Analisi della normativa di settore alla luce della pronuncia del t.a.r. lombardia, brescia, sez. Ii, 4 marzo 2020, n. 194
Laddove le autorità di uno Stato membro inducano ed incoraggino i consumatori a partecipare alle lotterie, ai giochi d’azzardo o alle scommesse affinchè il pubblico erario ne benefici sul piano finanziario, le autorità di tale Stato non possono invocare l’ordine pubblico sociale con riguardo alla necessità di ridurre le occasioni di giuoco per giustificare provvedimenti di tipo restrittivo.
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L’intervento del Tar Brescia
Innanzi al Tar Brescia la società ricorrente (che svolge l’attività di raccolta delle giocate mediante gli apparecchi di cui all’art. 110, VI, R.D. n. 773/1931 – TULPS, per conto di un concessionario dello Stato) lamenta l’illegittimità dell’autorizzazione questorile nella parte in cui le imponeva il rispetto degli orari fissati dal Sindaco e, quindi, in tesi, anche del limitato orario che il Comune aveva dettato, con regolamento ad hoc, per il funzionamento degli apparecchi da gioco.
Il Collegio giudicante evidenzia, da subito, la legittima operatività dei due cennati provvedimenti (quello che regolamenta l’orario di apertura dei locali pubblici di competenza del Sindaco quale Ufficiale di Governo per garantire l’ordine pubblico e la sicurezza e quello del Comune di regolamentare l’orario di funzionamento degli apparecchi di gioco presenti nei locali pubblici in un’ottica di prevenzione della ludopatia e, quindi, per garantire una maggiore igiene e sanità sul territorio comunale) che possono coesistere, sovrapponendosi <<senza coincidere>>, per cui la disciplina che regolamenta il funzionamento degli apparecchi da gioco può operare in termini maggiormente restrittivi di quella sull’apertura dei locali (v. anche T.a.r. Lombardia, Milano, sez. I, 2 aprile 2019, n. 716).
Se ciò vale in via generale, avuto riguardo al caso sottoposto all’esame del G.A. lombardo, i due provvedimenti coincidono nel senso che, nel Comune di riferimento, da un lato vi è l’obbligo di chiusura delle sale giochi, come individuate in apposita ordinanza, dalle ore 20 alle ore 10 del giorno successivo e nei giorni festivi, e dall’altro lato il gioco, con le modalità individuate dal regolamento ad hoc, è parimenti vietato nello stesso orario, in qualsiasi tipo di esercizio pubblico (e cioè a dire, non solo nelle sale giochi), indipendentemente dall’orario di apertura dello stesso.
Il T.a.r. Brescia avalla la tesi la tesi di parte ricorrente, secondo cui <<non rientra nell’ambito della sfera del potere proprio della Questura il contenimento dell’orario di funzionamento degli apparecchi da gioco in un’ottica di tutela della salute pubblica>> e, tuttavia, giudica corretto l’operato del Questore che si ritiene non aver violato alcun limite di competenza limitandosi a richiamare il destinatario della sua licenza al rispetto degli orari di apertura dei locali dettati dal Sindaco in veste di Ufficiale di Governo preposto a garantire l’ordine pubblico.
Migliore sorte spetta alle doglianze del ricorrente riferite alla deliberazione del Consiglio comunale, e al regolamento comunale con essa approvato, circa il funzionamento degli apparecchi da gioco incentrate sulla violazione dell’obbligo di un’adeguata motivazione: esse, invero, sono accolte dal Collegio giudicante.
Tanto in ossequio ad un orientamento di giurisprudenza (peraltro proprio dello stesso T.a.r. Lombardia, Brescia, sez. II, 25 marzo 2019, n. 274; 1 ottobre 2018, n. 930) secondo cui i provvedimenti che intendono contrastare la ludopatia devono basarsi non già su generici richiami alla situazione dell’intera provincia, o su studi e accordi di programma anch’essi generici, ma devono scaturite dall’accertata concreta necessità, a livello locale (cioè comunale), di incidere su di un fenomeno di cui sia già stata accertata la rilevanza nel relativo territorio.
Nella fattispecie al suo giudizio sottolinea il Tar Brescia il <<regolamento impugnato è stato approvato con una deliberazione in cui si dà conto solo della volontà del Comune di fare proprio uno schema di regolamento elaborato da una pluralità di enti locali, riuniti in assemblea al fine di individuare misure restrittive volte a contenere la ludopatia, il cui atto di approvazione, a sua volta, non riporta adeguati elementi giustificanti le limitative restrizioni alla libertà di iniziativa economica avversate da parte ricorrente>>.
Ancora il T.a.r. Brescia dà poi atto dell’insegnamento, di recente espresso, del Consiglio di Stato (sez. III, 1 luglio 2019, n. 4509) secondo cui sussiste, per l’amministrazione comunale, l’obbligo di porre in essere interventi limitativi nella regolamentazione delle attività di gioco, ispirati alla tutela della salute ed adottati in ossequio al principio di precauzione e a quello di proporzionalità.
Ma è lo stesso Collegio di Palazzo Spada nel parere n. 449/2018 (erroneamente indicato come sentenza da parte del G.A. di Brescia) a mettere in guardia da ogni possibile abuso: <<i motivi di interesse generale che consentono le limitazioni di orario in discorso non possono consistere in un’apodittica e indimostrata enunciazione, ma debbono concretarsi in ragioni specifiche, da esplicitare e documentare in modo puntuale>>.
E quindi, nella materia qui in esame, in cui l’azione amministrativa coinvolge interessi diversi, è doverosa un’adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso, il principio di proporzionalità (di derivazione europea e che impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato) rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell’esercizio del potere discrezionale in relazione all’effettivo bilanciamento degli interessi.
Secondo la giurisprudenza, la proporzionalità non deve essere considerata come un canone rigido ed immodificabile configurandosi, piuttosto, quale regola che implica la flessibilità dell’azione amministrativa ed, in ultima analisi, la rispondenza della stessa alla razionalità ed alla legalità.
In definitiva, il principio di proporzionalità va inteso <<nella sua accezione etimologica e dunque da riferire al senso di equità e di giustizia, che deve sempre caratterizzare la soluzione del caso concreto, non solo in sede amministrativa, ma anche in sede giurisdizionale>> (Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2015 n. 284).
Parallelamente, la ragionevolezza costituisce un criterio al cui interno convergono altri principi generali dell’azione amministrativa (imparzialità, uguaglianza, buon andamento): l’amministrazione, in forza di tale principio, deve rispettare una direttiva di razionalità operativa al fine di evitare decisioni arbitrarie od irrazionali.
In virtù di tale principio, l’azione dei pubblici poteri non deve essere censurabile sotto il profilo della logicità e dell’aderenza ai dati di fatto risultanti dal caso concreto: da ciò deriva che l’amministrazione, nell’esercizio del proprio potere, non può applicare meccanicamente le norme, ma deve necessariamente eseguirle in coerenza con i parametri della logicità, proporzionalità ed adeguatezza (Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2015, n. 964; Cons. Stato, sez. IV, 10 aprile 2020, n. 2364).
Sul punto si è chiarito peraltro che il criterio di ragionevolezza impone di far prevalere la sostanza sulla forma qualora si sia in presenza di vizi meramente formali o procedimentali, in relazione a posizioni che abbiano assunto una consistenza tale da ingenerare un legittimo affidamento circa la loro regolarità (Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2014, n. 5609; Cons. Stato, sez. VI, 18 agosto 2009 n. 4958; Cons. Stato, sez. VI, 2 ottobre 2007, n. 5074).
In conclusione, quanto alla vicenda oggetto della decisione del G.A. lombardo, da un lato, l’assenza di riferimenti a dati rilevati e riferibili all’area in cui ricade il Comune, che fossero sintomatici di una situazione di pericolo per la saluta pubblica legittimante l’intervento incidente sulla libertà di iniziativa economica regolarmente autorizzata, dall’altro, il mero e astratto riferimento al fenomeno della ludopatia, hanno portato l’adito Collegio giudicante ad annullare l’impugnata deliberazione del Consiglio comunale e il regolamento comunale con essa approvato.
Interessi pubblici e privati
Nella materia dei giochi e delle scommesse leciti sussistono, oltre agli interessi tipicamente privati degli imprenditori del settore, una pluralità di interessi pubblici-generali (quello economico–finanziario ed alla corretta gestione della concessione, quello alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, finalizzato alla prevenzione dei reati, quello alla quiete pubblica ed alla tutela della salute e più in generale complessivamente ad un ambiente cittadino salubre).
La tutela di tali diversi interessi risulta affidata a diversi poteri pubblici (l’Amministrazione finanziaria per quanto riguarda l’aspetto concessorio; l’Autorità di Pubblica Sicurezza–Questore, per quanto riguarda l’aspetto autorizzatorio; l’Autorità Sindacale per quanto riguarda la salubrità dell’ambiente cittadino) che non confliggono tra loro proprio per le diversità finalità che essi perseguono e cui le rispettive competenze sono orientate (Cons. Stato, sez. V, 28 marzo 2018, n. 1933).
A tale composito panorama fa da contraltare la scelta del Legislatore di approcciarsi –regolamentandola – all’attività economica qui in esame parificando tra loro sale giochi e sale scommesse.
La giurisprudenza, da parte sua, registra da un lato pronunce che hanno parificato il trattamento giuridico delle sale giochi a quelle delle sale scommesse (Cons. Stato, sez. V, 16 dicembre 2016, n. 5327; Con. Stato, sez. IV, 16 giugno 2017, n. 2956) e, dall’altro, decisioni che hanno posto in evidenza il differente grado di pericolosità delle due situazioni (Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2014, n. 1861; Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 2017, n. 2956), avuto riguardo, soprattutto, agli studi sulla ludopatia.
Il controllo del Legislatore
Il Legislatore ha sempre esercitato un attento controllo sul gioco, a cui la nostra cultura ha spesso riservato una considerazione biasimevole, sia per gli effetti che il fenomeno ha sulla vita dei singoli come per le collusioni spesso evidenziatesi con la criminalità.
La commistione con diverse culture che costituisce uno dei fondamenti dell’Unione Europea ha comportato una diversa valutazione del gioco lecito, che lo Stato ha tra l’altro individuato come una fonte di entrate: si è rivelata perciò necessaria una serie di misure normative di diversa fonte, così da conciliare l’apertura delle strutture atte al gioco con le restanti attività presenti sul territorio (T.a.r. Liguria, Genova, 25 luglio 2018, sez. I, n. 646).
È innegabile come il fenomeno del gioco e della scommessa abbia ormai raggiunto una notevole diffusione e una tale rilevanza sociale da indurre il giurista a considerarlo quale attività legalmente autorizzata e pienamente tutelata.
La disciplina dell’art. 110, commi 6, 7, TULPS si pone in rapporto di specialità con la disciplina penalistica del gioco d’azzardo, laddove qualifica come leciti, sottoponendoli ai provvedimenti di assenso previsti dalla legge, giochi che in astratto rientrerebbero nella categoria dei giochi d’azzardo di cui all’art. 721 cod. pen., perchè in essi ricorrono sia il fine di lucro sia l’aleatorietà della vincita. Tali giochi sono invece consentiti, in considerazione delle loro particolari caratteristiche, perchè giocati attraverso apparecchiature elettroniche e con puntate di modesta entità economica. E le eventuali violazioni del regime fissato dall’art. 110, commi 6 e 7 sono sanzionate in via amministrativa ai sensi del successivo comma nove (Cass. pen., sez. III, 21 giugno 2017, n. 30803).
In particolare, quanto alla raccolta delle scommesse, ai sensi dell’art. 88 TULP <<La licenza per l’esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione>> (v.: T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, 19 settembre 2019, n. 11123; T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, 26 agosto 2019, n. 10587; Cons. Stato, sez. IV, 11 ottobre 2018, n. 5846).
Tale disposizione si interpreta <<nel senso che la licenza ivi prevista, ove rilasciata per esercizi commerciali nei quali si svolge l’esercizio e la raccolta di giochi pubblici con vincita in denaro, è da intendersi efficace solo a seguito del rilascio ai titolari dei medesimi esercizi di apposita concessione per l’esercizio e la raccolta di tali giochi da parte del Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato>> (così l’art. 2 comma 2-ter del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito in L. 22 maggio 2010, n. 73).
La legislazione ha dunque configurato un sistema <<a doppio binario>> (T.a.r. Liguria, Genova, sez. II, 13 agosto 2019, n. 690), in quanto obbliga chi intenda svolgere l’attività per conto di un operatore estero a munirsi sia della concessione da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, che dell’autorizzazione di pubblica sicurezza di cui all’art. 88 TULPS (T.a.r. Lombardia, Brescia sez. II, 12 luglio 2019, n. 687).
Tale sistema a doppio binario ha positivamente superato il vaglio della giurisprudenza comunitaria e nazionale.
Da un lato, infatti, la Corte di Giustizia U.E., sez. III, 12 settembre 2013, n. 660/11, ha affermato che <<gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti il rilascio di una siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione>>; dall’altro, il Cons. Stato, sez. III, 10 agosto 2018, n. 4905 ha confermato che è compatibile con il diritto comunitario il c.d. sistema concessorio-autorizzatorio del doppio binario
La normativa di settore
Pur non essendovi una normativa comunitaria ad hoc sul gioco d’azzardo, il Parlamento Europeo ha approvato il 10 settembre 2013 una risoluzione nella quale si afferma la legittimità degli interventi degli Stati membri a protezione dei giocatori, anche se tali interventi comprimano alcuni principi cardine dell’ordinamento comunitario (tra cui la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi).
Secondo il Parlamento Europeo, invero, il gioco d’azzardo non è un’attività economica ordinaria, dati i suoi possibili effettivi negativi per la salute e a livello sociale, quali il gioco compulsivo (le cui conseguenze e i cui costi sono difficili da stimare), la criminalità organizzata, il riciclaggio di denaro e la manipolazione degli incontri sportivi.
Da parte sua, la Commissione Europea è intervenuta sul tema con la Raccomandazione 14 luglio 2014 (sul gioco d’azzardo on line), stabilendo i principi che gli Stati membri sono invitati a osservare al fine di tutelare i consumatori, con particolare attenzione ai minori e ai soggetti più deboli.
In ambito nazionale assume un rilievo centrale la disciplina ex D.L. 13 settembre 2012, n. 158, (conv. L. 8 novembre 2012, n. 189), c.d. Decreto Balduzzi, che ha attuato un intervento più organico in materia, affrontando diverse tematiche.
Con riguardo ai profili sanitari, è previsto l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia (art. 5, comma 2).
In attuazione di tale disposizione, è stato approvato il Piano d’azione nazionale. Sin dal 2012 il Legislatore nazionale (con il già citato D.L. n. 158 del 2012), pur senza poi darvi tempestiva compiuta attuazione (come dimostrato dalla attuale persistente mancanza di disposizioni statali in tema di distanziometro), ha previsto l’aggiornamento dei cosiddetti LEA (livelli essenziali delle prestazioni) iscrivendo l’emergente fenomeno delle ludopatie ai livelli essenziali di tutela sanitaria e prefigurando la possibile ricollocazione dei punti gioco per tenere conto dei luoghi cosiddetti sensibili, quale forma di prevenzione del gioco patologico.
L’esigenza è stata ribadita dalla L. n. 208 del 2015 (che, tra l’altro ha abrogato l’art. 5 Decreto Balduzzi) che all’art. 1, comma 936, ha previsto in materia una Intesa Stato-Regioni, raggiunta nel settembre 2017 ma a tutt’oggi non recepita dallo Stato stesso.
Inoltre il comma 943 della medesima L. n. 208 del 2015, battezzato “taglia slot”, è stato seguìto da innumerevoli provvedimenti aventi il similare scopo di ridurre l’accesso a questa tipologia di gioco ed il numero di apparecchi disponibili.
Più recentemente la politica nazionale di limitazione della tipologia di gioco lecito qui in discussione è proseguita con il D.L. n. 87 del 2018 che, tra l’altro, ha previsto che, a partire dal 2020 (cioè in un arco di tempo di circa 18 mesi dalla pubblicazione del d.l. medesimo avvenuta in Gazzetta Ufficiale del 13.7.2018) l’accesso ai giochi di cui all’art. 110, co. 6 lett. a) e b), TULPS sarà consentito esclusivamente mediante l’utilizzo della tessera sanitaria, con evidente obbligo dei proprietari degli apparecchi e titolari di concessioni in essere di adeguare la modalità di prestazione delle proprie attività anche a prescindere dalla durata delle concessioni in essere (T.a.r. Piemonte, Torino, sez. II, 21 novembre 2018, n. 1261)
Quanto ai messaggi pubblicitari (di giochi con vincite in denaro) si è adottata la via del contenimento disponendo divieti e proibizioni (Si veda anche il D.L. 12 luglio 2018, n. 87 -conv. con mod. dall’ art. 1, comma 1, L. 9 agosto 2018, n. 96 – agli artt. 9 ss.).
Avvertimenti sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e sulle relative probabilità di vincita devono essere riportati:
– su schedine e tagliandi dei giochi;
– su apparecchi di gioco (c.d. AWP – Amusement with prizes), cioè quegli apparecchi che si attivano con l’introduzione di monete o con strumenti di pagamento elettronico;
– nelle sale con videoterminali (c.d. VLT – Video lottery terminal);
– nei punti di vendita di scommesse su eventi sportivi e non;
– nei siti internet destinati all’offerta di giochi con vincite in denaro.
È stata prevista, ancora, l’intensificazione dei controlli sul rispetto della normativa e una progressiva ricollocazione (v. da ultimo T.a.r. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, ord. 30 gennaio 2020, n. 23) dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato per tener conto della presenza nel territorio di scuole, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi.
Pur in assenza del Decreto Ministeriale che avrebbe dovuto indicare criteri e indirizzi, le amministrazioni regionali e locali hanno adottato propri regolamenti in materia.
In base al Decreto Balduzzi è stato istituito anche un Osservatorio per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave.
Tale Osservatorio, inizialmente istituito presso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, è stato successivamente trasferito al Ministero della salute ai sensi della L. n. 190 del 2014 (Legge finanziaria per il 2015), che ne ha modificato anche la composizione, per assicurare la presenza di esperti e di rappresentanti delle regioni, degli enti locali e delle associazioni operanti in materia.
Infine la L. 28 dicembre 2015, n. 208, all’art. 1, c. 936, ha espressamente enunciato di voler <<garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell’ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età>>.
La Legge incentiva il gioco?
Il cennato quadro normativo di riferimento non deve indurre in errore. Ad una attenta analisi della materia emerge come – sia in ambito nazionale, che in ambito dell’U.E. – in realtà non esista un disfavore nei confronti del gioco d’azzardo in quanto tale, ove esso cioè non sfugga al controllo degli organismi statali e non si esponga alle infiltrazioni criminali (Cass. civ., sez. VI – 3, Ord., 8 luglio 2015, nn. 14288 e 14287; Cass. civ., sez. I, 27 settembre 2012, n. 16511; T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, 7 agosto 2012, n. 7292).
Si è al riguardo sottolineato come le esigenze erariali abbiano fatto premio su sempre più flebili istanze morali così che l’area del gioco autorizzato è venuta progressivamente estendendosi.
La giurisprudenza dell’U.E. ha posto in rilievo che laddove le autorità di uno Stato membro inducano ed incoraggino i consumatori a partecipare alle lotterie, ai giochi d’azzardo o alle scommesse affinchè il pubblico erario ne benefici sul piano finanziario, le autorità di tale Stato non possono invocare l’ordine pubblico sociale con riguardo alla necessità di ridurre le occasioni di giuoco per giustificare provvedimenti restrittivi (Corte Giust., 6 novembre 2003, n. 243).
La Corte di Giustizia ha ricondotto la raccolta di scommesse nell’ambito di applicazione dell’art. 49 Trattato CE, ponendo in rilievo come le attività che consentono agli utilizzatori di partecipare, dietro corrispettivo, a un gioco d’azzardo costituiscono prestazione di servizi (v. Corte Giust., 21/10/1999, C-67/98, Zerratti; Corte Giust., 24/3/1994, C-275/92, Schindler).
Rilevato che la disciplina dei giochi d’azzardo rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale, si è sia dalla Corte di Giustizia, che dalla giurisprudenza di legittimità, posto in rilievo come, in tali settori, spetti a ciascuno Stato membro stabilire la tutela di quali interessi, tra quelli coinvolti, privilegiare (v. Trib. Milano, sez. I, 23 ottobre 2018, n. 10545; Corte Giust., grande sez., 8 settembre 2009, n. 42).
Ma non è tutto. Si è posto in rilievo come anche la considerazione dell’ordine pubblico interno non possa prescindere dalla valutazione delle norme imperative interne alla luce delle norme costituzionali e dei principi del diritto europeo.
Tale concezione, sì è sottolineato, si fonda sull’attuale maggiore partecipazione dei singoli Stati alla vita della comunità delle genti, consentendo di rinvenirne i parametri di conformità in principi corrispondenti ad esigenze comuni ai diversi ordinamenti statali (Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 2013, n. 1163).
Avuto riguardo al gioco autorizzato, in quanto gestito direttamente dallo Stato o da suoi concessionari, si è ritenuto che risultano a tale stregua elise ragioni di sicurezza sociale, e che debbono per converso trovare applicazione le ordinarie norme poste a tutela dell’esercizio dell’impresa nonchè <<delle ragioni creditorie>>, che <<sorte in un contesto di ordinaria liceità, non possono essere disattese>> (Cass. civ., sez. I, 27 settembre 2012, n. 16511).
Operando, quindi, un preciso paradigma normativo che definisce i limiti entro i quali può essere ritenuto lecito il gioco d’azzardo (con un accurato sistema di controllo e verifica di natura continuativa, esercitato dalle autorità amministrative competenti) consegue la trasparenza dell’esercizio in concreto del gioco, sia sotto il profilo del flusso di denaro ad esso riferibile sia anche quanto all’interesse pubblico, legislativamente ritenuto di primario rilievo, rivolto a prevenire e combattere la ludopatia <<mediante un monitoraggio della natura, dell’entità, delle modalità e dei tempi di utilizzo degli apparecchi periferici al fine di testare ed eventualmente migliorare il sistema di protezione e controllo posto in essere con il complesso sistema di concessione a società private della loro distribuzione e gestione con un’autonomia limitata e conformata al costante biunivoco controllo da effettuarsi telematicamente con l’autorità concedente>> (Cass. civ., sez. un., 4 maggio 2018, n. 10774).
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