Necessaria ed urgente riforma  della giustizia tributaria

Consiglio di presidenza della giustizia tributaria

Nella cerimonia del 17 aprile 2020 di inaugurazione dell’Anno Giudiziario Tributario 2020 il Presidente Antonio Leone ha esposto la situazione della giustizia tributaria riferita all’anno 2019.

In particolare, si è rilevata una diminuzione complessiva delle pendenze rispetto al 2018, con una percentuale che sfiora il 12%.

Per quanto attiene agli esiti delle decisioni, va rilevata una costante discreta prevalenza dei giudizi favorevoli all’Ufficio impositore, i quali, al netto della presenza media di un 14% di sentenze con esito parzialmente favorevole ad ambedue le parti, si sono attestati ad una percentuale media del 48%, contro il 38% di quelli pro contribuente.

Va rimarcato che l’indice con cui le sentenze di primo grado sono impugnate in appello rimane molto basso, superando di poco il 24%, ma quando ciò avviene la vittoria dell’Ufficio fiscale sale al 53%, conseguenza questa anche della più ampia tendenza all’impugnazione da parte di quest’ultimo rispetto al contribuente.

Non deve essere sottovalutata la crescente disaffezione degli italiani verso il sistema giudiziario del Paese nel suo complesso, in quanto si crede sempre meno alla possibilità di vedere riconosciute le proprie ragioni in un’aula di giustizia.

La pressione fiscale complessiva, secondo uno studio pubblicato il mese scorso da Ambrosetti, ha raggiunto il 64,8%, mentre la media europea è del 40,6%.

La pluralità di imposte e tributi rende il sistema impositivo italiano tra i più complessi e meno efficienti in Europa, per cui da tempo e da più parti si evidenzia la necessità di procedere ad una generale e strutturale riforma fiscale, che semplifichi tale meccanismo obsoleto.

Se sul fronte della semplificazione e della riduzione della tassazione non sono stati fatti passi significativi, nel contrasto all’evasione fiscale, invece, i cambiamenti sono più evidenti, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto penale – tributario, per esempio con la c.d. “confisca per sproporzione” e l’introduzione delle principali fattispecie tributarie nel catalogo dei reati per cui è prevista la responsabilità dell’Ente.

Il “panpenalismo”, invece, continua l’invasione, perché il ricorso alla detenzione pare essere ormai la panacea di tutti i mali che affliggono il Paese.

Stupisce che ciò avvenga in un Paese ripetutamente condannato dalla Corte di Strasburgo per la violazione dell’art. 3 CEDU.

Ci sono ripetuti attacchi a molti istituti di garanzia, come per esempio alle impugnazioni che si vogliono fortemente limitare, come lo stesso Presidente del Consiglio Conte, nella conferenza stampa di fine anno, ha ribadito la necessità di togliere un grado di giudizio al processo tributario, come peraltro confermato anche dal dibattito attualmente in corso nella maggioranza.

Sono segnali poco rassicuranti su cui è necessaria una profonda riflessione.

I giudici tributari attualmente in servizio sono 2730, mentre nel 2018 erano 2806.

Di questi, 1539 sono magistrati anche di altre giurisdizioni, mentre 1191 sono laici – togati.

Il Presidente Leone, nella succitata relazione, sottolinea che del personale di nuova assunzione presso il MEF nessuna unità è stata destinata alla giustizia tributaria, mentre le risorse destinate al Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria da quasi 20 anni sono rimaste immutate, se non addirittura ridotte.

Questi elementi potrebbero essere interpretati come sintomi di abbandono di una giurisdizione che dovrebbe essere nei primi pensieri del  legislatore.

Appunto per questo è necessaria una generale e strutturale riforma della giustizia tributaria in cui il giudice tributario deve essere ed apparire indipendente dal MEF, perché la terzietà e l’imparzialità sono prerequisiti fondamentali.

Nella relazione si commentano sinteticamente i disegni di legge di riforma della giustizia tributaria attualmente in discussione presso le Commissioni Seconda e Sesta del Senato.

In tutti i disegni di legge non sono previste modifiche costituzionali e la giustizia tributaria è una giurisdizione speciale, affidata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non più al MEF, in quanto si vuole eliminare il “conflitto di interessi” con il Ministero, parte interessata nel processo tributario.

Di fatto, un ruolo autonomo della magistratura tributaria, distinto da quella ordinaria, amministrativa, contabile e militare, come quinta magistratura.

Sono previsti due gradi di merito e il giudizio di legittimità in Cassazione.

I giudici tributari dovranno essere giudici a tempo pieno e la loro assunzione avverrà per concorso pubblico.

Sul fronte del processo tributario, invece, si punta a valorizzare la fase istruttoria ed il contraddittorio in una prospettiva di maggiore tutela delle garanzie.

Il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria è nettamente contrario alla proposta di affidare la giustizia tributaria alla Corte dei Conti, proposta che potrebbe presentare profili di incostituzionalità, come da più parti precisato.

Affidando alla Corte dei Conti la giurisdizione tributaria si priverebbe il contribuente del ricorso in Cassazione.

Non possono, quindi, trascurarsi i gravi contraccolpi che nel giro di qualche anno si produrrebbero ai danni dell’Amministrazione fiscale e dei contribuenti per la scomparsa del ruolo nomofilattico svolto dalla Corte di Cassazione che, interpretando il diritto e la giurisprudenza costituzionale e sovranazionale su materie complesse quali quelle fiscali, si assume l’incessante compito di chiarire i limiti e la portata delle norme e fungere da faro per i giudici di merito.

In linea di massima, quindi, lo stesso Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria riconosce la necessità e l’urgenza di riformare strutturalmente la giustizia tributaria, che non deve più dipendere dal MEF e deve essere affidata a giudici a tempo pieno, ben retribuiti (non come oggi a 25 euro nette a sentenza depositata !!) e vincitori di concorso pubblico.

Il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria ha approvato in Plenum una risoluzione del 22 ottobre 2019, richiamata nella relazione del 17 aprile 2020, in cui si sottolinea, però, la necessità di “graduare” gli interventi, per evitare che siano disperse le professionalità acquisite e per non umiliare ingiustamente un’intera categoria di lavoratori che sino ad oggi hanno gestito la giustizia tributaria.

La soluzione che il Consiglio di Presidenza prospetta è quella di un “ricambio” graduale dell’attuale componente giudicante con giudici tributari assunti per concorso man mano che si creano le vacanze in pianta organica.

Il tutto nel segno di una progressiva ed adeguata forma di trasmissione del sapere tributario.

Si aggiunga, inoltre, che la soluzione prospettata andrebbe incontro anche ad esigenze di bilancio che, nell’attuale momento economico, non sono proprio di poco conto.

Personalmente, non sono d’accordo con la suddetta proposta di “ricambio” graduale perché lo stesso Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, nella seduta del 22 ottobre 2019, ha fatto presente che annualmente, per rinunce e raggiunti limiti di età, nelle commissioni tributarie c’è una contrazione della pianta organica del 7%, vale a dire circa 200 unità per anno.

Ora, se dei 2730 giudici tributari, oggi in servizio, se ne vanno in pensione 200 all’anno bisognerà aspettare 13 anni e mezzo per avere un ricambio totale !!!.

Tempo troppo lungo per avere una generale e complessiva riforma, che peraltro avrebbe un costo inferiore rispetto ad oggi, perché in tutti i disegni di legge presentati il numero massimo dei nuovi giudici tributari è di 800 – 1000 rispetto agli attuali 2730.

In conclusione, dopo che sarà risolta la fase pandemica Covid-19, speriamo nel più breve tempo possibile, si dovrà necessariamente affrontare e risolvere l’altrettanto grave crisi economica, con le riforme strutturali sino ad oggi colpevolmente ignorate, tra le quali la riforma della giustizia tributaria, per consentire al cittadino – contribuente di potersi difendere davanti ad un giudice terzo ed imparziale, non più dipendente dal MEF ma dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 111, secondo comma, della Costituzione).

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Avv. Villani Maurizio

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