Premessa
Una delle tematiche di maggior interesse, relativamente alla gestione collettiva del risparmio, concerne la natura giuridica dei fondi comuni di investimento, argomento oggetto di una copiosa letteratura giuridica, ad opera della Dottrina più sensibile. Dibattito che, alla luce della pronuncia della Cassazione, Sez. I, 15 luglio 2010, n. 16605 e del Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa B, con sentenza n. 7232 del 2016, sembra essersi destato da un’apparente assopimento. Prima di addentrarci nel merito dell’indagine conoscitiva, si permetta un sommario ed un celere excursus sui tratti salienti della disciplina dei fondi comuni di investimento.
Ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera j del decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998 (T.U.F.), si intende, per fondo comune di investimento, “l’OICR[1] costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore”. La gestione compete alla società di gestione del risparmio (SGR) che lo ha istituito o alla società di gestione subentrata nella gestione, mentre la custodia degli strumenti finanziari e della liquidità è affidata ad un soggetto terzo, la c.d. ‘banca depositaria’.
Elemento di particolare interesse, ai fini della nostra trattazione, afferisce al regime di autonomia patrimoniale del fondo comune rispetto: i) al patrimonio della Società di gestione del risparmio; ii) al patrimonio di ciascun partecipante al fondo; iii) ad ogni altro patrimonio gestito dalla SGR. Di conseguenza, delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la SGR risponderà con il patrimonio del fondo medesimo. I creditori della SGR, del depositario e/o del sub-depositario non possono rivalersi sul patrimonio del fondo, mentre le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi.[2]
Le diverse posizioni della dottrina
Senza presunzione di completezza indicherò i contributi più importanti relativi alla tematica oggetto d’indagine. Una delle teorizzazioni più risalenti delinea il fondo come una “comunione di diritto comune”, in cui i partecipanti hanno la proprietà – in comunione tra loro – con conseguente godimento dei frutti nei limiti della quota di riferimento. Coerentemente con l’articolo 1100 del c.c.[3], la disciplina speciale contenuta nel T.U.F., applicata a tale forma sui generis di comunione: i) concerne la proporzionalità della responsabilità dei partecipanti alla somma versata; ii) permette al singolo partecipante di chiedere esclusivamente la liquidazione della propria quota; iii) dispone l’assenza del potere di amministrare e gestire il fondo, il cui potere spetta alla SGR.[4]
Nonostante tale ricostruzione possa apparire esaustiva, essa presta, secondo parte della dottrina, il fianco a delle confutazioni e a degli scetticismi di non facile superamento; nello specifico, si osserva come la comunione consenta l’esclusivo mero godimento del bene comune, laddove invece l’attività del fondo si risolve in un’attività di investimento ai fini del percepimento di un’utilità. Non solo: mentre nella comunione il creditore personale di uno dei comproprietari può rivalersi sul bene comune in misura proporzionale alla quota del suo debitore, il creditore di un investitore può agire esclusivamente sul credito vantato da quest’ultimo nei confronti della Società di gestione.
Una seconda posizione dottrinaria[5] mira a ricostruire la natura giuridica dei fondi comuni di investimento attraverso il rapporto giuridico trilaterale tra: i) banca depositaria: ii) investitori; iii) società di gestione. Tra i partecipanti e la depositaria intercorre un contratto di deposito con oggetto le disponibilità liquide e in titoli del fondo, in aggiunta ad “un contratto di conto corrente di corrispondenza cui accede un mandato a regolare le operazioni disposte dalla società di gestione.” [6]
La SGR cura gli interessi degli investitori attraverso un mandato senza rappresentanza, agendo in nome proprio e per conto dei partecipanti attraverso operazioni affidate alla banca depositaria. I beni acquistati dalla società di gestione entrano immediatamente a far parte del patrimonio del fondo e non sono aggredibili dai creditori della società di gestione. I beni del fondo sono intestati alla società di gestione, unico soggetto legittimato a disporne e ad esercitarne i diritti nei confronti dei terzi.
La banca, attraverso il suo operato, si pone l’obiettivo di proteggere il patrimonio del fondo dal rischio di confusione col patrimonio della società di gestione. Lo schema del mandato senza rappresentanza conferito alla società di gestione implica che quest’ultima sia l’unico soggetto responsabile per le obbligazioni assunte nella gestione del fondo. La società di gestione soddisfa tali obbligazioni a carico del patrimonio del fondo, ma in caso di mancato adempimento risponde con il proprio patrimonio come un qualsiasi mandatario senza rappresentanza. Ciò, chiaramente, stride con l’articolo 36, comma 4 del T.U.F., secondo cui “delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la SGR risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo”.
La ricostruzione prevalente – ritenuta appagante dalla Corte di Cassazione – identifica il fondo comune in un patrimonio ‘distinto’, separato rispetto al patrimonio della SGR[7]. Notevoli sono le analogie tra l’investment trust di matrice anglofona e la suddetta ricostruzione; il trustee – titolare formale dei beni costituenti il trust fund – vede ridimensionato il proprio potere ai fini del soddisfacimento dell’interesse dei beneficiari.
Pertanto, la posizione giuridica delle SGR, è stata intesa come una ‘funzione’ da espletare nell’esclusivo interesse degli investitori. Coerentemente con tale ricostruzione, il divieto di agire sul patrimonio del fondo, nei confronti dei creditori della SGR, fonda la sua ratio nella separazione tra patrimonio del fondo – da amministrare nell’interesse degli investitori – e della SGR; non avrebbe senso, in effetti, affermare che i creditori non possano aggredire beni che non appartengono al debitore, senza prima asseverare la separazione patrimoniale tra le due entità.
Infine, una teoria distante rispetto alle precedenti pone l’accento sul necessario riconoscimento della soggettività giuridica ai fondi (i c.d. “soggetti di diritto non personificati titolari del patrimonio gestito in monte”[8]); tale speculazione pone le sue basi sull’assenza di norme che impongono il divieto del riconoscimento ai fondi della soggettività giuridica, in secondo luogo alcune disposizioni non sarebbero comprensibili qualora i fondi venissero qualificati come proprietà comune degli investitori o patrimonio separato della SGR.[9]
La giurisprudenza
Attraverso la pronuncia del 15 luglio 2010, Sez. I, n. 16605, la Corte di Cassazione[10] ha statuito che “i fondi comuni di investimento (nella specie un fondo immobiliare chiuso) costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio che li ha istituiti, con la conseguenza che, in caso di acquisto immobiliare operato nell’interesse del fondo, l’immobile acquistato deve essere intestato legalmente alla suindicata società di gestione”. Ad avvalorare tale constatazione, la Corte richiama la disciplina dei ‘patrimoni destinati ad uno specifico affare’ – articolo 2447-bis del c.c. – e la disciplina della separazione patrimoniale in tema di cartolarizzazione dei crediti – art. 3, comma 2, della legge n. 130/99 -.
In particolare, nei suddetti richiami non si pongono dubbi circa la titolarità dei patrimoni nei confronti dei soggetti da cui promanano, pertanto: i) titolari in senso sostanziale e processuale delle attività poste in essere in favore del patrimonio saranno le SGR; ii) gli effetti, tuttavia, saranno imputati ai patrimoni in questione.
“L’assenza di una struttura organizzativa minima, di rilevanza anche esterna, quale ad esempio si riscontra nelle associazioni e nelle società di persone” è l’elemento decisivo che permette alla Corte di negare la soggettività giuridica dei fondi comuni di investimento. Poiché essi risultano privi di organi di raccordo con i terzi, potendo operare solo attraverso la società di gestione, la configurazione degli stessi quali soggetti di diritto finirebbe col tradursi in un “un’inutile complicazione”. Ancora, la soggettività sarebbe idonea a generare confusione, potendo “indurre a dubitare che i creditori per le obbligazioni contratte nell’interesse del fondo siano ammessi a rivalersi nei confronti della società di gestione, qualora i beni del fondo non risultino sufficienti a soddisfare le loro ragioni”.
Come anticipato in precedenza, il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa B, attraverso la sentenza n. 7232/2016 pubblicata il 10 giugno 2016 ha affrontato, incidenter tantum, il nodo gordiano relativo alla natura giuridica dei fondi comuni di investimento, esprimendo un orientamento in antitesi con quello proposto dalla Corte di Cassazione.
In particolare, il Tribunale di Milano ritiene che la Corte di Cassazione, pur nell’ambito di una ricostruzione che nega la soggettività giuridica al fondo, riconosce le peculiarità di tale fattispecie, laddove distingue proprietà in senso sostanziale – degli investitori – e proprietà in senso formale – della SGR -. Una siffatta impostazione, accolta nella sentenza in commento, è ritenuta dai giudici essenziale per rendere la lettura del fenomeno effettivamente aderente alla natura dei fondi di investimento (privi, pertanto, di soggettività giuridica), e dall’altro, quasi necessitata, in ragione del regime di “doppia separazione” sia dal patrimonio dei partecipanti che dal patrimonio della SGR.
È stato ulteriormente constatato come la SGR, nell’esercizio delle attività di gestione, abbia esigui margini di discrezionalità per ciò che concerne il fine, il metodo e la responsabilità verso gli investitori. Di conseguenza, il Tribunale sostiene che la posizione della SGR -‘titolare’ del fondo – vada svincolata da una rigida concezione secondo cui ad un bene o ad un complesso di beni sia collegato un determinato proprietario, per avvalorare esigenze funzionali, nell’ottica di semplificazione dei traffici giuridici.
Pertanto, il Tribunale mira a salvare l’iter interpretativo della Corte di Cassazione, esaltando la separazione patrimoniale, il vincolo pertinenziale e la scissione tra proprietà sostanziale e titolarità formale, con il fine di porre al centro della discussione non la (anacronistica) formale soggettività, ma i profili inerenti all’autonomia patrimoniale. Ai fini della ricostruzione sistematica ed organica del concetto di titolarità, il Tribunale utilizza lo strumento dello ‘scopo e funzione del fondo comune’, il quale presuppone la capacità di una data entità di essere titolare di diritti e doveri – rectius: la soggettività -.
Conclusioni
Alla luce di tale sommaria ricostruzione, come sostiene autorevole dottrina[11], il dibattito sulla natura giuridica dei fondi comuni di investimento sembra risolversi in una mera conflittualità fine a se stessa; l’accoglimento di una lettura fondata esclusivamente sul regime patrimoniale offerto dal Testo unico finanziario, risulta essere di per sé sufficiente, salvo i particolarismi connessi agli aspetti pubblicitari, a garantire la tutela sia delle parti del rapporto obbligatorio sussistente tra SGR, fondo comune di investimento e partecipanti, sia dei terzi che entrano in contatto con gli stessi.
Si rinviene, in favore della lettura appena menzionata, l’introduzione delle ‘società di investimento a capitale fisso’ (“SICAF”), in virtù del recepimento della Direttiva del 2011/61/UE (AIFMD). Si tratta di organismi di investimento collettivo del risparmio – analoghi ai fondi comuni di investimento di tipo chiuso – costituiti sotto forma di società per azioni. Di fronte a tali veicoli di investimento, non dovrebbero esserci dubbi circa la soggettività giuridica. La SICAF – autogestita o eterogestita[12] – infatti: i) è titolare dei beni che caratterizza il proprio patrimonio; ii) si indebita in proprio; iii) compare quale proprietario di beni immobili nei pubblici registri; iv) può citare terzi in giudizio ovvero essere convenute: v) può accedere alle forme e alle modalità di liquidazione del proprio patrimonio secondo la disciplina della crisi dell’impresa. Nelle ipotesi di sostituzione del gestore in una SICAF eterogestita non si pone in essere alcun fenomeno traslativo della proprietà dei beni.
Seguendo tale ordine di idee, il Tribunale di Milano ha correttamente osservato come la sostituzione delle SGR nella gestione di un fondo comune non produce alcun trasferimento della proprietà dei beni, ancorché tra titolari formali dei beni di pertinenza del fondo, poiché l’ordinamento giuridico non può permettere che una medesima ed unitaria categoria – ossia l’OICR – incorra in regimi sostanzialmente diversi sotto i profili della titolarità di situazioni e posizioni giuridiche, circolazione dei beni, rappresentanza e opponibilità nei confronti dei terzi. La scelta se aderire – all’interno del genus OICR – allo schema contrattuale (fondo comune) o a quello societario (SICAF/SICAV) si spiega esclusivamente attraverso esigenze organizzative e di definizione dei rapporti tra investor e gestore, ma la stessa non può concernere la capacità giuridica e d’agire di tali veicoli.
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Note
[1] Ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera k del T.U.F., l’OICR è l’ “Organismo di investimento collettivo del risparmio”: l’organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, inclusi quelli erogati, a favore di soggetti diversi da consumatori, a valere sul patrimonio dell’OICR, partecipazioni o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata”.
[2] Ai sensi dell’articolo 36, comma 4, T.U.F., “Ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la SGR risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell’interesse della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub depositario o nell’interesse degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi. La società di gestione del risparmio non può in alcun caso utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti.”
[3] “Quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone, se il titolo o la legge non dispone diversamente, si applicano le norme seguenti.”
[4] Così G. VISENTINI, Riflessioni in tema di fondi comuni d’investimento con riferimento al disegno di legge governativo, in Riv. soc., 1968, 1194 e ss.
[5] F. GALGANO, Trattato di diritto civile, vol. III, 2009, 548 ss.
[6] Così E. SCHIAVELLO, in La natura giuridica dei fondi comuni di investimento in una recente sentenza della Cassazione, in https//www.sfef.it,
[7] P. JAEGER, op. cit.; R. LENER, sub Art. 3 della legge n. 77 del 1983, in Nuove leggi civ. comm., 1984, 399 ss.; F ASCARELLI, I fondi comuni di investimento, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 2, XVI, 1985, 741 ss.; E. TONELLI, Le società di gestione del risparmio, in AA.VV., Intermediari finanziari, mercati e società quotate, a cura di Patroni Griffi, Sandulli, Santoro, 1999, 15 ss.; M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001. 687 ss
[8] Così P. BASILE, La soggettività dei fondi comuni di investimento: appunti a margine della pronuncia del Tribunale di Milano, in Riv. dir. banc., 2017, sez. II, pp. 6 e ss.
[9] R COSTI, La struttura dei fondi comuni d’investimento nell’ordinamento giuridico italiano e nello schema di riforma delle società commerciali, in Riv.soc., 1968, 242 ss.; A. NIGRO, I fondi comuni di investimento mobiliare: struttura e natura giuridica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, 1522 ss. Cfr. anche V. CARBONE, Organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 83), in Nuove leggi civ. comm., 1993, 156 ss.
[10] In senso opposto si pronunciò il Consiglio di Stato, attraverso il parere n. 608 dell’11 maggio 19992: nella fattispecie, in relazione alla sottoscrizione di quote di fondi mediante apporto di beni appartenenti al patrimonio immobiliare dello Stato, aveva ritenuto che la titolarità dei beni, per effetto dell’apporto, andasse riferita ai fondi medesimi “quali centri autonomi di imputazione di interessi”, con conseguente trascrizione immobiliare a favore di questi ultimi. In Cons. Stato, 1999, 2216-2218.
[11] Così F. ANNUNZIATA, Gli organismi di investimento collettivo del risparmio. Fattispecie e tipologie, Milano, 2016, F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, X edizione, Torino, 2020, pp. 207 e ss., M. CERA, S. DI VALENTIN, Gli investimenti finanziari. Imprese e servizi, Bologna, 2020, pp. 93 e ss.
[12] Nella prima ipotesi, la gestione è affidata al consiglio di amministrazione della stessa, nella seconda essa è Amministrata da un gestore esterno di natura societaria.
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