I mezzi di prova del sottoprodotto di cui al d.m. 264/2016 non sono vincolanti

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Introduzione

Il presente studio ha la finalità di analizzare in maniera puntuale le seguenti rilevanti questioni interpretative relative alla disciplina del sottoprodotti:

  • se le modalità ed i mezzi di prova, indicati dal D.M. 264/2016, relativi alla dimostrazione della sussistenza dei requisiti del sottoprodotto, di cui all’articolo 184-bis del Dlgs 152 del 2006 e s.m. , siano obbligatori e vincolanti ai fini di tale dimostrazione;
  • se le prove documentali della sussistenza dei requisiti del sottoprodotto debbano accompagnare il trasporto di tali sottoprodotti all’ interno del territorio nazionale ed all’estero (come allegati alla documentazione obbligatoria prevista per le varie modalità di trasporto).

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Toni Cellura | 2018 Maggioli Editore

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PUNTO 1-

La disciplina dei sottoprodotti

Lo studio in oggetto prende ovviamente le mosse dalla disciplina di cui all’articolo 184-bis, del Dlgs 152 del 2006 e s.m. (come sostituito dal Dlgs n.205 del 2010 ),  relativo alla nozione di  “Sottoprodotto”, , che definisce tale nozione elencando, come già nel testo previgente, una serie di requisiti specifici:

“1. È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

Sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformità a quanto previsto dalla disciplina comunitaria.”

Le condizioni previste dalla norma devono sussistere in maniera concorrente, sicché la mancanza di anche una sola di esse comporta inevitabilmente  l’assoggettamento del materiale alla disciplina sui rifiuti[1] .

Si deve evidenziare che, essendo quella di cui all’art.184-bis una normativa “in deroga” alla nozione di rifiuto, tutte le condizioni costitutive elencate in tale articolo dovranno essere provate, con onere della prova a carico del produttore che invoca l’esistenza del sottoprodotto anziché del rifiuto. In tal senso si veda la Sentenza Corte di Giustizia 3 ottobre 2013, causa C-113/12, che afferma: “di regola, quanto alla dimostrazione di un’intenzione, solo il detentore dei prodotti può provare che la propria intenzione non è quella di disfarsi di tali prodotti, bensì di permetterne il riutilizzo in condizioni idonee a conferire loro la qualifica di sottoprodotto ai sensi della giurisprudenza della Corte ” .

Si sottolinea che il disposto dell’art.184-bis è ed è stato immediatamente applicativo, nel senso che i requisiti elencati non necessitano di alcuna ulteriore specificazione da parte dei decreti ministeriali previsti (come eventuali) dal comma secondo del medesimo articolo.

Sulla materia delle modalità di prova dei requisiti del sottoprodotto è poi intervenuto il Decreto del Ministero dell’Ambiente  13 ottobre 2016, n. 264  “Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti”, pubblicato sulla G.U. Serie Generale n.38 del 15-2-2017,  entrato in vigore il 2 marzo 2017.

Una definizione di “sottoprodotto” è contenuta nell’art.2 di  tale Decreto:

“c) sottoprodotto: un residuo di produzione che non  costituisce  un rifiuto ai sensi dell’articolo  184-bis  del  decreto  legislativo  3 aprile 2006, n. 152.” .

Tale definizione si limita  a rinviare a quella di cui al Dlgs 152,  che definisce, all’ art.183, lett. qq) : “sottoprodotto”: “ qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa le condizioni di cui all’articolo 184-bis, comma 1, o che rispetta i criteri stabiliti in base all’articolo 184-bis, comma 2.”

IL DM 264 NON È APPLICATIVO DEL COMMA 2 DELL’ART.184-BIS

Si deve fin d’ora rilevare come il Decreto del Ministero dell’Ambiente  13 ottobre 2016, n. 264 non sia affatto un decreto attraverso il quale siano state adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti”,  come è affermato in primo luogo dal decreto stesso, contrariamente a quanto avvenuto, ad es., con l’entrata in vigore del Decreto 10 agosto 2012 , n. 161  “Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione   delle  terre  e rocce da scavo”, che invece è effettivamente  applicativo del comma secondo dell’articolo  184-bis, in quanto, come affermato dal primo comma dell’art.1 di tale Regolamento:

il presente Regolamento stabilisce, sulla base delle condizioni previste al comma 1, dell’articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152  del 2006 e successive modificazioni, i criteri qualitativi da  soddisfare affinchè i materiali di scavo, come definiti all’articolo  1,  comma 1,  lettera  b)   del   presente   regolamento,   siano   considerati sottoprodotti e non rifiuti ai  sensi  dell’articolo  183,  comma  1, lettera qq) del decreto legislativo n.  152  del  2006  e  successive modificazioni.”

Che il DM 264/2016 non sia applicativo del comma 2 dell’art.184-bis è confermato dal primo comma dell’art.1 del Decreto, che dispone testualmente:

 “Art. 1 Oggetto e finalità

  1. Al fine di favorire ed agevolare l’utilizzo come  sottoprodotti di sostanze ed oggetti che derivano da un processo  di  produzione  e che rispettano specifici criteri,  nonchè  per  assicurare  maggiore uniformità   nell’interpretazione    e nell’applicazione    della definizione  di  rifiuto,  il  presente  decreto   definisce   alcune modalità  con  le  quali  il  detentore  può  dimostrare  che  sono soddisfatte le condizioni generali di cui  all’articolo  184-bis  del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.”

Risulta dichiarato esplicitamente che il Decreto 264 si limita a “definire alcune modalità  (di prova, n.d.s.) con  le  quali  il  detentore  può  dimostrare  che  sono soddisfatte le condizioni generali di cui  all’articolo  184-bis” .

Ciò è inoltre immediatamente confermato dal successivo comma secondo, ai sensi del quale: “  2. I requisiti e le condizioni richiesti per escludere  un  residuo di produzione dal campo di applicazione della normativa  sui  rifiuti sono valutati ed accertati alla luce del complesso delle  circostanze e devono essere soddisfatti in  tutte  le  fasi  della  gestione  dei residui, dalla produzione all’impiego nello stesso processo o in  uno successivo.”

Dunque il Decreto 264 non individua quali “condizioni integrative” dei requisiti di legge del sottoprodotto,  il rispetto di alcuna delle disposizioni di cui al decreto medesimo, e si limita a ribadire la regola generale fissata già in precedenza  dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, ai sensi della quale :

“I requisiti e le condizioni richiesti per escludere  un  residuo di produzione dal campo di applicazione della normativa  sui  rifiuti sono valutati ed accertati alla luce del complesso delle  circostanze”.

Il disposto di cui al comma secondo dell’art.1 riprende, pressochè pedissequamente, alcuni arresti di sentenze della Corte di Giustizia (aventi ad oggetto il rapporto tra residui di produzione e rifiuti), confermando chiaramente che il D.M. è volto essenzialmente a fornire elementi utili (fonti di prova) alla distinzione tra rifiuto e non rifiuto, nel caso specifico dei residui di produzione.

Dispone poi il terzo comma del medesimo articolo 1 del D.M. che:

“3. Fatte salve le disposizioni di  carattere  generale  di  cui  al presente decreto ed  il  rispetto  dei  requisiti  di  impiego  e  di qualità   previsti   dalle   pertinenti   normative   di    settore, nell’ allegato 1 è riportato, per  specifiche  categorie  di residui produttivi,  un  elenco  delle  principali  norme  che  regolamentano l’impiego dei residui medesimi, nonchè una serie di operazioni e  di attività che possono costituire normali pratiche  industriali,  alle condizioni previste dall’articolo 6.”

Come si evince chiaramente dal dato testuale del terzo comma, nemmeno l’ Allegato 1 del D.M. contiene disposizioni che possano definirsi “misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti”.

 

 

Il dm 264 non è innovativo nè integrativo dei requisiti costitutivi del sottoprodotto

L’altro dato testuale, che emerge chiaramente dalle disposizioni di cui al DM 264/2016,  è che tale Decreto non è né innovativo né integrativo dei requisiti costitutivi del sottoprodotto.

Tale interpretazione della norma è non solo  confermata dal richiamato comma secondo dell’art.1 (“I requisiti e le condizioni richiesti per escludere  un  residuodi produzione dal campo di applicazione della normativa  sui  rifiuti sono valutati ed accertati alla luce del complesso delle  circostanze”, e non già ai sensi di criteri o requisiti integrativi stabiliti dal Decreto ), ma altresì, sotto tale profilo,  dal  Ministero dell’Ambiente che, con propria  Circolare Prot.0007619 del 30-05-2017 , afferma esplicitamente quale sia lo  “Scopo del decreto”:

“L’articolo 184-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 – in rigorosa attuazione dell’articolo 5 della direttiva quadro in materia di rifiuti, n. 2008/98/CE – prevede che, al fine di considerare i residui dei processi produttivi sottoprodotti anziché rifiuti, è necessario dimostrare la sussistenza delle seguenti condizioni:………….”

“La sussistenza di tali condizioni, di carattere generale, deve essere necessariamente valutata, come più volte precisato dalla Corte di giustizia a partire dalla sentenza 18 aprile 2002 resa nella Causa C-9/00 Palin Granit, in concreto e di caso in caso (sul punto, cfr. anche la Comunicazione 21 febbraio 2007, COM (2007) 59 def.).

La natura di “clausole generali”, però, di alcune delle condizioni sopra elencate (come, ad esempio, la “certezza dell’utilizzo” o la riconducibilità del trattamento alle “normali pratiche industriali”), nel tempo ha creato problemi sia per gli operatori che per le Amministrazioni, determinando difformità di applicazione e di interpretazione, con ricadute negative, in termini di certezza, sulle imprese e sugli organi di controllo.

Il rischio, in assenza di elementi di riferimento, è quello di disincentivare l’impiego di materiali che, seppure residuali, possono essere utilmente impiegati nello stesso o in altro ciclo produttivo, nel rispetto della tutela dell’ambiente e della tutela della salute, in attuazione del principio di prevenzione della formazione di rifiuti e della gerarchia dei rifiuti di cui all’articolo 4 della direttiva 2008/98/CE.

In questo quadro, il Regolamento n. 264, entrato in vigore il 2 marzo 2017, ambisce ad essere uno strumento a disposizione degli operatori, delle Amministrazioni e degli organi di controllo per agevolare la  dimostrazione  della  sussistenza  dei requisiti richiesti dalla normativa vigente per la qualificazione di un residuo di produzione come sottoprodotto anziché come rifiuto.

Il Regolamento n. 264 del 2016 non innova in alcun modo la disciplina sostanziale generale del settore[2].

Se un residuo andrà considerato sottoprodotto o meno dipenderà, dunque, esclusivamente dalla sussistenza delle condizioni di legge sopra richiamate.”

Da quanto chiaramente affermato dagli articoli del D.M. sopra rassegnati, si evince chiaramente che la mancanza, di uno o più degli elementi di prova indicati dal DM 264, non comporta necessariamente la mancata sussistenza delle condizioni di legge del sottoprodotto.

Modalità di dimostrazione dei requisiti costitutivi  del sottoprodotto nel d.m. 264:

Non sono vincolanti

Come già evidenziato, il primo comma dell’articolo 1 del Decreto stabilisce che:   “per  assicurare  maggiore uniformità   nell’interpretazione    e    nell’ applicazione    della definizione  di  rifiutoil  presente  decreto   definisce   alcune modalità  con  le  quali  il  detentore  può  dimostrare  che  sono soddisfatte le condizioni generali di cui  all’articolo  184-bis  del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.

Il Decreto indica (anche se tale indicazione non è prevista specificamente ed esplicitamente  da alcuna norma di cui al decreto 152/2006 e s.m.)  alcune modalità  con  le  quali  il  detentore può dimostrare  che  sono soddisfatte le condizioni generali (i requisiti costitutivi) che costituiscono la fattispecie del sottoprodotto .

È noto che gli Stati membri dell’Unione europea possiedono la facoltà di porre in essere normative atte a “scegliere le modalità di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da essi trasposte”  (nel caso specifico relative ai requisiti del sottoprodotto di cui alla direttiva 98/2008), come è confermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Si veda sotto tale profilo ad es. la Sentenza della  Corte (Seconda Sezione) 11 novembre 2004-Niselli,  che afferma : “In mancanza di disposizioni comunitarie, gli Stati membri sono liberi di scegliere le modalità di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da essi trasposte, purché ciò non pregiudichi l’efficacia del diritto comunitario (v., in particolare, sentenza 15 giugno 2000, cause riunite C 418/97 e C 419/97, ARCO Chemie Nederland e a., Racc. pag. I 4475, punto 41).”

Prima del  D.M.264  non erano state poste in essere, nel nostro ordinamento giuridico, norme relative ai mezzi di prova del sottoprodotto e dunque vigeva (ed in parte ancora vige) il principio della libertà di prova, come è confermato dallo stesso DM 264, nel comma 2 dell’art.4  laddove dispone:

“2. Negli articoli seguenti sono indicate alcune modalità  con  cui provare la sussistenza delle circostanze di cui  al  comma  1fatta salva la possibilità di dimostrare, con  ogni  mezzo  ed  anche  con modalità e con riferimento a sostanze ed oggetti diversi  da  quelli precisati nel presente decreto, o che soddisfano criteri  differenti, che una sostanza o un oggetto derivante da un ciclo di produzione non

è  un  rifiuto,  ma  un  sottoprodotto.  Resta  fermo  l’obbligo  di rispettare i requisiti  di  impiego  e  di  qualità  previsti  dalle  pertinenti normative di settore.”.

Si rammenta che, invece, nella definizione del sottoprodotto del testo originario del Dlgs 152 del 2006, si definivano modalità di prova documentali obbligatorie. Esso infatti disponeva: “Al fine di garantire un impiego certo del sottoprodotto, deve essere verificata la rispondenza agli standard merceologici, nonchè alle norme tecniche, di sicurezza e di settore e deve essere attestata la destinazione del sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standard e norme tramite una dichiarazione del produttore o detentore, controfirmata dal titolare dell’impianto dove avviene l’effettivo utilizzo”.

Da quanto sopra evidenziato si  deduce chiaramente che: 1) né l’elencazione di cui all’allegato 1, del D.M.,  dei residui di produzione qualificati come potenziali sottoprodotti, in quanto rispettino le norme elencate in tale allegato ai fini del loro utilizzo, 2) né le modalità di prova della sussistenza dei requisiti costitutivi del   sottoprodotto, elencate nel D.M.,  possono considerarsi “esaustive” o “costitutive” o anche solo “integrative” ma  solo “meramente esemplificative”, e certamente “non obbligatorie” e “non vincolanti”.  Per i motivi sopra esposti si può affermare che rimane vigente il “principio della libertà di prova dei requisiti del sottoprodotto”.

La Circolare del Ministero dell’ambiente del 30-05-2017

Quanto sopra affermato trova conferma anche nel punto 3 “Effetti giuridici”, della Circolare del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare DIREZIONE GENERALE PER I RIFIUTI E L’INQUINAMENTO, Prot.0007619 del 30-05-2017,  ai sensi della quale:

Effetti giuridici. Come già evidenziato, l’intento del provvedimento normativo non è quello di innovare o modificare le condizioni che, ai sensi del comma 1 dell’articolo 184-bis del d.lgs. 152 del 2006, devono essere soddisfatte da una qualsiasi sostanza od oggetto per essere qualificato come sottoprodotto e non come rifiuto. Ciò si desume chiaramente dalle disposizioni del Decreto caratterizzate dalla maggiore vocazione sistemica. A questo riguardo vanno richiamati gli articoli 1, comma 1, e 4, comma 2.

Ai sensi della prima disposizione, infatti, l’atto normativo in esame «definisce alcune modalità con le quali il detentore può dimostrare che sono soddisfatte le condizioni generali di cui all’art. 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152», mentre la seconda è chiara nel limitarne gli effetti alla predisposizione di «alcune modalità con cui provare la sussistenza delle circostanze di cui al comma1, fatta salva la possibilità di dimostrare, con ogni mezzo ed anche con modalità e con riferimento a sostanze ed oggetti diversi da quelli precisati nel presente decreto, o che soddisfano criteri differenti, che una sostanza o un oggetto derivante da un ciclo di produzione non è un rifiuto, ma un sottoprodotto».

Le disposizioni sopra richiamate sono dunque esplicite nell’escludere l’effetto vincolante del sistema probatorio disciplinato dal decreto, precisando che le modalità di prova ivi indicate non vanno in alcun modo intese come esclusive.

È lasciata all’operatore la possibilità di scegliere mezzi di prova individuati in autonomia e diversi da quelli disciplinati dall’atto de quo. Tale lettura risulta confermata anche dalla previsione dell’articolo 4, comma 4, del Regolamento che prevede un onere di conservazione per 3 anni della documentazione indicata nel provvedimento solo a carico di coloro che intendano avvalersi del regime probatorio oggetto del Decreto.

In sintesi, rimane del tutto ferma la libertà per gli operatori di dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge con ogni mezzo e con riferimento a materiali o sostanze diversi da quelli espressamente disciplinati negli allegati, anche mantenendo i sistemi e le procedure aziendali adottati prima dell’entrata in vigore del decreto o scegliendone di diversi.

L’articolo 4, comma 2, d’altra parte, precisa che resta vincolante l’applicazione delle pertinenti norme di settore, sicché, laddove il decreto contiene elementi di chiarimento sull’applicazione delle disposizioni normative vigenti, tali previsioni sono vincolanti in quanto esplicative di specifiche norme di legge vigenti cui fanno riferimento.

Alla luce di quanto qui osservato, si deve senz’altro escludere che possa in alcun modo essere considerata condizione necessaria per il legittimo svolgimento di una attività di gestione  di sottoprodotti l’utilizzazione degli strumenti disciplinati  dal decreto, che rimane  senz’altro  frutto  di  una  adesione  volontaria.

In  conseguenza,  per  nessun  atto abilitativo,  comunque  denominato,  potrà  mai  richiedersi  l’obbligatoria  adesione  alle procedure e agli strumenti disciplinati dal Regolamento. A questo riguardo, l’articolo 4, comma 1, precisa che in ogni fase della gestione del residuo è necessario fornire la dimostrazione che sono soddisfatte tutte  le condizioni richieste dalla legge.

Sul punto, pare opportuno ribadire che – come del resto si è già avuto modo di notare – la disposizione da ultimo citata non innova il diritto sostanziale vigente circa le condizioni di legge perché un materiale possa venire qualificato sottoprodotto. Essa, infatti, si limita a precisare che, sin dal momento in cui il residuo viene generato, si deve poter fornire la prova che trattasi di un sottoprodotto. Analogamente va inteso l’articolo 5, comma 1, del Decreto, ai sensi del quale «il requisito della certezza dell’utilizzo è dimostrato dal momento della produzione del residuo».  …..”.

Punto 2- la documentazione relativa al trasporto dei sottoprodotti

Una volta accertata la non obbligatorietà e non vincolatività delle modalità e dei mezzi di  prova relativi alla dimostrazione della sussistenza dei requisiti del sottoprodotto di cui al D.M. 264/2016, dobbiamo ora appurare se le prove della sussistenza di tali requisiti debbano accompagnare il trasporto di tali sottoprodotti all’ interno del territorio nazionale ed all’estero.

Come già evidenziato, l’art.184-bis del Dlgs 152/2006 elenca i requisiti costitutivi del sottoprodotto, e il Decreto del Ministero dell’Ambiente  13 ottobre 2016, n. 264  reca criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti.

Premesso che la giurisprudenza è costante nel ritenere necessaria la sussistenza dei requisiti del sottoprodotto “fin dal momento della sua produzione”, non esiste invece alcuna norma di diritto positivo che specifichi se la documentazione comprovante la sussistenza di tali requisiti, debba accompagnare  il trasporto di tali sottoprodotti all’ interno del territorio nazionale ed all’estero.

Ci si può chiedere ad es. se tale documentazione debba essere allegata al Documento di Trasporto che accompagna il viaggio del sottoprodotto dal produttore verso l’utilizzatore finale e/o verso un intermediario.

Come già evidenziato, non esiste alcuna norma di diritto positivo che richieda di allegare al DDT anche la documentazione comprovante la sussistenza dei requisiti del sottoprodotto.

Esiste un solo caso specifico, disciplinato dall’ articolo 11, comma 1, del già richiamato DECRETO 10 agosto 2012, n. 161  “Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo”, che impone una specifica documentazione per tale specifica categoria di sottoprodotto, disponendo che :

“Art. 11 Trasporto . 

1. In tutte le fasi successive all’uscita del materiale dal sito di produzione, il trasporto del materiale escavato è accompagnato dalla documentazione di cui all’ allegato 6.

  1. La documentazione di cui al precedente comma è predisposta  in triplice copia, una per l’esecutore, una per il trasportatore  e  una per il destinatario e conservata, dai predetti soggetti,  per  cinque anni e resa  disponibile,  in  qualunque  momento,  all’ Autorità  di controllo  che  ne  faccia  richiesta.  Qualora   il   proponente  e l’esecutore siano diversi, una quarta copia della documentazione deve essere conservata presso il proponente.”

“Allegato 6 documento di trasporto

Preventivamente al trasporto del  materiale  da  scavo,  deve  essere inviata all’ Autorità  competente  una  comunicazione  attestante  le generalità della stazione appaltante, della ditta  appaltatrice  dei lavori di scavo/intervento, della ditta che trasporta  il  materiale, della ditta che riceve il  materiale  e/del  luogo  di  destinazione, targa del mezzo utilizzato, sito  di  provenienza,  data  e  ora  del

carico, quantità e tipologia del materiale trasportato.

Qualora  intervengano  delle  modifiche,   queste   dovranno   essere comunicate   tempestivamente,   anche   solo   per   via   telematica all’Autorità competente.

Dovrà essere inoltre compilato un  modulo  per  ogni  automezzo  che compie il trasporto dei materiali da scavo a partire da un unico sito di  produzione  verso  un  unico  sito  di  utilizzo  o  di  deposito provvisorio previsti da apposito piano di utilizzo. Il documento, che deve  viaggiare  insieme  al  materiale,  una  volta  completato   il trasporto, deve essere conservato in originale dal  responsabile  del

sito di  utilizzo  e  in  copia  dal  produttore,  dal  proponente  e responsabile del trasporto.”

Al di fuori della casistica sopra evidenziata, l’unico obbligo del produttore del sottoprodotto (e degli altri soggetti della filiera, quali l’utilizzatore finale e gli eventuali intermediari), è quello di essere in possesso, fin dal momento in cui il residuo di produzione è stato generato, di tutta la documentazione idonea a provare la sussistenza dei requisiti del sottoprodotto.

La documentazione deve essere presente presso la sede legale dei vari soggetti della filiera del sottoprodotto e deve essere esibita a richiesta delle autorità di controllo.Tale documentazione può consistere: a) nei mezzi di prova delineati dal DM 264/2016 o b) in altra documentazione, comunque idonea a dimostrare la sussistenza dei requisiti del sottoprodotto di cui all’art.184-bis del Dlgs 152/2006 e s.m. .

A prescindere da tale specifica documentazione, la disciplina del trasporto dei sottoprodotti è in tutto e per tutto identica a quella del trasporto delle merci, alla quale si deve uniformare. Ciò vale ovviamente non solo per i traporti nazionali ma anche per il trasporto dei sottoprodotti verso Paesi comunitari e non comunitari, per il quale dovrà essere osservata la specifica disciplina del trasporto delle merci.

Per quanto attiene  alla esportazione delle merci verso Paesi stranieri, i documenti che devono accompagnare tali spedizioni sono indicati dalla DICHIARAZIONE DOGANALE DI ESPORTAZIONE, ai sensi  del regolamento CEE 1875/2006 , che ha modificato il regolamento CEE 2454/1993. La dichiarazione elettronica DAE contiene tutti gli elementi identificativi dell’operazione quali il valore imponibile, la qualità della merce, il peso, i colli, il destinatario della spedizione e la fattura di riferimento.

In conclusione si deve evidenziare che non esistono  documenti “aggiuntivi” (rispetto ai documenti che devono accompagnare il trasporto delle merci) imposte da norme vigenti, relativi ai sottoprodotti, che debbano accompagnare il trasporto degli stessi all’interno del territorio nazionale o verso Paesi esteri.

Volume consigliato

L’applicazione dei criteri ambientali minimi negli appalti pubblici

Con il “Collegato ambiente” alla legge di stabilità 2015, sono state introdotte nel nostro ordinamento una serie di novità in materia di appalti verdi e alcune modifiche al codice dei contratti pubblici. Le norme hanno previsto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, incluse le centrali di committenza, di contribuire al conseguimento degli obiettivi ambientali, attraverso l’inserimento nei documenti di gara delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei decreti ministeriali sui CAM (Criteri Ambientali Minimi), adottati in attuazione del Piano di Azione Nazionale (PAN GPP). Ovviamente, tutte le disposizioni (sugli acquisti verdi e sulla obbligatorietà dei CAM) costituiscono una vera e propria rivoluzione nel mondo degli appalti e gli operatori pubblici e privati sono chiamati a conoscere ed utilizzare gli strumenti di gestione ambientale (EMAS e ISO 14001), le etichettature ecologiche (Ecolabel etc.), le dichiarazioni ambientali di prodotto (DAP), le metodologie di analisi del ciclo di vita (LCA) ed infine l’impronta ecologica dei prodotti (PEF) che, tra l’altro, sarà utilizzata per il nuovo marchio “Made Green in Italy”, recentemente oggetto del Decreto 21 marzo 2018, n. 56 del Ministero dell’Ambiente di cui questa edizione tiene conto. Il focus del libro risulta concentrato sui Criteri Minimi Ambientali e sull’impatto che la loro applicazione avrà sul sistema attuale degli appalti pubblici. Un capitolo è dedicato alla conoscenza del GPP; vengono altresì illustrate alcune esperienze regionali riconosciute come virtuose. Oltre agli strumenti predetti, vengono analizzati i Manuali Europei sugli acquisti verdi e le varie direttive, la normativa nazionale, il Piano di Azione Nazionale (PAN GPP). Si illustreranno i CAM, sia quelli in vigore (ad oggi 18) che quelli in itinere, con commenti e valutazioni ed alcune schede operative. Tutti i contenuti del volume sono aggiornati e commentati con il D.Lgs. n. 56/2017. Inoltre, è stato introdotto un nuovo paragrafo sui “Criteri ambientali minimi per l’affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici pubblici” (G.U. serie generale n. 259 del 6 novembre 2017), entrati in vigore il 7 novembre 2017. Seguendo le istruzioni presenti in terza di copertina, si potrà consultare una selezione della normativa europea e nazionale in materia, i PAN GPP, i CAM attualmente in vigore e documentazione varia selezionata dalle esperienze regionali.

Toni Cellura | 2018 Maggioli Editore

29.00 €  23.20 €

Note

[1] Sotto tale profilo si veda nella  giurisprudenza della Corte di Cassazione Penale: Sez. III, sent. n. 27085 del 4-07-2008; Sez. III, sent. n. 47085 del 19-12-2008 ; Sez. III, sent. n. 10711 dell’11-03-2009.

[2] Il grassetto è dello scrivente.

Avv. Bernardino Albertazzi

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