Negozi di garanzia autonoma: le eccezioni proponibili dal garante

Introduzione

Il nostro ordinamento prevede garanzie reali e garanzie personali.
Entrambe le fattispecie contano al loro interno istituti tipici e altri atipici.
Nel corso degli ultimi anni, l’apertura del mercato economico alle cc.dd. piccole-medie imprese e a neofiti operatori ha richiesto l’ampliamento delle garanzie personali, a salvaguardia della certezza dei traffici giuridico-economici.
Tali istituti, invero, permettono di opporre delle eccezioni che non paralizzano i flussi economici, a differenza di quanto accade con altre forme di garanzie che, per l’appunto, saranno oggetti di confronto.
Nel corso della trattazione, dunque, si focalizzerà l’attenzione sui differenti negozi autonomi di garanzia ad oggi esistenti: il contratto autonomo di garanzia, nella contrattazione privata e nei rapporti di diritto pubblico; la polizza fideiussoria e le moderne lettere di patronage, deboli e forti.

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Il contratto autonomo di garanzia: dal diritto romano ad oggi

Con specifico riferimento alle garanzie personali, difatti, oltre a quelle tipizzate dal codice, quali la fideiussione ex art. 1936 c.c. o l’avvallo, ve ne sono altre, frutto della capacità evolutiva del diritto, che si permea sulla società in mutamento.
Esempio significativo di tale affermazione è dato dallo sviluppo di uno dei negozi di garanzia di più frequente utilizzazione nella realtà odierna: il contratto autonomo di garanzia, noto sin dall’800 in Germania e Inghilterra e la cui utilità sui è resa evidente, nel nostro ordinamento, a metà degli anni ’50, con l’intensificarsi dei rapporti economici, specie transnazionali.

Tale contratto si inserisce nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti ai sensi dell’art. 1322 c.c., che permette di ricorrere agli strumenti di tutela più idonei per il soddisfacimento degli interessi delle stesse, anche se con modalità non tipizzate ex lege.
In realtà, però, già nel diritto romano, i tratti peculiari dell’istituto in esame potevano identificarsi  in quelli della c.d. sponsio.
La sponsio, infatti, era una garanzia astratta riservata ai cives, della durata di due anni, con la quale il futuro creditore riceveva da uno sponsor la garanzia dell’adempimento del debitore o, in mancanza, la dazione di una somma di denaro (c.d. manus iniecto).
Le ragioni alla base della nascita e diffusione del contratto de quo vanno ricercate, come accennato, nell’evolversi dei traffici economico-giuridici e nell’esigenza di tenere indenne il creditore non solo dall’inadempimento bensì da tutte le ulteriori conseguenze negative derivanti dal mancato o inesatto adempimento.

Il contratto autonomo di garanzia, infatti, è un contratto in forza del quale un soggetto terzo, id est il garante autonomo, non si obbliga ad adempiere alla prestazione del debitore garantito bensì a tenere indenne il creditore, su richiesta dello stesso, dal pregiudizio arrecatogli dal debitore.
Da ciò si desumono i due aspetti fondamentali della disciplina in esame.
In primo luogo, il garante non si obbliga ad adempiere, come avviene nella fideiussione, quale negozio accessorio all’obbligazione principale, ma si impegna meramente a “tenere indenne” il creditore, attraverso la dazione di una somma di denaro, dalle conseguenze derivanti dall’inesatto o mancato adempimento ovvero da eventuali situazioni pregiudizievoli.

La garanzia autonoma, infatti, può avere ad oggetto anche situazioni differenti dall’inadempimento, come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, sull’assunto dell’autonomia negoziale delle parti, che possono prevederla nei più disparati così, compatibilmente con le disposizioni di legge.
L’obbligazione di garanzia, dunque, è autonoma anche in virtù della differenza sostanziale della prestazione in essa dedotta, rispetto a quella inizialmente prevista nel rapporto tra creditore e debitore. Nella garanzia autonoma, infatti, vi è solo un obbligo di indennizzo, che trova il suo fondamento nell’accordo intercorso tra le parti.

Il contratto autonomo di garanzia nel diritto amministrativo

È proprio questa la particolarità della disciplina, che ne ha permesso la diffusione non solo nell’ambito civilistico ma anche in quello amministrativo, attraverso differenti negozi autonomi di garanzia.
Basti accennare che la garanzia autonoma, atipica nell’ordinamento civilistico, è stata riconosciuta da diverse norme del D.lgs n. 163/2006 prima, e dal successivo D.lgs. n. 50/2016, dopo.

L’autonomia della garanzia si caratterizza anche per la facoltà che questa possa venire ad esistenza, quale condizione necessaria per il sorgere dell’obbligazione da garantire, prima ancora che quest’ultima sorga e in modo propedeutico.
A titolo esemplificativo, per riprendere il già citato codice dei contratti pubblici, l’art. 75 del d.lgs. n. 163/2006 prevedeva la prestazione di una garanzia a corredo dell’offerta avanzata dal soggetto partecipante ad un appalto.
Oggi, il novellato codice (d.lgs. n. 50/2016) prevede i c.d. “performance bond”, una modalità di garanzia che l’aggiudicatario deve presentare all’amministrazione, senza la quale la P.A. non concluderà il contratto.
In secondo luogo, il creditore deve semplicemente richiedere al garante di eseguire la sua prestazione e, dunque, di adempiere all’obbligo di indennizzo.

Ciò significa che tra il garante e il creditore non avranno valore le eccezioni derivanti dal rapporto sorto tra debitore e creditore.
Il contratto autonomo di garanzia, infatti, si caratterizza per le formule “  pagare a prima richiesta” e “senza obbligo di opporre eccezioni”.

Contratto autonomo di garanzia e fideiussione

Sono proprio le menzionate formule a velocizzare i traffici economico-giuridici e a garantire al creditore che verrà soddisfatto o quantomeno indennizzato, invogliandolo, se del caso, a concludere un contratto più rischioso che altrimenti non avrebbe concluso.
A differenza della clausola “solve et repete tipica della fideiussione, nella fattispecie in esame il creditore è certo che il soddisfacimento delle sue pretese, anche riguardanti il mero indennizzo, non dovrà scontrarsi con le eccezioni opponibili dal garante o dal debitore principale.
La clausola “solve et repete”, difatti, imponeva al garante di adempiere ma, successivamente, questi poteva opporre le eccezioni riguardanti sia il rapporto principale che il rapporto accessorio a questo strettamente collegato. E, in virtù di ciò, chiedere la ripetizione di quanto adempiuto.
La presenza o meno di una di queste clausole ha permesso, negli anni, di giungere ad una netta distinzione tra il contratto di fideiussione e il contratto autonomo di garanzia.
Nonostante il dibattito giurisprudenziale sorto sul punto, ad oggi è pacifico che vi è contratto autonomo di garanzia quando sussistono le due formule “pagare a prima vista” e “senza possibilità di opporre eccezioni” mentre vi è contratto accessorio di fideiussione in presenza della clausola “solve et repete”.
Nonostante ciò, un orientamento giurisprudenziale[1] preferiva adottare una impostazione volta a distinguere i due istituti con dei parametri meno oggettivi e più imperniati sul reale intento delle parti. In realtà, proprio per esigenze di certezza del diritto e per una conoscibilità ex ante della disciplina concreta da applicare, tale orientamento non ha avuto seguito.
Ovviamente, come ogni regola assoluta, ci sono dei limiti all’operatività del divieto di opporre eccezioni all’interno della garanzia autonoma.
Proprio recentemente, la giurisprudenza ha avuto l’occasione di sottolineare che l’autonomia della garanzia in esame non comporta che questa obbligazione sia completamente slegata dal rapporto sorto tra il debitore e il creditore; vi è, infatti, un collegamento, seppur molto elastico, tra l’obbligazione di garanzia e l’obbligazione garantita.
In virtù di tale collegamento, fermo restando la non opponibilità di eccezioni da parte del garante autonomo, quest’ultimo, in determinate situazioni, non solo ha la facoltà bensì il dovere giuridico di sollevare l’exceptio doli generalis.
Tali situazioni sono riconducibili a tre fattispecie: l’inesistenza dell’obbligazione principale, per adempimento o per causa di estinzione della stessa; la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative o per illiceità; l’esecuzione abusiva o fraudolenta dello stesso.
Si pensi, ad esempio, al caso in cui il debitore abbia correttamente adempiuto alla prestazione e, ciò nonostante, il creditore si rivolga al garante per ottenere da questi l’indennizzo pattuito in caso di inadempimento o di altra situazione pregiudizievole.
È  evidente il collegamento che sussiste tra l’obbligazione di garanzia e quella garantita, indipendentemente dall’autonomia del rapporto di garanzia rispetto all’obbligazione sorta tra creditore e debitore.
In siffatte ipotesi, dunque, il garante è tenuto a paralizzare la richiesta del creditore, eccependo la violazione della correttezza e della buona fede nell’esecuzione del contratto.
In assenza di tale eccezione, difatti, il garante sarebbe impossibilitato ad agire in rivalsa nei confronti del debitore, per aver soddisfatto le pretese, seppur illegittime, del garante che gli ha chiesto di “pagare a prima richiesta”.

La polizza fideiussoria e le c.d. lettere di patronage

Il contratto autonomo di garanzia, la cui disciplina si è ora esposta, non rappresenta l’unico negozio autonomo diffuso nella prassi.
A questo va affiancato l’istituto della polizza fideiussoria, la cui natura è tutt’oggi discussa, nonché le lettere c.d. di patronage.

L’espressione “polizze fideiussorie”  è un’espressione “polisenso” poiché con essa si definiscono una serie di situazioni fra loro diverse.

In prima istanza, è necessario chiarire che le polizze in esame sono un obbligo assunto da imprese di assicurazione o istituti di credito, che si sostanzia nella corresponsione di un importo al beneficiario della polizza, a titolo di garanzia per l’adempimento della prestazione del debitore.
Già dalle definizione si può evincere che anche questa garanzia non mira ad assicurare l’esatto adempimento dell’obbligazione gravante sul debitore bensì solo un indennizzo economico.
In virtù di ciò, la polizza rientra nelle c.d. garanzie indennitarie e non in quelle satisfattorie, come la fideiussione, e può essere una valida alternativa ai versamenti di una cauzione.
Frequente applicazione di tale polizze si ha nell’ambito degli appalti, ove il soggetto aggiudicatore deve presentare, come accennato, idonee garanzie alla pubblica amministrazione.
la struttura della polizza solitamente rientra o  nello schema del contratto a favore di terzo ovvero nella forma di un contratto trilaterale. Nel primo caso, il terzo, id est il creditore garantito, non è parte del contratto finché non dichiara di voler profittare della garanzia stipulata in suo favore. Nel caso di contratto trilaterale, invece, sin da subito è parte del contratto sorto tra debitore e istituto di credito, nel quale egli è beneficiario della polizza.
Resta dubbia, indipendentemente dalla fattispecie contrattuale utilizzata, quale disciplina debba applicarsi alle polizze fideiussorie.[2]

Da un lato, infatti, la sua inidoneità a garantire l’esatto adempimento della prestazione gravante sul debitore ne escluderebbe la sussimibilità all’interno delle norme sulla fideiussione, di cui agli artt. 1936 e ss. del c.c.; dall’altro, di opposta considerazione è una parte della dottrina e della giurisprudenza, secondo cui già l’utilizzo dell’espressione “polizze fideiussorie” e non meramente “di garanzia” dovrebbe far propendere per l’inquadramento delle stesse nella fattispecie tipizzata dal codice.
Sulla questione hanno avuto modo di esprimersi le Sezioni Unite della Suprema Corte, confermando la natura autonoma e meramente indennitaria delle polizze in esame.
Infine, meritano menzione anche le c.d. lettere di patronage o conforto, specificatamente quelle c.d. forti.
Le lettere di conforto, infatti, sono dichiarazioni rilasciateda un soggetto terzo ad un futuro creditore.
A seconda del loro tenore, possono avere carattere meramente informativo e quindi essere c.d. deboli ovvero impegnativo e in tal caso sono definite forti.
Le prime sono quelle lettere con le quali il patronnant informa il terzo circa fatti e circostanze inerenti la persona del debitore e il suo status.
Diverso, invece, il regime delle seconde: con le lettere c.d. forti, infatti, il patronnant non fornisce mere informazioni circa condizioni del debitore che ambisce ad ottenere una garanzia bensì assume specifici obblighi nei confronti del destinatario della dichiarazione.
Queste lettere vengono definite forti poiché influiscono sul convincimento del terzo circa l’idoneità del debitore “garantito” a ricevere una somma di denaro a mutuo, ovvero un credito di altra natura o un trattamento economico garantito patronnant.

Con tali lettere, però, non si assume una garanzia ad assolvere l’obbligazione sorta in capo al debitore, bensì si intende assumere un impegno circa la solvibilità dello stesso, se del caso assicurando di fornirgli i mezzi idonei a portare a compimento la prestazione assunta.
Assicurare la solvibilità non implica quindi l’esatto adempimento come nella fideiussione accessoria, né fornire una somma a titolo di indennizzo in caso di inadempimento come nel caso del contratto autonomo di garanzia o della polizza fideiussoria.
In caso di inadempimento del debitore, infatti, il patronnant è esposto a responsabilità, il che presuppone l’accertamento del nesso eziologico tra l’inadempimento del soggetto garantito e quello di colui che ha emesso la dichiarazione in suo favore.
Ovviamente, poi, una forma di responsabilità potrà venire ad esistenza anche nel caso in cui la dichiarazione predisposta tramite c.d. lettera debole avesse valore meramente informativo, poiché le dichiarazioni mendaci hanno indotto il ricevente ad autodeterminarsi in modo differente da quello in cui avrebbe agito con piena conoscenza della realtà fattuale.

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1 M. Fratini,” Il sistema di diritto civile”, vol. 1 “Le obbligazioni”, III edizione, Dike, p. 315 e ss.

Michele Di Cillo

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