Danno emergente – Lucro Cessante – Alcuni aspetti normativi e dogmatici.
Il danno di cui il creditore può chiedere, ex articolo 1218 cod.civ. il risarcimento al debitore che non sia riuscito a fornire la prova della ricorrenza di una causa di giustificazione del suo inadempimento, varia a seconda che si tratti di: a) inadempimento assoluto, nel qual caso il danno risarcibile è costituito dalle conseguenze negative della definitiva inattuazione della prestazione dovuta; b) inadempimento relativo, nel qual caso il danno risarcibile è costituito dalle conseguenze negative del ritardo fatto registrare nell’esecuzione della prestazione dovuta, che deve pur sempre adempiersi, sicchè il risarcimento del danno da ritardo si aggiunge alla prestazione originaria). Il risarcimento del danno, sia da inadempimento assoluto che da ritardo,, deve comprendere (articolo 1223 cod. civ.) “così la pardita subita dal creditore (c.d. “danno emergente”) , come il “mancato guadagno” (c.d. “lucro cessante”). La più recente giurisprudenza (C.f.r Cass. SSUU 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 26975) insegna che risarcibile è non solo il danno patrimoniale, ma anche il danno non patrimoniale, seppure limtatamente all’ipotesi in cui l’inadempimento abbia determinato la lesione di diritti inviolabili alla persona. In ogni caso, è risarcibile soltanto il danno che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. Inoltre, se l’ìnadempimento o il ritardo dipendono da “colpa” del debitore e non da “dolo”, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione (c.f.r art. 1223 cod. civ.). Quando pretende il risarcimento, il creditore ha l’onere di provare le singole voci di danno, per le quali pretende di essere risarcito. (c.f.r Torrente, manuale, pagg. 412-414).
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Ordinanza di Cassazione 06 giugno 2020, n. 10750: la prova del lucro cessante anche mediante indizi.
Con l’ordinanza 6 giugno 2020, n. 10750, la Cassazione ha avuto modo di stabilire che il danno da lucro cessante è risarcibile anche su prova indiziaria: sono escusi soltanto i mancati guadagni meramente ipotetici, perchè dipendenti da condizioni incerte. Quando si tratti di danni consistenti nel mancato sorgere di una situazione di vantaggio, gli stessi devono essere risarciti non solo in caso di assoluta certezza, ma anche quando, sulla base della proiezione di situazioni già esistenti, sussista la prova, sia pure indiziaria, della utilità patrimoniale che,s econdo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità) il creditore avrebbe conseguito se l’illecito non fosse stato commesso. La pronuncia in questione si occupa del “se risarcire”, ma non entra nel merito della quantificazione del risarcimento. Com’è noto, al giudice è attribuita la facoltà di scegliere fra i vari mezzi di prova e i criteri stabiliti dalla legge quelli ritenuti più idonei a consentire la ricostruzione, anche ideale e la estimazione di quanto il creditore avrebbe conseguito per normale successione di eventi, in base a una ragionevole e fondata attendibilità, qualora l’illecito non si fosse verificato: ivi compresa la liquidazone equitativa allorchè la prova in questione si presenti estremamente difficol
tosa o addirittura impossibile (c.f.r: Cass. Civ. Sez. III 13 novembre 2019, n. 29330; Cass. Civ. Sez. III 08 gennaio 2016, n. 127; Cass. Civ. Sez. III 23 settembre 2015 n. 18804) (c.f.r.: www.altalex. com).
Brevi considerazioni.
Pronunce simili non sono sconosciute nell’orientamento giurisprudenziale della Corte: infatti, già con pronuncia Cass. 18.02.2016, n. 3173, la Corte aveva modo di stabilire che l’importo dovuto a titolo di risarcimento “non è in re ipsa, essendo onere del creditore allegare e provare, anche attraverso presunzioni semplici, che il tempestivo pagamento gli avrebbe consentito remunerativi investimenti” (C.f.r.). Si tratta dunque di ribadire che, la prova del danno de qua, anche se non quantificabile direttamente e immediatamente, deve essere comunque sempre adeguatamente provato. Anche, appunto, mediante presunzioni. In questo senso, dunque, la Corte conferma e ribadisce un importante principio di diritto, già consolidato nella propria giurisprudenza.
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