L’azione di esatto adempimento nel contratto di compravendita di cui al c.c. e nella vendita di beni di consumo di cui al Codice del consumo

 

La compravendita trova la sua generale disciplina nel codice civile, agli artt. 1470 ss., da cui emerge la sua configurazione in termini di contratto consensuale, che si perfeziona cioè per effetto dello scambio dei consensi dei contraenti, ad effetti reali, avente cioè ad oggetto il trasferimento – oneroso – della proprietà di una cosa o di un altro diritto.

L’efficacia reale che contraddistingue questo tipo contrattuale, peraltro, seppur sia senza ombra di dubbio predominante, non è esclusiva, nel senso che dalla vendita derivano altresì effetti obbligatori in capo ai paciscenti.

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In particolare, quanto all’acquirente, l’art. 1498 c.c. prevede l’obbligazione di pagamento del prezzo; quanto alla controparte contrattuale, invece, l’art. 1476 c.c. – rubricato “obbligazioni principali del venditore” – prevede che il venditore debba consegnare al compratore la cosa oggetto di vendita e, nel caso in cui l’acquisto non sia effetto immediato del contratto, e quindi nelle ipotesi di c.d. vendita ad effetti reali differiti (si pensi, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, alla vendita di cose future ex art. 1472 c.c. o alla vendita di cose altrui ex art. 1478 c.c.), fargli acquistare la proprietà della cosa o del diritto. Da ultimo, l’art. 1476 c.c., al n. 3, prevede tra le “obbligazioni principali del venditore” quella di garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa.

 

La vendita nel c.c.: la natura giuridica della “obbligazione” del venditore di garantire dai vizi della cosa

Ebbene, a discapito della littera legis della disposizione in parola che configura espressamente come “obbligazione” la garanzia per i vizi, essa invero non è, rectius non può essere una obbligazione in senso tecnico, stante l’impossibilità logica, se non ontologica, di concepire un’obbligazione che abbia ad oggetto il modo d’essere, l’essenza della cosa. Infatti, come evidenziato già da tempo risalente dalla dottrina[1], non si può logicamente imputare il vizio o l’assenza di qualità del bene alla condotta del venditore, il quale non ha partecipato alla realizzazione né ha influito sul suo modo di essere. Le obbligazioni infatti consistono in un dovere di prestazione, in una promessa di un debere che è quindi dominabile dal promittente, mentre, nella garanzia per vizi della cosa, emerge la promessa di un risultato che non è teleologicamente dominabile dal promittente, proprio perché ha ad oggetto il modo di essere della cosa.

In altri termini, l’obbligazione del venditore di garantire il compratore dai vizi della cosa non dà vita ad una obbligazione in senso tecnico e ciò si riverbera sul piano delle tutele, le quali si esauriscono, con riferimento al contratto di compravendita disciplinato dal codice civile, nelle sole c.d. azioni edilizie disciplinate dall’art. 1490 c.c., ossia l’azione di risoluzione del contratto e l’azione di riduzione del prezzo, escludendo invece l’azione di esatto adempimento, il cui esperimento è possibile invece soltanto in presenza di una obbligazione stricto sensu, che in questo caso difetta.

In definitiva, proprio perché dal contratto di vendita non nasce in capo al venditore una obbligazione in senso stretto di garantire i vizi della cosa, non essendo logicamente a lui imputabile il vizio o l’assenza di qualità del bene, non è normativamente prevista nel codice civile la possibilità per l’acquirente di esperire l’azione di esatto adempimento, volta alla eliminazione dei vizi della cosa consegnatagli.

 

Sulla riconoscibilità dell’azione di esatto adempimento

La giurisprudenza di legittimità si è posta allora la questione circa la possibilità di riconoscere comunque all’acquirente, nonostante la mancata previsione codicistica, la forma di tutela dell’azione di esatto adempimento. Ebbene, in plurime pronunce[2] rese nel suo massimo consesso, la Cassazione ha negato tale strumento di tutela, proprio in considerazione della peculiare natura della responsabilità che sorge in caso di violazione della garanzia per i vizi della cosa, che viene qualificata infatti non come responsabilità riconducibile al modello generale ex art. 1218 c.c., ma, proprio perché dal contratto di vendita non nasce un dovere di prestazione in senso stretto, come una responsabilità speciale per inadempimento.

La specialità risiederebbe proprio nella circostanza che dal contratto non deriva una obbligazione in senso tecnico di garantire il compratore da vizi del bene, venendo così in rilievo una responsabilità per inadempimento speciale sui generis, ossia per imperfetta attuazione dell’effetto traslativo.

Tuttavia, l’impossibilità per l’acquirente di agire con l’azione di esatto adempimento, come evidenziato dalla giurisprudenza, non esclude che il venditore possa adoperarsi spontaneamente per eliminare i vizi; da questa eventualità, peraltro, osservano le Sezioni Unite[3], non nascerebbe una nuova obbligazione sostitutiva di quella originaria, in quanto l’offerta da parte del venditore di eliminare i vizi non rappresenta un quid novi con effetto estintivo/modificativo della garanzia ma un semplice quid pluris che serve ad ampliarne le modalità di attuazione. In altri termini, non si verifica una novazione ed il conseguente effetto estintivo, ossia l’estinzione di una obbligazione preesistente (difettando l’aliquid novi) ma più semplicemente un mero riconoscimento del debito.

Rimarrebbe comunque possibile, come prospettato da una successiva pronuncia delle Sezioni Unite[4], stipulare un vero e proprio nuovo contratto, diverso da quello di compravendita, con cui si preveda espressamente il nuovo obbligo di sostituzione o di riparazione del bene: in tal caso, pertanto, si tratterà di obblighi nascenti appunto da un accordo nuovo, ossia da una novazione.

Appurata quindi l’impossibilità per l’acquirente di agire con l’azione di esatto adempimento, questi, in presenza di un vizio del bene, come accennato, può esperire, a sua scelta, unicamente le azioni previste dal codice civile all’art. 1492 c.c., ossia l’azione di risoluzione contrattuale, o actio redhibitoria e l’azione di riduzione del prezzo, o actio aestimatoria o actio quanti minoris, salvo in ogni caso il diritto risarcimento del danno.

In definitiva, dalla disciplina della vendita di cui al codice civile, emerge che sul venditore, a discapito dell’art. 1476, n. 3, non grava una obbligazione in senso tecnico di garantire il compratore dai vizi della cosa (stante l’impossibilità logica di concepire un’obbligazione avente ad oggetto il modo d’essere della cosa), con la conseguenza che  il codice civile non riconosce all’acquirente la forma di tutela dell’azione di adempimento, ma soltanto le azioni edilizie.

La vendita di beni di consumo: l’obbligazione del venditore di garantire dai vizi della cosa

La prospettiva è radicalmente ribaltata, invece, nella vendita di beni di consumo, disciplinata dal d.lgs. 206/2005, noto come Codice del consumo, che invece, prevedendo all’art. 129 che “il venditore ha l’obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita”, eleva la consegna di beni conformi al contratto a vero e proprio dovere di prestazione, ad obbligazione in senso stretto, la cui violazione legittima quindi il consumatore ad esperire, inter alia, l’azione di esatto adempimento, che il Codice del consumo, diversamente dal codice civile, testualmente disciplina all’art. 130 nella duplice forma dell’azione di riparazione e di sostituzione, considerate rimedi primari rispetto alle pur previste azioni edilizie, quali la risoluzione e la riduzione del prezzo.

 

La disciplina della vendita di beni di consumo

Ebbene, al fine di poter meglio comprendere la diversità dei rimedi apprestati dal codice civile e dal codice del consumo, si ritiene indispensabile trattare sinteticamente la disciplina della vendita dei beni di consumo, disciplina tra l’altro precaria, essendo recentemente intervenuta la direttiva EU 2019/771 che, inter alia, ha abrogato, ma con effetto non immediato, la direttiva n. 1999/44 che è stata attuata mediante il codice consumo, il quale rimarrà in vigore nell’attuale formulazione fino al 1 gennaio 2022.[5]

In base quindi alla normativa allo stato vigente, la vendita di beni di consumo è un contratto tipico che, a dispetto del nomen, si applica al di là del solo tipo contrattuale della vendita, e cioè anche ai contratti di permuta, somministrazione, appalto, e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre.

L’oggetto della vendita in parola (e di tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre) è il bene di consumo, inteso ex art. 128 Cod. cons. come qualsiasi bene mobile, anche da assemblare, fatta eccezione per: (i) i beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie, anche mediante delega ai notai; (ii) l’acqua e il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; (iii) l’energia elettrica.

Ciò premesso, la chiave di lettura per comprendere la disciplina speciale della vendita dei beni di consumo è costituita dalla debolezza del consumatore (la cui nozione è fornita dall’art. 3 Cod. cons.), che diviene polo di attrazione della specialità della normativa consumeristica e che giustifica, unitamente alla circostanza che vengono in rilievo beni prodotti in serie ed aventi caratteristiche standardizzate, la previsione di una tutela superiore, che si manifesta nella disciplina dei rimedi.

 

Gli artt. 129 e 130 del Codice del consumo

Come anticipato, l’art. 129, co. 1 pone l’obbligo in capo al venditore di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita, prevedendo, al comma successivo, ipotesi in cui la conformità dei beni è presunta (ad esempio, se sono conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello).

Viene in rilievo quindi un vero e proprio dovere di prestazione, una autentica obbligazione in capo al venditore, la cui violazione, infatti, consente al consumatore di agire per l’eliminazione dei vizi: infatti il co. 2 dell’art. 130 cod. cons. stabilisce che “in caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione”.

In altri termini il consumatore, laddove riceva dal venditore un bene di consumo difforme, ha diritto di chiederne la riparazione o la sostituzione, le quali, secondo la dottrina prevalente, configurano due manifestazioni tipizzate dal cod. cons. della più generale azione di esatto adempimento (non prevista invece nella disciplina del codice civile), attivabili a fronte della violazione dell’obbligazione del venditore di consegnare beni conformi.

A ciò si aggiunga che il co. 2 dell’art. 130 cod. cons. prevede in favore del consumatore, alla luce della posizione di debolezza contrattuale che lo connota, oltre alla riparazione e alla sostituzione, che sono definite azioni manutentive, gli ulteriori rimedi della riduzione del prezzo e della risoluzione, ossia le azioni edilizie che sono previste anche dal codice civile in tema di contratto di vendita.

I rimedi manutentivi e quelli edilizi sono posti dal co. 7 dell’art. 130 Cod. cons. in rapporto di gerarchia, costituendo la sostituzione e la riparazione strumenti di carattere primario, mentre le azioni edilizie strumenti di tutela secondari, potendo essere azionati quando la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose o quando il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al co. 5 o quando la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore.

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Note

[1] Già l’autorevole dottrina del MENGONI L., Profili di una revisione sulla teoria della garanzia per vizi nella vendita, in Riv. Dir. Comm., 1953, p. 17, sul tema della natura giuridica delle garanzie edilizie, censurava la tendenza di una parte della dottrina a qualificarle in termini di obbligazione; più di recente, nello stesso senso, anche CARINGELLA F., BUFFONI L., Manuale di diritto civile, 2017, p. 1144.

[2] Cassazione civile sez. un., 11/07/2019, n.18672; Cassazione civile sez. un., 03/05/2019, n.11748.

[3] Cassazione civile sez. un., 21/06/2005, n.13294.

[4] Cassazione civile sez. un., 13/11/2012, n.19702.

 

[5] Più nello specifico, si tratta della “DIRETTIVA (UE) 2019/771 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 20 maggio 2019 relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita di beni, che modifica il regolamento (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE, e che abroga la direttiva 1999/44/CE”.

Lorenza Pedullà

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