e modificato nel secondo periodo dall’art. 51 del D. Lgs. n. 150 del 2009, che fissa in 3 anni la vigenza delle graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche, facendo salvi i periodi inferiori previsti da leggi regionali e le ulteriori proroghe disposte ex lege.
Da ultimo, si rammenta che con la legge n. 183/11 (Legge di stabilità 2012), art. 4, comma 45, è stato introdotto il pagamento[12] di un “diritto di segreteria[13]” a carico dei partecipanti ai concorsi pubblici per la copertura delle spese della procedura per il reclutamento del personale dirigenziale delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001[14], con la previsione di esclusione delle regioni, province autonome, enti, di rispettiva competenza, del Servizio sanitario nazionale ed agli enti locali. Per quanto riguarda gli enti locali, loro consorzi ed aziende, tali soggetti hanno facoltà di esigere tasse di ammissione ai concorsi, se previste dai rispettivi ordinamenti (per un importo non superiore a 10,33 euro)[15]. Il pagamento del predetto contributo è stato successivamente applicato anche alle procedure concorsuali relative al personale di magistratura con il d. l. 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 recante “Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni” (art. 4, comma 15).
3. – Le comuni vicissitudini dei concorsi pubblici
Ripercorso quanto sopra, si può affermare che ogni procedura concorsuale attivata dalle varie pubbliche amministrazioni[16] ha una sua storia ed una sorte propria, ma il più delle volte i concorsi (in particolare quelli a livello nazionale) sono avvinti da elementi ricorrenti sia nella fase di avvio: grandissimo numero di partecipanti in rapporto ai posti messi a bando, lungaggini burocratiche inspiegabili, costi di partecipazione obbligatori sempre più consistenti, spese per trasferte e testi, corsi e quant’altro per la preparazione alle prove ecc., sia nella fase conclusiva. Infatti, all’incertezza iniziale dell’esito della selezione si aggiunge, ormai quasi per tutte le selezioni pubbliche, quella relativa all’esito dei procedimenti giudiziari che sono attivati – quasi come se fossero congeniti alla procedura – addirittura prima, durante e soprattutto dopo la pubblicazione della graduatoria definitiva dei vincitori del concorso, per le più svariate ragioni[17].
A tal riguardo, si potrebbe anche sostenere, stante lo strettissimo rapporto venutosi a creare negli ultimi decenni tra concorsi e ricorsi nonché l’elevato grado di alternanza raggiunto in alcuni settori (ad esempio la faglia che si è aperta nel sistema di reclutamento dei docenti e dei dirigenti scolastici[18]), che ad oggi ai ruoli della pubblica amministrazione si accede mediante concorso[19], ma laddove in prima battuta non si riuscisse per tale via ordinaria, si riprova, ed il più delle volte si riesce, a rimettersi in gioco per il tramite di un ricorso.
3.1 – Giurisdizione sull’annullamento: giudice ordinario o amministrativo?
Mentre per partecipare ad un concorso si devono possedere i requisiti previsti dal relativo bando di selezione, adire l’autorità giudiziaria lo si può fare sin dalla pubblicazione del bando a dopo la pubblicazione della graduatoria finale. Possono impugnare il bando sia gli esclusi, tali perché non in possesso di uno dei requisiti richiesti, sia coloro che hanno preso parte alla selezione (candidati/partecipanti) risultati non vincitori e che rilevano vizi procedurali ovvero anche di legittimità.
In quanto al riparto di giurisdizione in materia di impiego pubblico privatizzato, il legislatore all’art. 63 del D. Lgs. n. 165 del 2001 attribuisce al Giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutti i giudizi inerenti ad ogni fase del “rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte…”, riservando, in via residuale, al Giudice Amministrativo, al comma 4 del citato art. 63, esclusivamente proprio le procedure concorsuali, che risultano di fatto essere propedeutiche e strumentali alla costituzione del rapporto con la P.A.
Pertanto, la giurisdizione del G. A. va dalla pubblicazione del bando di selezione all’approvazione della graduatoria finale dei vincitori (e degli eventuali idonei), e non si estende a tutte le vicende che seguono la detta approvazione, che quindi saranno di competenza del G. O., stabilendo così una precisa scansione temporale nel segnare il confine tra gli ambiti di cognizione dei due diversi Giudicanti.
Infatti, anche per consolidata giurisprudenza:“la procedura concorsuale, infatti, termina con la compilazione della graduatoria finale e la sua approvazione, spettando alla giurisdizione ordinaria il sindacato, da esplicare con la gamma dei poteri cognitori del giudice civile, sui comportamenti successivi, riconducibili alla fase di esecuzione, in senso lato, dell’atto amministrativo presupposto” (cfr. per tutte: Cassazione civile, SS.UU., sentenza 26/02/2010 n° 4648; Cass. Sez. U, Sentenza n. 10459 del 23/04/2008; Cass. sez. un., n. 20126 del 2005; Cons. Stato, n. 181/2012; TAR Calabria nella sentenza 709/2017; Ciò anche per i concorsi interni: Consiglio di Stato Sez. V nella sentenza del 20.8.2015 n. 3959, conformi: Cons. Stato, sez. V, 16 luglio 2007, n. 4030; Cass., SS.UU., 23 marzo 2005, n. 6217).
Ecco, quindi, da dove discende la giurisdizione del G. A. sull’annullamento dei concorsi pubblici.
Oltre a questo aspetto, si può giungere alla medesima conclusione richiamando le più generali attribuzioni tra G.O e G.A.: il primo conosce di diritti soggettivi mentre il secondo di interessi legittimi, fatta eccezione per alcuni casi di giurisdizione esclusiva nei quali tale autorità ha competenza anche in relazione alla violazione di diritti soggettivi[20] (Ex multis: T.A.R. Latina, (Lazio), 26/07/2005, n. 630; T.A.R. Puglia Sez. di Lecce, Sez. II 12.12.2001 n. 7896; Cass., SS.UU., n. 7859/2001; Cass., SS.UU., n. 8595/1998). Ciò precisato, la P. A. nel mentre si svolge la procedura concorsuale agisce nella sua veste autoritativa ma una volta pubblicata la graduatoria finale agisce iure privatorum, con conseguente attivazione dei principi di natura privatistica, ponendosi sullo stesso piano di un soggetto privato, per cui la disciplina dei contratti posti in essere, e tutte le vicende che ne susseguono, non differisce rispetto agli schemi negoziali utilizzati da qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento giuridico.
Dal lato dei partecipanti, durante l’espletamento della procedura concorsuale si ha un interesse legittimo a che vengano applicate e rispettate tutte le disposizioni regolanti la stessa, solo successivamente al superamento della procedura i vincitori acquisiscono un diritto soggettivo tutelabile dalle norme del codice civile e da quelle negoziali (CCNL) innanzi al G. O. (per un approfondimento in punto di principio: Cassazione civile sez. lav., n. 194 del 08/01/2019, Cassazione civile sez. lav., n. 6775 del 15/03/2017).
4. – Profili problematici conseguenti all’annullamento di un concorso pubblico connessi alle posizioni soggettive dei partecipanti e le responsabilità degli amministratori
La prima aspettativa dal punto di vista personale, a prescindere dall’inquadramento che della stessa se ne fa nell’ordinamento vigente, per ogni partecipante ad una procedura concorsuale pubblica, è sicuramente il superamento della stessa per avviarsi al lavoro. A tale legittima aspettativa corrisponde il dovere per gli amministratori di garantire il regolare svolgimento dei concorsi nell’ottica dell’attuazione dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione pubblica di cui all’art. 97 della Costituzione.
Nell’ipotesi in cui, infatti, venga accertato che a tale dovere non si sia ottemperato per colpa grave, ad esempio proprio quando parametro di una siffatta condotta diventa l’annullamento di un concorso pubblico con conseguente caducazione dello stesso (sia nella fase di espletamento che dopo la pubblicazione della graduatoria, cosa che rende nullo il contratto stipulato medio tempore)[21], viene fatta valere la responsabilità giuridico-contabile dei dipendenti pubblici. Ciò in quanto, oltre alla lesione soggettiva causata ai concorrenti a fronte dell’insorgenza di un significativo affidamento unitamente alla perdita di chance[22], intesa – nell’accezione più stringente all’aspetto trattato – come quell’investimento in termini di vita e – nella comune accezione – la relativa perdita della possibilità di conseguire un risultato (tra le altre Cassazione civile sez. lav., sentenza del 25/09/2019 n. 23936; conforme: Cass. 29 nov 2012 n. 21245), meritevole di tutela (tra tante pronunce: TAR Puglia, Lecce, con la sentenza n. 1437 del 13 settembre 2016; TAR Toscana, sent. n. 6037/2003; Cons. Stato, sent. n. 2838/2013; TAR Lazio Roma, sent. n. 6024/2012; TAR Campania Napoli, sent. n. 1646/2012, riferimenti giurisprudenziali valevoli anche nell’ipotesi di revoca di un bando di concorso pubblico, rientrante nei normali ed ampi poteri discrezionali della pubblica amministrazione), va anche tutelato l’interesse dell’intera collettività all’utilizzo efficiente ed oculato delle risorse pubbliche.
Il dispendio/perdita di tali ultime risorse configura per i dipendenti pubblici un’ipotesi di danno erariale che cagionato alla propria o ad altra amministrazione (art. 1, quarto comma, legge 14 gennaio 1994, n. 20 recante “Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), sul quale ha giurisdizione la Corte dei conti.
Proprio di recente la Corte dei conti – Sezione Prima Giurisdizionale Centrale D’appello – ha cristallizzato nuovamente la correlabilità tra la condotta di coloro che hanno un ruolo diretto nella formazione del contenuto del bando e l’evento dannoso patrimoniale subito dall’Amministrazione, consistito, nel caso di specie, nell’inutile corresponsione di somme alle strutture dove si sono svolte le operazioni delle prove selettive relative alla procedura concorsuale poi annullata in sede giurisdizionale[23], di qui l’addebito – sia pure in parte qua e non per l’intera cifra – di quanto sborsato (Sentenza n. 139/2019 del 13 giugno 2019, che ha confermato la precedente sentenza della sezione Lazio n. 373/2018) [24]. Un precedente analogo è da rinvenire nella pronuncia della Corte dei Conti per la Regione Lazio n. 18 del 10/01/2018, con la quale i magistrati contabili hanno condannato a rimborsare all’Ente comunale le spese legali sborsate per i giudizi amministrativi promossi dai dipendenti del Comune stesso e a titolo di differenze economiche corrisposte agli stessi a seguito dell’annullamento degli atti di una procedura concorsuale a causa delle errate valutazioni delle prove da parte della Commissione con conseguente revoca della nomina del primo classificato. Ciò in aderenza a quanto asserito dalla giurisprudenza in ordine ai limiti del danno da risarcire in caso di annullamento di procedura concorsuale per fatto illecito addebitabile ai componenti di commissione esaminatrice (Corte dei conti sez. giur. Sicilia n. 156/1992, sez. reg. Abruzzo n.72/2016). Il Collegio in quel caso non ha nemmeno ritenuto applicabile il potere riduttivo dell’addebito stante la gravità dei fatti (Corte dei conti sez. I app. n. 117/2008).
Tale orientamento della giurisprudenza contabile è confermato anche da altre sentenze di altre due diverse sezioni della Corte dei conti, come ad esempio la sentenza n. 311 del 27/07/2017 della Corte dei Conti per la regione Campania che ha condannato il responsabile del procedimento di una procedura concorsuale per non aver esperito, prima di bandire un concorso pubblico, le procedure di mobilità obbligatoria e volontaria previste dalla Legge (art. 34 bis e 34 del D. Lgs 165/2001) o ancora la sentenza, sempre del 2017 (del 04/07/2017) n. 102 della Corte dei Conti della regione Lombardia che ha condannato dei dipendenti pubblici per non aver pubblicato un bando di concorso pubblico sulla Gazzetta Ufficiale[25].
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– Danno da perdita di chance lavorativa e responsabilità della pa
Approfondendo ancor più i vari profili di responsabilità della P.A. per la perdita di chance lavorativa, già accennata, e la conseguente risarcibilità del relativo danno cagionato ai potenziali candidati illegittimamente esclusi da un concorso pubblico poi annullato, si può usufruire di una varietà di interessanti pronunce dei Giudici sia di legittimità che ammnistrativi. Ad esempio, sulla tematica qui affrontata si è pronunciata di recente anche la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 21528 del 20 agosto 2019 con la quale ha fissato il seguente principio di diritto che conferma tutto quanto si qui illustrato: “nell’impiego pubblico contrattualizzato, poiché alla stipula del contratto di lavoro si può pervenire solo a seguito del corretto espletamento delle procedure concorsuali previste dall’art. 35, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 165/2001 o, per le qualifiche meno elevate, nel rispetto delle modalità di avviamento di cui al combinato disposto del richiamato art. 35, comma 1, lett. b) e degli artt. 23 e seguenti del d.p.r. n. 487/1994, la mancanza o l’illegittimità delle richiamate procedure si traduce in un vizio genetico del contratto, affetto, pertanto, da nullità, che l’amministrazione, in quanto tenuta a conformare il proprio comportamento al rispetto delle norme inderogabili di legge, può fare unilateralmente valere, perché anche nei rapporti di diritto privato il contraente può rifiutare l’esecuzione del contratto nei casi in cui il vizio renda il negozio assolutamente improduttivo di effetti giuridici. Pertanto il legittimo annullamento in autotutela del concorso interno sulla cui base era stato poi stipulato il contratto di lavoro, consente alla P.A. di considerare caducato il rapporto di lavoro e di non darvi ulteriore esecuzione.” Prosegue poi la Corte: “Da quanto sopra deriva che l’eventuale responsabilità della P.A. per l’accaduto non ha natura contrattuale, … trattandosi semmai di una tipica fattispecie di responsabilità precontrattuale (e dunque extracontrattuale) ex art. 1338 c.c., per avere la P.A., attraverso l’indizione di un concorso illegittimo e la successiva stipula in base ad esso di un contratto di lavoro nullo, leso l’affidamento altrui.” Da ciò ne discende che, sulla base delle regole proprie della responsabilità extracontrattuale, spetta a chi lamenta di aver subito un danno, dimostrarne l’esistenza e la riconducibilità dello stesso al comportamento altrui (per tutte: Corte appello Roma, sez. lav., 21/09/2018, n. 3188).
Anche il T.A.R. Campobasso, (Molise) sez. I, è stato interessato da tali questioni e ha pronunciato la sentenza n. 46 del 31/01/2019[26], precisando che: “Il pregiudizio patrimoniale patito a causa dalla condotta colpevole della P.A., è senz’altro risarcibile a tenore dell’art. 2043 cod. civ., norma che impone il dovere primario di non cagionare danni ingiusti. Il dato obiettivo dell’accertata illegittimità dell’azione amministrativa, come giudicata dal parere definitivo del Consiglio di Stato integra, in questo caso, ex se l’illiceità della condotta, come evidenziato da un consolidato orientamento della giurisprudenza civile e amministrativa (cfr.: Cass. civile, sez. un., n. 500/99; idem, n. 13164/05; idem n. 20358/05; Cons. Stato n. 3169/01; idem n. 1261/04; idem n. 5500/04; idem n. 478/05). È fuor di dubbio, a tal proposito, che la scelta di escludere dal concorso i non residenti in Molise abbia direttamente pregiudicato le possibilità dei ricorrenti di partecipare al concorso e di ottenere l’impiego”. E conclude per il nesso causale tra la condotta illegittima della P.A. e il risarcimento dei danni causati agli interessati: “È palese, dunque, la sussistenza del rapporto causale tra il fatto ostativo (l’esclusione dalla selezione) e il pregiudizio della perdita di una ragionevole probabilità di conseguimento del risultato atteso dai ricorrenti, di collocarsi, previo superamento della prova, in una posizione non solo idonea ma utile nello scorrimento di una delle sei graduatorie di concorso definitivamente approvate. Ai fini della risarcibilità della cosiddetta perdita di chance, in conseguenza dell’illegittima esclusione di un candidato da un concorso pubblico, questa deve essere valutata, caso per caso, considerando la probabilità che l’interessato aveva, se legittimamente ammesso alla procedura, di risultare vincitore del concorso e quindi di beneficiare della relativa assunzione nel posto pubblico messo a concorso (cfr.: Cons. Stato, sez. III, 6 maggio 2013, n. 2452)”.
Va rilevato che la perdita di chance non può essere retribuita come se il danneggiato avesse effettivamente superato la selezione ed effettuato la prestazione lavorativa, poiché la prestazione lavorativa in effetti non c’è mai stata e il diritto a percepire la retribuzione per il periodo di mancata prestazione lavorativa deve escludersi nell’ipotesi in cui il rapporto di lavoro non si sia mai instaurato. Infatti, la cd. restitutio in integrum[27] (comprensiva di t.f.r. e trattamento previdenziale) spetta, sotto il profilo giuridico ed economico, solo al dipendente che illegittimamente sia stato licenziato o allontanato dal servizio (cfr.: Cons. Stato IV, 18.11.2011 n. 6103; Cass. civile, sez. lavoro, 10.5.2005 n. 9717).
Relativamente al mero calcolo del danno da perdita di occasione favorevole, stando alla più aggiornata e avvertita giurisprudenza, deve utilizzarsi il cosiddetto “coefficiente di riduzione”, in forza del quale si assume come base di riferimento il bene finale cui si aspirava e si operano diminuzioni sulla base di ragionati parametri di riduzione che esprimano il grado di probabilità di conseguire il guadagno, in relazione al caso concreto (cfr.: T.A.R. Lazio Roma III-bis, 5.1.2018 n. 71; Cass. civile III, 21.7.2003 n. 11322)[28].
Fa d’uopo precisare, da ultimo, che in quanto agli effetti dell’annullamento del concorso pubblico, vige il consolidato principio di diritto secondo il quale “l’annullamento si deve intendere disposto nei soli confronti di coloro che abbiano proposto il ricorso, poi accolto” (per tutte le pronunce in tal senso: Consiglio di Stato, sez. III, 6/07/2016, n. 3005). Dunque bisogna fugare ogni dubbio circa la valenza erga omnes degli effetti dell’annullamento in sede giurisdizionale di un bando e ciò è correlato alla natura giuridica dello stesso che com’è notorio è atto generale, al pari di un regolamento, ma da questo si differenzia per essere privo degli ulteriori caratteri dell’astrattezza e della innovatività necessari a qualificare l’atto normativo e quindi il regolamento (per tutte: Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 11 giugno 2018, n. 3541, che non si discosta dal decisum di cui alla pronuncia C.d.S. sez. V 12 ottobre 2002 n. 5514).
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L’accesso al lavoro pubblico e lo scorrimento delle graduatorie concorsuali
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Testi e pubblicazioni che possono essere consultati per ogni opportuno approfondimento degli argomenti trattati:
– A. ALAIMO, “Dalla “riforma Madia” al “decreto dignità”. Le (poche) novità e le (molte) aporie della disciplina del lavoro a tempo determinato e delle collaborazioni autonome nel settore pubblico”, in Caruso (a cura di), “Il lavoro pubblico a vent’anni dalla scomparsa di Massimo D’Antona”, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. Collective Volumes- 8/2019 , risp. p. 9 ss. e 109 ss;
– B. G. MATTARELLA, Burocrazie e riforme. L’innovazione nella pubblica amministrazione, Bologna, 2017;
– C. PINELLI, Il 3° comma dell’articolo 97. L’accesso ai pubblici uffici. Commento all’art. 97 in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1994, p. 334.
[1] È prevista, quindi, una riserva di legge e le ipotesi in cui si può derogare alla procedura concorsuale pubblica sono da considerarsi delle vere e proprie eccezioni. In tal senso si è anche espressa, tra le altre autorità giurisdizionali, la Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittime molte norme, adottate soprattutto dalle Regioni, in materia di stabilizzazione di personale precario ovvero relative all’accesso alla dirigenza, proprio per la violazione del dettato costituzionale di cui all’art. 97, terzo comma della Costituzione. Ciò in quanto, per giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale (che trova conferma nella recente sentenza della Corte n. 36 del 28/01/2020), le deroghe legislative al principio secondo cui agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso sono sottoposte al sindacato di legittimità costituzionale. In particolare, «l’area delle eccezioni» al concorso deve essere «delimitata in modo rigoroso» (sent. n. 215 del 2009 e sent. n. 363 del 2006). Le deroghe, oltre a dover essere esse stesse funzionali alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione, sono legittime solo in presenza di «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» idonee a giustificarle (sent. n. 81 del 2006, sent. n. 293 del 2009, sent. n. 9/2010 e sent. n. 213/2010).
Tale esigenza di interesse pubblico sono rinvenibile anche in disposizioni del nostro ordinamento, come all’art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001, che richiede che la professionalità vantata dal soggetto esterno individuato intuitu personae non sia rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione.
[2] Così disponeva il precedente testo: “facoltà, per ciascuna amministrazione, di limitare nel bando il numero degli eventuali idonei in misura non superiore al venti per cento dei posti messi a concorso, con arrotondamento all’unità superiore, fermo restando quanto previsto dall’articolo 400, comma 15, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 e dal decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59”. Con la legge 30 dicembre 2018, n. 145 relativo al “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”, tale facoltà è stata eliminata.
[3] Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi.
[4] Regolamento recante modificazioni al regolamento sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e sulle modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nel pubblico impiego, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487.
[5] Regolamento di disciplina in materia di accesso alla qualifica di dirigente, ai sensi dell’articolo 28, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
[6] Regolamento recante riordino del sistema di reclutamento e formazione dei dipendenti pubblici e delle Scuole pubbliche di formazione, a norma dell’articolo 11 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.
[7] In particolare con l’art. 47 del d.lgs. n. 150 del 2009 è stato inserito l’art. 28 bis del Testo Unico sul Pubblico Impiego, riguardante, unitamente all’art. 28 del medesimo decreto, la nuova disciplina per l’accesso alla qualifica di Dirigente di seconda e di prima fascia nelle Amministrazioni Pubbliche.
[8] Registrata alla Corte dei conti il 22 maggio 2018 Reg.ne – Prev. n. 1125 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale- Serie Generale n. 134 del 12 giugno 2018.
[9] In merito al limite di età per la partecipazione ai concorsi pubblici, già la Legge 15 maggio 1997, n. 127 recante “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”, cd. Bassanini-bis, all’articolo 3, comma 6, stabilì che: “La partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate da regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell’amministrazione”. La precedente disciplina generale sui concorsi per l’accesso ai pubblici impieghi, di cui all’articolo 2, D.P.R. 3 maggio 1994, n. 487, individuava, tra gli altri requisiti generali, quello della età non inferiore agli anni 18 e non superiore ai 40.
In funzione della previsione di tassative deroghe adottate dalle singole amministrazioni con appositi atti regolamentari, alcuni concorsi pubblici prevedono il limite di età, ad esempio quelli delle Forze dell’ordine (Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Arma dei Carabinieri, Vigili del Fuoco, Polizia penitenziaria), che spesso sono oggetto di impugnazione per violazione dei principi di uguaglianza e di discriminazione nell’accesso al lavoro (interessante appare la pronuncia del Tar Lazio n. 12149 del 7 dicembre 2017 che ha ritenuto legittimo il requisito del limite massimo di 45 anni per partecipare al concorso a 30 posti per l’accesso al ruolo dei vigili del fuoco in qualità di orchestrali della banda musicale del corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Oggi invece, è sempre più di frequente che altre Autorità applicano un limite all’accesso, vedasi per esempio il concorso per coadiutori bandito dalla Banca d’Italia, nel quale si fissava il limite di età per la partecipazione a 40 anni. Tale limite, inizialmente ritenuto illegittimo ed ingiustificato, fu oggetto di numerosi ricorsi da parte di coloro che ne erano stati esclusi, ma è stato considerato legittimo dai giudici amministrativi (TAR Lazio, sentenza n. 3207 del 2016), in quanto tali disposizioni “siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate da finalità legittime, quali giustificati obiettivi della politica del lavoro, del mercato del lavoro e della formazione professionale, qualora i mezzi per il conseguimento di tali finalità siano appropriati e necessari”.
Sulla legittimità o meno del limite di età è intervenuta anche l’Unione Europea con la direttiva 2000/78, con la quale ha confermato quanto stabilito dalla legge Bassanini, ovvero il principio generale dell’assenza di limiti di età, con la possibilità per le Amministrazioni Pubbliche di prevedere delle deroghe (sentenze del 12 gennaio 2010, Wolf, C-229/08; del 13 settembre 2011, Prigge, del 13 novembre 2014, Vital Pérez).
[10] Le certificazioni sulla base del sistema di esami diffuso a livello internazionale che le amministrazioni procedenti, normalmente, possono richiedere sono connesse al Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue – QCER o Common European Framework of Reference for Languages – CEFR ovvero delle certificazioni informatiche del tipo ECDL (European Computer Driving Licence) che si è evoluta in ICDL (International Certification of Digital Literacy) ovvero EIPASS (European Informatics Passport, ovvero Passaporto Informatico Europeo).
[11] Indetto con determinazione presidenziale n. 163 del 7 novembre 2017 e modificato e integrato con determinazione presidenziale n. 171 del 22 novembre 2017, il cui bando di concorso è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4ª Serie speciale “Concorsi ed esami”, n. 90 del 24 novembre 2017.
[12] L’importo è fissato con il bando ed è compreso tra i 10 ed i 15 euro.
[13] Tale tassa di partecipazione ai concorsi è riconducibile legislativamente all’articolo 1 del regio decreto 21 ottobre 1923, n. 2361 e ss.mm. e ii., della Legge n. 131/1983, come modificata dalla Legge n. 340/2000 (art. 23).
[14] “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI” (art. 1, comma 2, del D. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, aggiornato al decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75.
[15] Al riguardo si segnala la decisione del TAR, Sicilia-Palermo, Sez. III, Sent. n. 752/2015, con la quale è stato annullato il provvedimento di esclusione di un candidato dalle graduatorie di merito relative alle procedure concorsuali di ammissione ai corsi di dottorato di ricerca nell’Università degli Studi di Palermo per tardivo versamento della tassa di partecipazione alla selezione stessa: “Nel caso di specie, il ricorrente ha provveduto a pagare detta tassa prima dello svolgimento delle prove di concorso: rispetto a tale irregolarità, la sanzione dell’esclusione comminata non appare proporzionata rispetto agli scopi che la clausola del bando intendeva perseguire; né, detta esclusione concorre alla realizzazione dell’interesse pubblico, ex art. 97 Cost., alla partecipazione dei soggetti forniti dei requisiti sostanziali prescritti” (conformi: T.A.R. Sicilia, Sez. I, n. 1436 del 30 maggio 2014; T.A.R. Emilia Romagna, Sez. I, 18 marzo 2011, n. 258; T.A.R. Marche, Sez. I, 6 giugno 2009, n. 475; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 21 novembre 2006, n. 5446).
[16] Le procedure di reclutamento ordinario sono avviate da ciascuna amministrazione sulla base di un documento di programmazione triennale del fabbisogno, redatto ai sensi dell’art. 39 della legge 27 dicembre 1997 n. 449, a cui seguono, per quanto riguarda le amministrazioni che fanno capo al Governo centrale, le richieste per l’autorizzazione a bandire e ad assumere indirizzate al Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell’economia e delle finanze.
[17] Classificare i motivi di impugnazione di un concorso pubblico è un’impresa quasi impossibile. Ma a voler creare un primo raggruppamento si può fa riferimento alle tre fasi di svolgimento della procedura concorsuale:
1) La fase iniziale di predisposizione del bando: ad esempio, i limiti d’età, richiesta di particolari titoli di studio o altri requisiti, l’introduzione di un’ipotesi di esclusione considerata discriminatoria, tardivo pagamento del contributo di partecipazione, la mancata indicazione dell’equipollenza dei titoli di studio, l’esclusione di un titolo che poteva considerarsi sostanzialmente equivalente.
2) La fase di svolgimento della prova: ad esempio, la richiesta di un punteggio superiore a 21/30; la previsione della doppia soglia di sbarramento, la violazione dell’anonimato nello svolgimento delle prove; l’inizio della prova concorsuale unica a livello nazionale in orari diversi.
3) La fase di predisposizione della graduatoria finale: ad esempio, il mancato riconoscimento di un punteggio aggiuntivo per titoli posseduti dal candidato o per situazioni personali che danno diritto a tale punteggio (ad esempio, titoli di preferenza di cui all’art. 5 del d.P.R. 9 maggio 1994 n. 487).
[18] Su tutti, si vedano i seguenti link: https://codacons.it/concorso-scuola-valanga-di-ricorsi/, https://www.dirittoscolastico.it/concorso-dirigenti-scolastici-bufera-anche-nel-lazio-per-il-consiglio-di-stato-gli-scritti-potrebbero-essere-rifatti/; https://www.ilgiornale.it/news/politica/concorsi-e-ricorsi-scuola-gi-rischio-caos-1725029.html, https://www.tecnicadellascuola.it/concorso-a-dirigente-con-valanga-di-ricorsi-e-di-sospetti.
[19] Fa d’uopo evidenziare, anche per completezza, che già con il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 recante “Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”, si diede la stura ad una diversa modalità di assunzione del personale, in tutto il settore pubblico allargato, lontana dai concetti di selezione, merito, professionalità e sempre più funzionale al recepimento di consenso. Il citato decreto n. 29/93 è confluito nel successivo T.U. del pubblico impiego, e ad oggi è vigente l’art. 19 del D. Lgs. n. 165/01 e ss. mm., che prevede la possibilità di conferire incarichi di funzioni dirigenziali a tempo determinato e con contratti di diritto privato, “fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione”, nel rispetto delle percentuali ivi indicate. Per un approfondimento sul tema si rimanda ad un proprio precedente scritto, al seguente link: https://www.diritto.it/la-dirigenza-incaricata-oltre-al-danno-erariale/
[20] L’art. 103 della Costituzione recita: “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”.
[21] Sul punto si segnala l’ordinanza della Corte di Cassazione Civile – Sez. Lav. N. 15506 del 07/06/2019: “In ordine al rapporto fra procedura concorsuale e contratto di impiego è stato osservato che gli atti principali della procedura presentano una duplicità di natura giuridica, poiché il bando e la graduatoria finale, pur inserendosi nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, hanno anche la natura sostanziale, rispettivamente, di proposta al pubblico e di atto di individuazione del futuro contraente (Cass. SS. UU. 16728/2012, 4648/2010, 8951/2007); da ciò è stata tratta la conseguenza che la procedura concorsuale costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, sicché sia l’assenza sia l’illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001, attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4, della Carta fondamentale” (Corte di Cassazione, sentenza n. 15506 del 7 giugno 2019, Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., (ud. 13 marzo 2019) 26 giugno 2019, n. 17128; conformi: Cass. n. 194/2019, 13884/2016). Per un approfondimento sul tema della sorte del contratto di lavoro a seguito di annullamento della graduatoria concorsuale, le relative questioni e le tesi contrapposte, si consiglia di consultare il seguente link: http://www.salvisjuribus.it/la-sorte-del-contratto-di-lavoro-a-seguito-di-annullamento-della-graduatoria-concorsuale/.
[22] La chance è un bene giuridico autonomo, integrante il patrimonio del soggetto. Va così risarcita la perdita di essa, ove sussista la lesione di un interesse giuridicamente tutelato, avendo la pretesa di risarcimento a oggetto non un danno futuro e incerto ma un danno attuale, quale è appunto la perdita dell’occasione favorevole. La lesione della chance, quindi, comporta un danno valutabile in relazione alla probabilità perduta, piuttosto che al vantaggio sperato (ex multis: T.A.R. Campobasso, (Molise) sez. I, 31/01/2019 n. 46).
[23] Il bando è stato dichiarato illegittimo in ragione della previsione, nello stesso, della clausola di riserva del 50% dei posti agli interni già nella singola fase delle prove preselettive del concorso.
[24] Sul punto si riporta di seguito un passaggio importante della citata pronuncia: “Più in dettaglio, la Sezione territoriale ha poi condotto una corretta analisi delle rispettive posizioni degli odierni appellanti, evidenziando l’infondatezza di “tutte le asserzioni difensive volte fortemente a ridimensionare il ruolo e la partecipazione di ciascuno di essi nella formazione del contenuto del provvedimento di concorso […] dovendosi invece evidenziare, sul piano giuridico, una concorrente responsabilità nella adozione dell’atto stesso. Va quindi respinto il tentativo del convenuto Xxxxx di addossare all’avv. Xxxxx la responsabilità esclusiva dell’inserimento nel bando di concorso della clausola di riserva, quale dirigente e firmatario del provvedimento annullato. Invero la funzione dirigenziale del Xxxxx si distingue dalle altre proprio per le maggiori responsabilità connesse all’incarico di direzione generale del Dipartimento al cui interno si colloca la Direzione presieduta dall’avv. Xxxxx, dovendo assicurare il raggiungimento dei risultati finali, ad esso assegnati dal vertice politico dell’Ente, mediante la fissazione di obiettivi ai singoli dirigenti, che, non a caso, costituiscono il contenuto essenziale della funzione e sono oggetto di specifica responsabilità (cd dirigenziale) ex art. 21 d.lgs. 165/2001. Va pertanto respinto il tentativo del Xxxxx di escludere un suo coinvolgimento nella vicenda in quanto mero attuatore della sola volontà politica dovendosi rimarcare, invece, che, nella sua qualità di responsabile del Dipartimento, era tenuto a verificare proprio la legittimità del provvedimento emesso dal direttore avv. Xxxxx prima dell’avvio della procedura a garanzia del buon esito del concorso, tant’è che egli ha disposto la revoca in autotutela del provvedimento emesso dal direttore avv. Xxxxx. Altrettanto definiti appaiono i ruoli rivestiti dal dott. Xxxxx, responsabile unico del procedimento (RUP), che ha curato l’istruttoria e predisposto il bando di concorso, e dall’avv. Xxxxx, firmatario del provvedimento finale nella sua qualità di Direttore vicario della Direzione Regionale organizzazione e personale, demanio e patrimonio […]. Altrettanto velleitarie appaiono, infine, le argomentazioni del Xxxxx che, nella veste di RUP, è tenuto a valutare le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimità e i presupposti per l’emanazione dei provvedimenti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari e ogni misura per lo svolgimento dell’istruttoria”.
[25] Si legge in sentenza: “Tanto premesso, i Requirenti …. hanno poi precisato con riferimento all’antigiuridicità della condotta degli odierni convenuti che “… in presenza di tali sicuri riferimenti normativi i vertici politici ed amministrativi della Regione avrebbero dovuto prudentemente provvedere anche alla pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Una siffatta cautela, oltreché evidentemente rispettosa della legge statale, avrebbe evitato le spese per l’imponente contenzioso che la Regione Lombardia si è trovata ad affrontare” e che “in ogni caso il TAR ed il Consiglio di Stato hanno accertato l’illegittimità del concorso con motivazioni diffuse e puntuali …. In particolare il Supremo Consesso ha rilevato l’esegesi strumentale (significativamente definita “confusione logica”) da parte della Regione, delle richiamate norme sui pubblici concorsi volte ad aggirare le forme di pubblicità più ampia “sperimentate e costituzionalmente dovute (art. 97 c. 3 Cost.) di reclutamento del personale degli apparati pubblici. In sostanza, per la Procura, “in presenza di dette cristalline coordinate normative e giurisprudenziali è certamente illecito e connotato da «colpa grave», per non dire da «dolo», il comportamento del Presidente Xxxxxx XXXXXX, politico con una lunga esperienza di amministratore che ha sempre tenuto saldamente in mano “la regia dell’intera procedura concorsuale” (significativa in proposito è la “Comunicazione del Presidente alla Giunta nella seduta del 21 novembre 2007”, all. 35) e di coloro che, coadiuvandolo come esperti nelle materie legali e specialmente nel diritto amministrativo e nell’organizzazione degli uffici regionali presso l’Ufficio di Presidenza della Giunta regionale, hanno partecipato alle fasi procedimentali di formulazione e di approvazione della proposta di delibera volta a consentire la pubblicazione del bando esclusivamente nel Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia e cioè, i dottori Xxxxxxxxxxxx XXXXXX ed Xxxxxx XXXXXX, sottoscrivendo la relativa delibera, nonché i componenti della giunta regionale che l’anno votata.
[26] La censura principale, formulata dai ricorrenti riguardava la dedotta illegittimità del requisito di residenza in uno dei Comuni del Molise imposto come tale dal bando ai partecipanti al concorso, che precludeva ai ricorrenti – non residenti in Comuni molisani – la possibilità di parteciparvi.
[27] Per un approfondimento sul tema si rinvia ad un proprio precedente scritto, al seguente link: https://www.diritto.it/listituto-della-restitutio-in-integrum-nellambito-dellesercizio-dellazione-disciplinare-nel-pubblico-impiego-natura-retributiva-e-non-risarcitoria-allesit/
[28] Per un ulteriore approfondimento tematico sul danno da perdita di chance, nello specifico sul problema della consistenza giuridica ed economica della chance alla luce della recente sentenza della Cassazione, Sez. Lavoro, n. 5478/2019: https://www.giustamm.it/bd/giurisprudenza/24881
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