SOMMARIO: 1) L’istituto. – 2) Le criticità. – 2.1) La tesi maggioritaria. – 2.2) La tesi minoritaria. – 3) L’intervento delle Sezioni Unite nel 2018 con quattro sentenza “gemelle”. – 3.1) Le Ordinanze di rimessione. – 4) Il paradigma della dottrina civilistica europea. – 5) Il principio di diritto sancito dagli Ermellini. – 5.1) Le singole questioni di esame. – 5.2) L’indagine sulla funzione del beneficio collaterale. – 6) Conclusioni.
1. L’istituto.
Il principio della compensatio lucri cum damno, seppur non trovi espressa menzione a livello legislativo, è da tempo accolto e condiviso nell’Ordinamento a livello sia dottrinario che giurisprudenziale. Esso si sostanzia nell’idea secondo la quale, nei casi in cui, in virtù di un certo fatto illecito, al danneggiato spetti oltre al risarcimento del danno anche un altro indennizzo o beneficio patrimoniale, detta componente debba essere calcolata sull’entità del danno da risarcire. Premessa fondamentale dell’istituto è che, nel sistema della responsabilità civile, il danneggiato deve essere ristorato di quanto perso, come perdita subita (danno emergente) o mancato guadagno (lucro cessante), nel proprio patrimonio a causa dell’illecito senza, tuttavia, poter trarre un arricchimento dall’illecito altrui. Di tal guisa, si tratta di una figura che trova il proprio riferimento normativo, seppur solo indiretto, nell’art. 1223 c.c., ai sensi del quale il risarcimento del danno deve comprendere “la perdita subita (…) come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”[1].
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2. Le criticità.
La tematica ha posto notevoli criticità interpretative, specie in tutte quelle ipotesi nelle quali risarcimento ed indennizzo spettano al danneggiato ad opera di soggetti diversi. Infatti, sin da subito, dottrina e giurisprudenza sono state pressochè concordi nell’ammettere l’operare del meccanismo compensativo allorquando obbligato a corrispondere risarcimento del danno e beneficio collaterale alla vittima fosse il medesimo soggetto talchè, esigenze equitative e di giustizia sostanziale, hanno reso evidente la necessità di ricorrere alla compensatio affinché, da un lato, il danneggiante non subisse una reazione ad opera del sistema giuridico che potesse configurare componenti sanzionatorie, non ammesse per l’Ordinamento interno e, dall’altro, scongiurare indebite locupletazioni a vantaggio del soggetto leso[2]. Maggiormente dibattuto, fino a tempi recentissimi peraltro, è stato delineare quali principi potessero applicarsi in concreto per dirimere quelle situazioni nelle quali al danneggiato spettano risarcimento del danno e beneficio ad opera di obbligati differenti e, per di più, sulla base di diversi titoli giustificativi, seppur ancorati al medesimo fatto presupposto, ossia il danno. Si pensi, ad esempio, alla circostanza nella quale taluno resta coinvolto in un sinistro stradale commesso da un terzo e, in aggiunta al ristoro del danno subito da parte dell’autore del fatto, egli beneficia, altresì, di un indennizzo assicurativo, in virtù di un contratto di assicurazione privata che precedentemente aveva stipulato.
2.1 La tesi maggioritaria.
Per lungo tempo, dominante era l’orientamento giurisprudenziale il quale ammetteva il cumulo fra risarcimento ed indennizzo, escludendo l’operare di un diffalco, sulla base della considerazione per la quale l’evento dannoso fungeva quale mera condizione per l’erogazione del beneficio collaterale il quale, però, manteneva un’autonoma giustificazione causale, trovando il proprio titolo non nel fatto, bensì in una diversa fonte (legale o contrattuale) che lo giustificava. In sintesi, l’opinione maggioritaria riteneva che la compensatio potesse operare solamente laddove il pregiudizio e l’incremento connesso all’indennizzo discendevano dal medesimo titolo, essendo collegati al fatto illecito da un rapporto diretto ed immediato. Viceversa, allorquando si trattasse di prestazioni afferenti diverse fonti, rispetto alle quali l’evento si connotava quale condizione-presupposto, esse sarebbero state ben cumulabili[3].
2.2. La tesi minoritaria.
L’opinione minoritaria, invece, sosteneva la piena applicabilità della fattispecie compensativa, giacché sia la posta risarcitoria che quella indennitaria risiedevano nella medesima base fattuale (il fatto illecito), talchè ammetterne la cumulabilità avrebbe significato giustificare un arricchimento del danneggiato atteso che, in virtù di dette prestazioni, egli si sarebbe ritrovato non ripristinato dell’entità del patrimonio, secondo la consistenza antecedente alla verificazione del danno subito ma, addirittura, con un patrimonio incrementato[4].
3. L’intervento delle Sezioni Unite nel 2018 con quattro sentenza “gemelle”.
Di recente, la tematica è stata al centro di una riflessione delle Sezioni Unite le quali si sono trovate a pronunciarsi con quattro diverse decisioni, inerenti a fattispecie diverse ma tutte focalizzate sul margine operativo dell’istituto in esame. In particolare, si tratta di vicende rispetto alle quali la III Sezione civile della Suprema Corte aveva ritenuto opportuno sollevare l’intervento del Supremo Collegio, in virtù del panorama ermeneutico confuso che si era determinato in materia.
3.1 Le Ordinanze di rimessione.
In tutte le ordinanze, la Sezione rimettente si è mostrata propensa a favorire l’applicazione del diffalco, ritenendo opportuno privilegiare l’applicazione del “principio di indifferenza”, secondo il quale l’illecito non deve impoverire colui che ne è stato vittima ma neppure arricchirlo, sicché non può determinarsi a vantaggio dello stesso una condizione migliore di quella nella quale si sarebbe trovato se il fatto non si fosse verificato. Di tal guisa, viene ribadita l’incompatibilità strutturale fra indebite locupletazioni della vittima, createsi per la sommatoria fra risarcimento ed indennizzo, con la natura meramente reintegratoria della responsabilità civile. Sulla scorta di tali riflessioni, la III Sezione precisa come ai fini dell’esclusione del cumulo fra le due prestazioni sia necessario verificare che il vantaggio sia conseguenza dell’illecito, a tal fine utilizzando quella regola di causalità[5] già impiegata per accertare che il danno verificatosi è conseguenza “immediata e diretta”dell’illecito, anche per favorire letture conformi alla lettera dell’art. 1223 c.c.
4. Il paradigma della dottrina civilistica europea.
Le Sezioni Unite, investite delle quattro problematiche, prendono come riferimento l’orientamento emerso in seno alla dottrina civilistica europea. Infatti, sia i Principles of European Tort Law, all’art. 10.103 che il Draft Common Frame of Reference, all’art. 6.103 del Libro VI, prevedono che nel determinare l’ammontare dei danni, i vantaggi ottenuti dal danneggiato a causa dell’evento dannoso devono essere presi in considerazione, salvo che ciò non sia inconciliabile con lo scopo dei vantaggi[6]. In sintesi, in entrambi i testi normativi, emerge l’invito ad instaurare un confronto bilanciato fra il danno ed il vantaggio che di volta in volta viene in rilievo, in vista di una ragionevole ed equilibrata applicazione del meccanismo compensativo.
5. Il principio di diritto sancito dagli Ermellini.
Alla luce di tale premessa, le Sezioni Unite, nel dettare i principi di diritto e le linee guida operanti sull’argomento, affermano la necessità di individuare la funzione del beneficio collaterale e di procedere per classi di casi onde selezionare le fattispecie nelle quali ammettere o meno la compensatio. A tal fine, gli Ermellini segnalano l’inopportunità di procedere in modo sterile alla comparazione fra danno e beneficio, riducendola ad un calcolo contabilistico, per privilegiare, invece, una modalità di indagine che tenga in specifica considerazione la ragione giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale destinata al patrimonio del danneggiato. Conseguentemente, non viene recepita quell’indicazione contenuta nelle ordinanze di rimessione, secondo la quale sarebbe stato necessario l’impiego della teoria del nesso di causalità fra fatto, danno e vantaggio. Al contrario, le Sezioni Unite ritengono di utilizzare il nesso eziologico come strumento di distinzione fra vantaggi cumulabili e non cumulabili. Pur con le distinzione delle singole questioni in concreto esaminate, quale principio di diritto, il Supremo Organo di nomofilachia statuisce che ai fini della individuazione del vantaggio computabile occorre accertare che il vantaggio sia causalmente giustificato in funzione di rimozione dell’effetto lesivo dell’illecito; deve sussistere, cioè, un collegamento funzionale tra la causa dell’attribuzione patrimoniale e l’obbligazione risarcitoria. A supporto di detta indagine rilevano, altresì, meccanismi di surrogazione o rivalsa esistenti nell’Ordinamento, in quanto consentono di stabilire l’effettiva incidenza del risarcimento, nonché di evitare che l’autore dell’illecito possa in qualche modo alleggerire la propria posizione obbligatoria, mediante riconoscimento del diffalco della posta erogata al soggetto leso da parte di un terzo, estraneo al fatto.
5.1 Le singole questioni di esame.
Le questioni poste all’attenzione delle Sezioni Unite segnatamente sono : la cumulabilità del risarcimento del danno prodotto da circolazione di veicoli con la pensione di reversibilità[7]; la cumulabilità fra risarcimento del danno da illecito ed indennizzo assicurativo[8]; la cumulabilità del risarcimento del danno derivante da sinistro stradale con la rendita erogata dall’INAIL[9]; la cumulabilità del risarcimento del danno alla salute con la pensione di accompagnamento erogata dall’INPS[10].
5.2 L’indagine sulla funzione del beneficio collaterale.
Delle quattro vicende analizzate solamente la prima è stata ritenuta esente da compensazione poiché la pensione di reversibilità, osservano gli Ermellini, non è ontologicamente orientata a rimuovere le conseguenze dannose derivanti dal fatto del danneggiante, atteggiandosi quale contropartita che lo Stato riconosce al soggetto (in tal caso danneggiato) per aver sacrificato la propria retribuzione lavorativa onde contribuire alla costituzione della sua posizione previdenziale. Ricostruita così la struttura del beneficio pensionistico, emerge come, seppur esso sia collegato all’evento “decesso” risulta essere del tutto irrilevante la causa che lo ha prodotto. Diversamente, la compensatio lucri cum damno deve trovare operatività nelle altre ipotesi, posto che si tratta di tutti benefici i quali, ancorchè erogati da soggetti diversi dal danneggiante e sulla base di titoli differenti dall’illecito, di fatto, sono strumentali a ristorare il danneggiato della perdita subita, al pari della funzione rivestita dal risarcimento. Inoltre, a conferma di tale affermazione, viene posto in evidenza come si tratti di casi nei quali il legislatore stesso ha contemplato meccanismi di surroga o rivalsa che sorgono automaticamente per effetto della prestazione eseguita dal terzo a favore del beneficiario (come l’art. 1916 c.c. il quale espressamente prevede che “l’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili”, ovvero l’art. 142 del Codice delle assicurazioni private in virtù del quale “qualora il danneggiato sia assistito da assicurazione sociale, l’ente gestore dell’assicurazione sociale ha diritto di ottenere direttamente dall’impresa di assicurazione il rimborso delle spese sostenute per le prestazioni erogate al danneggiato (…) sempre che non sia già stato pagato il risarcimento al danneggiato (…)”)ed i quali instaurano un nuovo rapporto obbligatorio fra il terzo ed il danneggiante. In virtù di simili strumenti, l’Ordinamento ha inteso evitare che il danneggiato potesse conseguire due volte la riparazione del pregiudizio subito e, al tempo stesso, far sì che il danneggiante potesse beneficiare di un qualche alleggerimento rispetto alla propria obbligazione.
6. Conclusioni.
In conclusione, possiamo osservare come si tratti di chiarimenti preziosi quelli resi dalle Sezioni Unite con queste pronunce del 2018 che se per un verso confermano la piena legittimità del principio della compensatio lucri cum damno, pur nel silenzio del codice vigente, contestualmente, ancorando l’indagine alla funzione effettivamente svolta dal beneficio collaterale, fissano principi di forse più facile applicazione della fattispecie ai casi concreti senza, peraltro, voler sancire astrazioni di diritto ma, piuttosto, chiarendo in maniera nitida, l’esigenza che sia l’interprete a procedere di volta in volta ad un attento esame del fatto concreto, alla luce dell’aspetto funzionalistico delle prestazioni.
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Note
[1]Art. 1223 c.c. “il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.
[2]Sul punto, Cass. Civ. S.S.U.U. nn. 12564/2018 e 584/2008; in materia amministrativa si veda, altres’, Cons. di Stato sent. n. 1/2018.
[3]Ex multis Cass, Civ. III Sez. nn. 4475/1993, 11440/1997, 15822/2005. 21897/2009, 20584/2014.
[4]Ex multis Cass. Civ. III Sez. nn. 13233/2014, 13537/2014.
[5]Cass. Civ. III Sez. Ord. nn. 15534, 15535 e 15537 del 22.06.2017.
[6]“Unless this cannot by reconciled with the purpose of the benefit”.
[7]Cass. Civ. S.U. sent. n. 12564/2018.
[8]Cass. Civ. S.U. sent. n. 12565/2018.
[9]È L’ipotesi del cd. “danno in itinere”, Cass. Civ. S.U. sent. n.12566/2018.
[10]Cass. Civ. S.U. sent. n. 12567/2018.
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