(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 671)
Il fatto
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini, in funzione di giudice dell’esecuzione, accogliendo una istanza volta a ottenere il riconoscimento della continuazione in sede esecutiva fra due sentenze, rideterminava il complessivo trattamento sanzionatorio in quello di anni cinque e mesi nove di reclusione.
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Esecuzione del reato continuato
Con il presente testo si vuole fornire all’operatore del diritto un attento ed organico approfondimento della disciplina relativa al concorso formale tra reati ed al reato continuato, dettata dall’articolo 81 del codice penale, focalizzando in particolare l’attenzione sull’applicazione di tali istituti proprio nella fase esecutiva della condanna penale.Curata ed approfondita, la trattazione dedicata ai principi operanti in materia così come desumibili dalla elaborazione giurisprudenziale: il testo, infatti, è arricchito da una raccolta organica, aggiornata e ragionata dei provvedimenti resi dalla giurisprudenza di legittimità con specifica indicazione, all’interno di ogni singola massima, del principio cardine.Paolo Emilio De SimoneMagistrato dal 1998, dal 2006 è in servizio presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma; in precedenza ha svolto le sue funzioni presso il Tribunale di Castrovillari, presso la Corte di Appello di Catanzaro, nonché presso il Tribunale del Riesame di Roma. Nel biennio 2007/08 è stato anche componente del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Roma previsto dalla legge costituzionale n°01/89. Dal 2016 è inserito nell’albo dei docenti della Scuola Superiore della Magistratura, ed è stato nominato componente titolare della Commissione per gli Esami di Avvocato presso la Corte di Appello di Roma per le sessioni 2009 e 2016. È autore di numerose pubblicazioni, sia in materia penale che civile, per diverse case editrici.Elisabetta DonatoDottoressa in giurisprudenza con lode e tirocinante presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma, ha collaborato, per la stessa casa editrice, alla stesura del volume I reati di falso (2018).
Paolo Emilio De Simone, Elisabetta Donato | 2019 Maggioli Editore
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Ricorreva il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rimini che chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata denunciando la violazione di legge e il vizio della motivazione per essere stata erroneamente determinata la pena.
Difatti, ad avviso dell’impugnante, se il giudice dell’esecuzione aveva correttamente individuato la pena più grave di cinque anni di reclusione nell’ambito di una sentenza di condanna per due delitti, già unificati nella medesima sentenza a norma dell’art. 81 c.p., e a tali reati aveva unificato un terzo delitto separatamente giudicato con altra sentenza, nella determinazione della pena, però, costui non aveva però rispettato l’aumento per il reato satellite già stabilito dal giudice della cognizione nella prima sentenza avendolo ridotto da nove mesi a cinque e ad esso aveva aggiunto l’aumento per il delitto separatamente giudicato determinato dallo stesso giudice dell’esecuzione in mesi quattro di reclusione in luogo degli originari mesi otto con l’effetto, ritenuto giuridicamente aberrante dal ricorrente, di avere statuito una pena unica finale di cinque anni e nove mesi corrispondente alla pena inflitta dal giudice della cognizione nella sola sentenza di condanna per il reato continuato contenente la violazione più gravemente punita e, perciò, assunta a base del calcolo della riconosciuta continuazione esterna con il reato separatamente giudicato.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva reputato fondato per le seguenti ragioni.
Si faceva prima di tutto presente che, in sede di cognizione, la commisurazione della pena è rimessa, nel rispetto della previsione edittale stabilita dalla legge, al giudizio discrezionale del giudice e, dunque, costituisce punto della decisione che, ai sensi dell’art. 132 c.p., deve essere specificamente motivato per consentire il controllo sull’osservanza dei criteri dettati dalla legge (artt. 133 e 133-bis c.p.) per l’esercizio di tale potere.
Una volta precisato ciò, i giudici di legittimità ordinaria denotavano come l’istituto processuale del riconoscimento della continuazione in executivis attribuisca al giudice dell’esecuzione il giudizio, proprio del giudice della cognizione, sulla sussistenza del vincolo del medesimo disegno criminoso tra reati separatamente giudicati e sulla conseguente quantificazione della pena complessiva senza però che tale giudizio possa prescindere da quello espresso dal giudice della cognizione nel caso in cui il reato più gravemente punito, tra quelli da unificare, sia stato già riconosciuto dallo stesso giudice in continuazione con altre violazioni con la corrispondente determinazione di aumenti non più revocabili.
L’applicazione della disciplina del reato continuato, a norma dell’art. 671 c.p.p., quindi, per il Supremo Consesso, vincola il giudice dell’esecuzione non solo a considerare come violazione più grave quella per la quale è stata inflitta la pena più grave, come statuito dall’art. 187 disp. att. c.p.p., ma anche a rispettare gli aumenti di pena determinati nella sentenza di condanna per la violazione più grave che sia stata già riconosciuta in continuazione con altri reati.
Tal che se ne faceva conseguire che se, dunque, il riconoscimento della continuazione rispetto a reati separatamente giudicati si innesta su una continuazione già riconosciuta dal giudice della cognizione, comprensiva della violazione sanzionata con la pena più grave, restano satelliti coi rispettivi aumenti di pena quelli già giudicati come tali e l’autonoma determinazione della pena da parte del giudice dell’esecuzione è limitata ai nuovi reati, separatamente giudicati, ai primi dallo stesso giudice unificati.
Una volta compiuta questa disamina di ordine giuridico, gli Ermellini rilevavano come, a loro avviso, nel caso in esame, il giudice dell’esecuzione non avesse rispettato gli aumenti di pena già stabiliti dal giudice della cognizione nella sentenza di condanna contenente il reato più gravemente punito, ridotti da nove a cinque mesi di reclusione in violazione del precedente giudicato, mentre avrebbe dovuto limitarsi, una volta riconosciuto come più grave il delitto di violenza sessuale già unificato al primo delitto di maltrattamenti, a determinare autonomamente la pena da applicare solo per il secondo delitto di maltrattamenti, separatamente giudicato e ai primi unificato, senza incorrere nel sostanziale annichilimento della pena per quest’ultimo irrogata dopo avere illegittimamente ridotto gli originari aumenti già determinati dal giudice della cognizione per i reati in riconosciuta continuazione -interna- con la violazione più grave.
La Suprema Corte, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, formulava il seguente principio di diritto: “In sede di applicazione della disciplina del reato continuato, a norma dell’art. 671 c.p.p., quando la pena più grave è inerente ad una violazione già ritenuta nella sentenza di condanna in continuazione con altri reati, il giudice dell’esecuzione non può determinare aumenti di pena diversi da quelli stabiliti dal giudice della cognizione nella medesima sentenza, fermo restando il suo potere di autonoma determinazione degli incrementi di pena per gli ulteriori reati satelliti, separatamente giudicati e riconosciuti in continuazione con i primi, nel rispetto dei limiti statuiti in materia dagli artt. 81 e 671 c.p.p.“.
L’ordinanza impugnata veniva dunque annullata con rinvio al giudice dell’esecuzione perché, in diversa persona fisica, procedesse ad una corretta determinazione del trattamento sanzionatorio in relazione a quanto esposto in tale pronuncia.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui si afferma che, in materia di continuazione, il giudice dell’esecuzione non può determinare aumenti di pena diversi da quelli stabiliti dal giudice della cognizione nella medesima sentenza quando la pena più grave è inerente ad una violazione già ritenuta nella sentenza di condanna in continuazione con altri reati.
Ove il giudice dell’esecuzione non dovesse procedere in tal senso, vi sono dunque gli estremi per potere ricorrere per Cassazione avverso un provvedimento di questo tipo alla luce di quanto affermato in siffatta sentenza.
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