Le misure cautelari, disciplinate dal Libro IV del Codice di rito (agli artt. 272-325), sono quei provvedimenti disposti dall’autorità giudiziaria, provvisori ed immediatamente esecutivi, diretti ad evitare che il trascorrere del tempo possa provocare pericoli in merito all’accertamento del reato (inquinamento probatorio), all’esecuzione della sentenza definitiva (fuga o, per le reali, depauperamento del patrimonio da parte del sottoposto al procedimento o processo), alle conseguenze del reato ovvero alla commissione di altri reati.
Il contrasto in Costituzione
È di certo facilmente intuibile lo “scontro” tra l’applicabilità di queste misure ed il principio di presunzione di innocenza o di non colpevolezza[1]: la previsione di cui all’art. 27, comma 2, Cost. a mente del quale l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva e quindi secondo cui la pena può essere applicata solo successivamente la sentenza irrevocabile di condanna, sembra collocarsi in contraddizione con l’art. 13, comma 5, Cost. che consente la limitazione della libertà personale anche prima della sentenza irrevocabile – magari al pari livello della pena (si veda la somiglianza tra custodia cautelare in carcere e la reclusione). Ma, come anticipato e recentemente anche chiarito dal Giudice delle leggi, nella Sentenza n. 265 del 21 Luglio 2010, questo contrasto è meramente apparente. Precisa infatti la Consulta che, come rilevato già nella Sentenza n. 64 del 1970, “l’applicazione delle misure cautelari non può essere legittimata in alcun caso esclusivamente da un giudizio anticipato di colpevolezza, né corrispondere – direttamente o indirettamente – a finalità proprie della sanzione penale, né, ancora e correlativamente, restare indifferente ad un preciso scopo (cosiddetto “vuoto dei fini”). Il legislatore ordinario è infatti tenuto, nella tipizzazione dei casi e dei modi di privazione della libertà, ad individuare – soprattutto all’interno del procedimento e talora anche all’esterno (sentenza n. 1 del 1980) – esigenze diverse da quelle di anticipazione della pena e che debbano essere soddisfatte – entro tempi predeterminati (art. 13, quinto comma, Cost.) – durante il corso del procedimento stesso, tali da giustificare, nel bilanciamento di interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale di chi non è stato ancora giudicato colpevole in via definitiva”.
Le condizioni di applicabilità
A rigore di ciò, il Codice di rito pone determinate condizioni generali alla applicabilità delle misure cautelari personali: i) una determinata gravità del delitto contestato; ii) la punibilità in concreto del delitto, vista come condizione negativa in quanto non devono essere presenti determinati elementi che non la renderebbero praticabile; iii) la presenza di gravi indizi di colpevolezza.
La prima condizione è prevista dall’art. 280 c.p.p. dal quale si ricava che non sono applicabili le misure coercitive (ma anche le interdittive per la previsione dell’art. 287 c.p.p.), nei procedimenti per reati contravvenzionali per i quali possono applicarsi esclusivamente le misure cautelari reali del sequestro conservativo e preventivo (artt. 316 e 321 c.p.p.). È inoltre impedita l’applicazione delle misure coercitive (ed interdittive) se non è addebitato un delitto per il quale sia prevista la pena dell’ergastolo ovvero della reclusione superiore nel massimo a tre anni. La custodia cautelare in carcere può essere disposta esclusivamente per i delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore (quindi uguale o superiore) nel massimo a cinque anni e per il reato di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art. 7 della legge del 2 Maggio 1974, n. 195 e ss.mm.ii. (punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate in violazione della presente legge: evidentemente per il legislatore sarebbe stato troppo aumentare la pena massima prevista per quest’ultimo reato; di certo sarebbe stato azzardato, e contro l’orientamento seguito negli ultimi anni, di cui si dirà dopo – che vede l’applicabilità della misura inframuraria solo come extrema ratio – diminuire i cinque anni di cui all’art. 280, comma 2, c.p.p.).
Quanto appena detto non è valido per chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare. Deve precisarsi, poi, che il Codice di rito impone, all’art. 278, che al fine dell’applicazione delle misure cautelari, per determinare la quantità di pena detentiva non deve tenersi conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato tranne che dell’aggravante dell’aver profittato di situazioni di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (art. 61, n. 5, c.p.) e dell’attenuante del danno o del lucro di speciale tenuità (art. 62, n. 4, c.p.) nonché di quelle circostanze c.d. autonome (per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato: art. 69, comma 4, c.p.) e di quelle ad effetto speciale (che importano un aumento o diminuzione della pena superiore ad un terzo: art. 63, comma 3, c.p.).
La seconda condizione è descritta analiticamente dall’art. 273, comma 2, c.p.p. laddove si prevede che nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione o scriminante (ad es. la legittima difesa) o di una causa di estinzione del reato (ad es. la prescrizione) ovvero una causa di estinzione della pena (ad es. l’indulto di quattro anni, se la pena non sarà superiore a questa) che si ritiene possa essere irrogata.
Analisi degli indizi e caratteri
I gravi indizi di colpevolezza sono posti dall’art. 273, comma 1, c.p.p. Con l’utilizzo del termine “indizio”, come intuibile anche dal fatto che, di regola, ci si trova in una fase quale quella delle indagini preliminari, si vuole evidenziare che si tratta di una base probatoria ancora in evoluzione per ricevere una conferma in dibattimento: si vuole far riferimento tanto alle prove critiche (procedimento logico mediante il quale da un fatto noto si desume l’esistenza di un fatto ancora da provare tramite l’applicazione di massime di esperienza o leggi scientifiche: si pensi ad una testimonianza tramite la quale, in un procedimento volto ad accertare la colpevolezza di un indagato di un omicidio perpetrato nell’abitazione della vittima, si dichiara di aver visto, all’incirca all’ora del decesso, l’asserito soggetto agente del delitto uscire di corsa dall’abitazione – tale prova indiziaria può suggerire al giudice che la persona sottoposta ad indagini si trovava sul luogo del delitto, ma non anche che sia stato egli a commetterlo) quanto alle prove rappresentative (ragionamento che ricava per diretta rappresentazione da un fatto noto, un fatto che deve essere accertato: ad es. la testimonianza di chi riferisca aver visto l’indagato porre in essere la condotta oggetto di contestazione).
Recentemente ed in modo costante gli Ermellini hanno inteso specificare, appunto, che ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale, la nozione di indizi di colpevolezza non coincide con quella applicabile per la formulazione del giudizio finale di colpevolezza, bastando, in sede cautelare, l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare una qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato[2] e che sia anche solo “grave”, giacchè il comma 1 bis dell’articolo 273 c.p.p. richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 dell’art. 192 c.p.p., che prescrive la precisione e la concordanza accanto alla gravità degli indizi: derivandone, quindi, che gli indizi, ai fini cautelari, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192, comma 2, c.p.p., cioè con i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza. Con l’aggettivo “gravi”, alla quale si è giunti dal precedente termine “sufficiente” utilizzato nel Codice del 1930, si è voluto specificare che si deve avere una elevata probabilità circa l’effettiva responsabilità penale dell’indagato, dovendo il giudice compiere un giudizio prognostico, anche se allo stato degli atti, sulla “colpevolezza” dell’indagato. Questo quantum è da tenere presente, per ovvie ragioni legate al principio di cui all’art. 27, comma 2, Cost. soprattutto se si è in presenza di una prova critica. Un problema potrebbe porsi nel caso in cui si fosse in presenza di più elementi indizianti, infatti, in tale fattispecie, le valutazioni del giudice della cautela deve essere duplice alla luce del principio di diritto secondo cui “la gravità degli indizi di colpevolezza postula una considerazione non frazionata ma coordinata degli stessi, che consenta di verificare se la valutazione sinottica di essi sia o meno idonea a sciogliere le eventuali incertezze o ambiguità discendenti dall’esame parcellizzato dei singoli elementi di prova, e ad apprezzare quindi la loro effettiva portata dimostrativa e la loro congruenza rispetto al tema di indagine prospettato nel capo di imputazione provvisoria”[3].
Le esigenze cautelari
Alle condizioni generali di applicabilità appena sopra trattate deve aggiungersi che le misure cautelari personali possono essere applicate esclusivamente quando esiste in concreto almeno una delle tassative esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p.: i) il pericolo di inquinamento della prova; ii) il pericolo di fuga (per la cui rilevanza deve sussistere anche il convincimento del giudice del fatto che possa essere irrogata una pena superiore a due anni) e iii) quello di reiterazione ovvero di commissione di determinati reati.
Sezioni Unite sull’applicabilità della misure cautelare personale dal Tribunale del riesame
Le Sezioni Unite hanno affermato che, in caso di applicazione di una misura cautelare personale da parte del tribunale del riesame, in accoglimento dell’appello proposto dal pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice per le indagini preliminari, non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia a pena di inefficacia della misura suddetta, atteso che il diritto di difesa è già assicurato dall’instaurazione del contraddittorio in sede di impugnazione cautelare.
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