Il panorama normativo nazionale in tema di tutela della concorrenza si è, negli ultimi anni, arricchito di due interventi del legislatore, entrambi di derivazione comunitaria, volti ad incidere sul ruolo del private enforcement antitrust.
Con il d.lgs. 3/2017[1], infatti, il legislatore nazionale ha recepito la direttiva 2014/104/EU in tema di risarcimento del danno antitrust[2] e con la L. 31 del 12.04.2019 è stata poi profondamente modificata la disciplina dell’azione collettiva[3], includendo tra i diritti tutelabili anche quello risarcitorio per le imprese concorrenti lese da condotte antitrust.
Anche in questo caso, il provvedimento prende le mosse dalla normativa comunitaria, ed in specie dalla raccomandazione della Commissione 2013/396/UE del 11.06.2013, e ne recepisce la volontà di estendere i meccanismi del ricorso collettivo a tutti i diritti conferiti dalle norme dell’Unione.
Ed anche in questo caso, proprio come avvenuto in sede comunitaria[4], non si è provveduto ad una disciplina specifica per l’azione antitrust, ma si è istituito uno strumento con un campo d’azione più vasto.
Il private enforcement esce, da queste novelle, senza dubbio rafforzato[5], ma con un’anima fortemente sussidiaria rispetto al public enforcement e con una serie di criticità, evidenziate dalla dottrina, che dovranno essere verificate nel corso della prima applicazione della normativa.
Nella presente breve disamina ci si soffermerà sui tratti principali del modello di azione di classe risarcitoria ideata dalla Commissione e di quella recepita dal nostro legislatore, con riferimento al risarcimento del dal danno antitrust ed alla luce delle criticità sollevate dai primi commentatori in materia di forum shopping e di valore di cosa giudicata dei provvedimenti antitrust nazionali.
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L’azione di classe nella raccomandazione 2013/396/UE
Il dibattito comunitario sull’azione di classe antitrust è vivo da oltre un decennio ed ha dato vita, negli anni, ad una produzione di soft law, frutto del confronto tra gli stakehloders degli stati membri, a fronte anche delle singole giurisprudenze interne, che andavano dipanando i problemi concreti delle azioni private avverso condotte antitrust, e delle pronunce delle Corte di Giustizia EU, più volte interpellata ai sensi dell’art. 267 TFUE[6]
Nel 2005 la Commissione ha adottato un libro verde sulle azioni risarcitorie per danni da violazione antitrust e nel 2008 un libro bianco sullo specifico tema del ricorso collettivo antitrust nonché un libro verde sul ricorso collettivo in materia consumeristica. Il legislatore italiano è intervenuto sul solo tema dell’azione collettiva consumeristica, con la disciplina dell’art. 140 bis cod. cons. In campo comunitario, al contrario, il dibattito è proseguito, con la consultazione pubblica del 2011 in tema di ricorso collettivo europeo e, nel 2012, il Parlamento ha adottato una risoluzione intitolata “verso un approccio europeo coerente in materia di ricorsi collettivi”, nel tentativo di creare un quadro orizzontale di principi comuni, in grado di assicurare un approccio uniforme alla giustizia nei singoli paesi membri, sulle tematiche non solo consumeristiche, ma dei diritti conferiti dalle norme comunitarie in genere.
Il dibattito, quindi, inizialmente settoriale (antitrust e consumatori) si è spostato su un piano generale, alla ricerca di un approccio integrato di più ampio respiro, in relazione ai diritti di matrice comunitaria e al loro continuo sviluppo.
Questo dibattito è, da ultimo, approdato nell’emanazione della Raccomandazione 2013/396/UE, da molti ritenuta preliminare all’emanazione di una direttiva, lungamente discussa in sede di direttiva 2014/104/EU sul risarcimento antitrust, e poi rimandata ad un successivo approfondimento.
La Raccomandazione in esame premette, nei propri consideranda, la convinzione: che l’azione collettiva costituisca il mezzo per una tutela effettiva di diritti che, a livello individuale, si risolvono in controversie di modesta entità, con costi dissuasivi per i singoli ricorrenti[7], e che, invece, a livello di classe, può costituire un importante intervento dei privati, complementare all’azione pubblicistica[8], e adiuvante nella protezione, non solo degli interessi consumeristici, ma anche in tema di concorrenza, ambiente, servizi finanziari e tutela degli investitori, protezione dei dati personali.
Conscia della natura sovente transfrontaliera dei diritti tutelati e delle azioni promosse, la raccomandazione si propone, allora, di formulare una serie di principi, di applicazione orizzontale, per permettere un approccio omogeneo nei singoli stati membri, sia sul piano inibitorio, sia sul piano risarcitorio. I confini che delimitano tale operazione armonizzatrice sono: il rispetto degli strumenti inibitori settoriali già previsti nel diritto dell’Unione, che debbono intendersi fatti salvi; il rispetto delle diverse tradizioni giuridiche dei singoli stati membri; la preservazione delle garanzie processuali di tutte le parti e l’esclusione dei danni punitivi e di invadenti pre-trial discovery procedures, estranei alla maggior parte degli ordinamenti dei paesi comunitari.
Così delimitato il proprio potere di azione, la Commissione propone un gruppo di principi comuni validi per qualsiasi azione collettiva e un ulteriore specifico pacchetto di principi comuni riferibili alle sole azioni inibitorie e alle sole azioni risarcitorie.
I principi comuni ad ogni tipo di intervento toccano i temi della legittimazione attiva, della ricevibilità del ricorso, della pubblicità del ricorso, delle spese legali – finanziamento e refusione -, nonché lo specifico aspetto delle controversie transfrontaliere.
L’azione pensata dalla Commissione è principalmente un’azione rappresentativa e, quindi, i cui legittimati attivi sono organizzazioni senza fini di lucro, che perseguono quale obiettivo sociale la tutela dei diritti oggetto dell’azione intentata e che hanno competenze finanziarie, umane e legali per ergersi a portavoce di una molteplicità di ricorrenti. Tali qualità devono essere in qualche modo preliminarmente certificate dallo stato membro e questa designazione deve avere valore in tutti gli stati membri.
A riprova dell’approccio di sussidiarietà e complementarietà dell’azione privata rispetto a quella pubblica, la raccomandazione suggerisce che gli stati diano la legittimazione attiva anche alle Autorità Pubbliche[9]
Il secondo principio comune è quello della previsione di un filtro di ricevibilità, che impedisca la prosecuzione dell’azione già sul nascere, laddove si appalesi manifestamente infondata.
Ulteriore aspetto è quello della pubblicità dell’azione[10], con mezzi di diffusione che permettano la più ampia conoscenza della pretesa azionata a tutti i possibili danneggiati nell’intero territorio comunitario, onde favorire il più possibile l’aggregazione dei ricorrenti, l’unicità di procedimento e giudicato, con conseguente economicità del processo ed uniformità dei provvedimenti giurisdizionali. E difatti, all’art. 17 della Racc. 2013/396/EU si specifica l’importanza che gli ordinamenti nazionali non impediscano la possibilità di un’unica azione collettiva in un’unica giurisdizione, anche ad opera di un’unica organizzazione rappresentativa nazionale, il cui status di legittimata attiva, riconosciuto in uno Stato membro, deve estendersi a tutto il territorio dell’Unione.
A tal fine, gli artt. 35, 36 e 37 prescrivono l’istituzione, in ogni stato membro, di un registro nazionale delle azioni di classe pendenti, accessibile gratuitamente mediante mezzi elettronici o altri mezzi, ritenuti adeguati a fornire informazioni complete sulle azioni pendenti e sui rimedi esperibili.
A tale previsione si affianca, necessariamente: un obbligo di capienza ma ancor più di trasparenza finanziaria dell’ente rappresentativo, onde evitare che lo strumento si tramuti in occasione di abuso del diritto, con scopo distorsivo della concorrenza; e un obbligo di adozione del principio della soccombenza nella refusione delle spese legali, nel rispetto delle procedure civili dei singoli ordinamenti.
Questi principi generali vengono integrati, in relazione alla specifica azione risarcitoria, da principi, volti a rendere il ricorso: giusto, equo, tempestivo, non eccessivamente oneroso[11]
Il modello prescelto è quello dell’opt-in, azionabile in varie fasi del procedimento, e sino alla pronuncia della sentenza che definisce il giudizio ma, al contempo, con una adesione non vincolante e che, quindi, permetta il successivo opt-out dell’aderente, fino al momento della pronuncia della sentenza.
La procedura dovrebbe sempre prevedere la possibilità di ADR e transazioni collettive, per favorire le quali, deve essere prevista sia la sospensione della prescrizione sia il controllo giurisdizionale della legalità dell’accordo eventualmente raggiunto, allo scopo di proteggere gli interessi di tutte le parti in causa.
Il sistema di rimborso delle spese legali deve essere tale da disincentivare contenziosi non necessari dal punto di vista dell’interesse delle parti e il risarcimento del danno accordabile deve essere pari a quello che ciascuna parte avrebbe ottenuto attraverso un’azione individuale, senza possibilità di danni punitivi.
Ultimo principio, che si raccorda con la disciplina della Dir. 2014/104/EU, è quella relativo alle azioni follow on e, quindi, al ruolo della decisione dell’Autorità Nazionale. E difatti, la Raccomandazione prevede espressamente che “di regola” le azioni collettive siano avviate solo dopo la conclusione del procedimento amministrativo antitrust o, se avviate prima dell’istruttoria pubblica, che possano essere sospese, con salvezze in termini di decorrenza della prescrizione, onde evitare contrasti tra giudicati.
E’ evidente che la Commissione privilegia un approccio follow-on, che conferma il ruolo ancillare del private enforcement nel progetto legislativo comunitario antitrust.
La Raccomandazione chiedeva, poi, agli Stati, di applicare i principi su esposti entro il 26 luglio 2015 e di trasmettere alla Commissione i dati statistici del primo biennio, in modo da permettere, alla data del 26 luglio 2017, di avviare una valutazione degli effetti dell’intervento.
I principi della Racc. 2013/396/EU recepiti nella L. 31/19
Nel nostro ordinamento l’azione di classe è stata introdotta con L. 244/2007, collocata in seno al Codice del Consumo (art. 140 bis) e riformata con la L. 99/2009[12]. Si trattava di un’azione collettiva limitata alla tutela dei consumatori e utenti, per il risarcimento del danno a fronte di specifiche tipologie di illeciti idonee a violare diritti individuali omogenei dei consumatori: diritti contrattuali in relazione a condizioni generali di contratto e contratti di adesione, responsabilità del produttore, pratiche commerciali scorrette e condotte anticoncorrenziali lesive dei consumatori.
Con l. 31 del 2019 il legislatore ha profondamente inciso sulla materia: la nuova azione di classe è espunta dal Codice del Consumo ed inserita nel Codice di rito, agli articoli 840 bis e ss. ed ha come oggetto la tutela dei diritti individuali omogenei lesi da atti o comportamenti posti in essere da imprese o enti gestori di pubblici servizi o di pubblica utilità nello svolgimento delle loro rispettive attività.
L’ambito di applicazione non è più quindi limitato alla sola tutela consumeristica ma, come richiesto nei consideranda della Racc. 2013/396/EU, estende la su applicazione, pur se, per espresso riferimento dell’art. 840 bis, sempre nell’alveo dell’attività di impresa e, quindi, in relazione a rapporti che comportino un’offerta di beni o servizi sul mercato.
Si è osservato in precedenza che la Racc. 2013/396/EU indica dei principi comuni a tutti i tipi di azione collettiva, in termini di: legittimazione attiva, ricevibilità, pubblicità, finanziamento, e disciplina delle controversie transfrontaliere.
La L. 31/2019 affronta e recepisce queste indicazioni.
In primo luogo la legittimazione attiva è attribuita o al singolo componente della classe o ad organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro[13], i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei diritti individuali omogenei fatti valere e che risultino iscritti nell’apposito istituendo Registro pubblico delle associazioni e organizzazioni legittimate all’azione di classe.
Attraverso l’istituzione del Registro sarà possibile una preventiva valutazione dell’adeguatezza e trasparenza dell’ente, sotto i profili: finanziario, legale e umano, nonché il possesso di uno status spendibile, da parte dell’ente, in ogni paese comunitario.
Il legislatore italiano, invece, non raccoglie il suggerimento della Commissione per quanto concerne la possibilità che l’Autorità pubblica sia legittimata attiva all’azione rappresentativa collettiva.
Sotto il profilo dell’esame preliminare di ricevibilità e non manifesta infondatezza, la L. 31/2019 prevede tre fasi dell’azione di classe: la prima è dedicata, appunto, al giudizio di ammissibilità, la seconda al merito e, quindi, all’accertamento dell’esistenza della responsabilità della convenuta, la terza alla verifica delle singole posizioni di ogni aderente e alla relativa eventuale liquidazione del danno in concreto provato.
La prima fase prevede quattro motivi di inammissibilità del ricorso: la manifesta infondatezza nel merito, valutata in un giudizio di carattere sommario; la non omogeneità dei diritti fatti valere; lo stato di conflitto di interessi del ricorrente nei confronti del resistente; la non adeguatezza del ricorrente a tutelare gli interessi dell’intera classe. Il provvedimento di inammissibilità è reclamabile in Corte d’Appello e non ricorribile per cassazione, ma non è preclusiva di nuove azioni di classe per i medesimi fatti.
La disciplina nazionale recepisce anche le indicazioni in ordine alla pubblicità della pendenza dell’azione.
E difatti, la proposizione del ricorso, l’ordinanza che ne dichiara o meno l’ammissibilità e ogni successiva fase del procedimento sono rese conoscibili attraverso la pubblicazione, a cura della cancelleria, nell’area pubblica del portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia[14].
In relazione, poi, alla trasparenza dei finanziamenti dell’azione, la nostra disciplina prevede, da un lato, un controllo della capacità finanziaria del ricorrente in seno alla prima fase dell’azione, in ordine alla sua ammissibilità, e, poi, che gli aderenti versino una cifra a copertura delle spese della procedura, durante le successive due fasi, e proprio con l’intento di finanziare, in modo trasparente, l’intera procedura, sino alla liquidazione del danno.
Infine, il problema delle controversie transfrontaliere e, in particolare, della pendenza di azioni collettive per il medesimo atto lesivo e contro le medesime resistenti in un altro stato membro, non sembra ricevere alcun tipo di normazione dalla nostra disciplina.
Per quanto concerne, invece, i principi comuni alle sole azioni risarcitorie, il nostro legislatore ha fatto proprie le indicazioni della raccomandazione[15], concependo un’azione di classe basata sul meccanismo dell’opt-in e con possibilità dell’aderente di ritirarsi dalla procedura sino alla conclusione della terza fase della procedura.
Ed invero, l’aderente non acquista mai la qualità di parte e, pertanto, non può compiere atti processuali e non può impugnare la sentenza di primo grado e, sino alla pubblicazione del decreto di liquidazione dei singoli risarcimenti del danno, può scegliere di revocare la propria adesione e proporre azione individuale per i medesimi fatti.
L’adesione, peraltro, può avvenire anche dopo che la fase di merito si è conclusa con sentenza e, quindi, è possibile che il singolo interessato attenda gli esiti della pronuncia sull’an debeatur per poi scegliere di unirsi, nella terza fase, esclusivamente liquidatoria, per dimostrare il proprio diritto al risarcimento e quantificarlo.
Le indicazioni comunitarie in tema di risoluzioni alternative della controversia sono state recepite all’art. 840 quaterdecies c.p.c., laddove si prevede la possibilità di accordi di natura transattiva sia in corso di causa, con modello opt-in per i ricorrenti o gli aderenti interessati a concludere l’accordo, sia a valle della sentenza di accoglimento, con procedura opt-out per chi ha interesse a sfilarsi dall’accordo.
Entrambe le forme di accordo sono sottoposte ad un controllo di legalità. Ed invero, quanto alla prima, il nostro codice menziona solo la possibilità di transazioni su proposta del giudice; quanto alla seconda, il codice prevede che la legittimazione a concludere accordi spetti al rappresentante comune degli aderenti, e che l’accordo stesso possa essere stipulato solo su autorizzazione del Giudice delegato alla procedura.
Quanto alla determinazione e natura del risarcimento, esso è tutto disciplinato nella terza fase della procedura, in cui ha luogo la verifica dei diritti individuali dei singoli aderenti, in contraddittorio con il resistente, che può contestare le singole richieste.
Nello specifico dell’azione antitrust, il danno risarcibile è sempre e comunque quello previsto dal d.lgs. 3/17 e, quindi, un danno non punitivo, basato sulla prova del danno emergente e del lucro cessante.
In tema di regime delle spese, l’art. 840 novies c.p.c. specifica il generale principio della soccombenza, prevedendo che, in caso di accoglimento del ricorso, il resistente sopporti le spese sia dell’avvocato del ricorrente, sia del rappresentante comune degli aderenti (figura di nomina giudiziale che sostiene le ragioni degli aderenti, nella seconda fase, e gestisce le procedure di liquidazione, nella terza fase della procedura). Tali spese, pur se non ancorate ad un patto di quota lite, stante l’espresso divieto nel nostro ordinamento, si parametrano però secondo una liquidazione progressiva, sulla base del numero degli aderenti e in percentuale sull’entità totale del risarcimento versato, con un meccanismo, definito “premiale”, che appare configurare una contingency fee, espressamente sconsigliata nella Racc. 2013/396/EU.
La novella legislativa entrerà in vigore il 19.04.2020 e sarà applicabile alle condotte illecite poste in essere dopo tale data.
Il ruolo dell’Autorità pubblica nella procedura risarcitoria
La l. 31/2019, contrariamente al d.lgs. 3/17, non detta specifiche disposizioni in merito alle Autorità pubbliche. In particolare, non prevede che tali Autorità possano assumere il ruolo di organizzazioni rappresentative legittimate all’azione.
La scelta appare trovare una fondata motivazione nel ruolo invece determinante che il d.lgs. 3/17 assegna all’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato e ai suoi provvedimenti.
Ed infatti, l’Autorità riveste un ruolo determinante sia nell’accertamento dell’atto illecito e del danno, sia nella determinazione del risarcimento.
In termini di accertamento, il d.lgs. 3/17 ha recepito le indicazioni della Dir. 104/2014 /EU ed ha, infatti, attribuito ai provvedimenti amministrativi dell’Autorità Nazionale un valore vincolante, come di cosa giudicata.
Il dibattito, sul punto, è stato particolarmente accesso proprio nell’ambito della dottrina italiana.
Per il diritto italiano, la decisione dell’Autorità Garante non è un provvedimento giurisdizionale, ma un atto amministrativo, emesso da un soggetto che non è un giudice[16], impugnabile davanti al giudice amministrativo e che, fino all’adozione del d.lgs. 3/17, non poteva far stato nel giudizio di danni davanti al giudice ordinario.
Le azioni antitrust, prima dell’entrata in vigore della novella legislativa, si basavano, quindi, sull’accertamento giudiziale della condotta illecita, in cui l’esistenza di un provvedimento sanzionatorio dell’Autorità assurgeva al valore di parere autorevole, ma non esoneravano il giudice dall’onere di esaminare interamente e nuovamente tutte le questioni, anche quelle già valutate in sede amministrativa, e non escludeva che si potesse giungere a conclusioni diverse.
La Commissione Europea, invece, ha proprio sottolineato il disvalore del contrasto tra diversi provvedimenti (amministrativo e giudiziario) e sottolineato come fosse essenziale subordinare l’azione civile alla decisione dell’Autorità antitrust e, quindi, conferire ad essa un valore di giudicato vincolante nel procedimento civile successivo[17].
Nella Raccomandazione 2013/396/EU il provvedimento dell’Autorità è trattato alla stregua di un giudicato pregiudiziale, tanto da suggerire la sospensione del giudizio civile in attesa della decisione amministrativa, non solo nazionale, ma anche comunitaria, al fine di evitare ogni contrasto tra provvedimenti.
Nella Dir. 104/2014/EU, questo principio è stato consolidato, con la previsione, recepita dall’art. 7 d.lgs. 3/17, della vincolatività delle decisioni di Commissione Europea e AGCM in relazione alla natura della violazione, alla sua portata materiale, personale, territoriale e temporale, ma non per quanto concerne nesso di causalità ed esistenza del danno, che dovranno essere provati dal danneggiato.
Anche sotto questo profilo, però, il d.lgs. offre delle presunzioni semplici: nei soli casi di cartello antitrust, il danno e il nesso sono presunti, a tutela degli acquirenti diretti, la prova del passing on deve essere fornita dal resistente e, nel caso di acquirenti indiretti, il passing on è invece presunto, con ammissione di prova contraria.
Ne esce, quanto meno nella fattispecie del cartello, una istruttoria sbilanciata a favore del ricorrente, incentivato all’azione follow-on, a riprova dell’intenzione del legislatore comunitario di utilizzare il private enforcement come un elemento ancillare rispetto all’attività pubblica piuttosto che come un autonomo secondo pilastro dell’attività regolatoria del mercato.
In questo contesto, il d.lgs. 3/17, sempre in recepimento della normativa comunitaria, prevede anche un ruolo attivo dell’AGCM nel giudizio civile, quale ausiliario del giudice nel difficile compito di determinazione del danno. La l. 31/19, non essendo specificamente rivolta alle azioni antitrust, nulla dice sul punto, ma, a prima lettura, non appaiono esserci ostacoli all’applicazione della specifica norma del d.lgs. 3/17 anche in seno alla terza fase dell’azione di classe, qualora verta in ipotesi di illeciti antitrust.
In un’azione di classe follow-on, pertanto, ci si potrebbe trovare nella situazione di richiedere un risarcimento del danno per una condotta antitrust accertata in seno all’AGCM, in cui nesso di causalità e danno sono presunti, salvo prova contraria e attività di liquidazione dei singoli risarcimenti viene demandata o quantomeno indirizzata dalla medesima Autorità che ha inizialmente sanzionato il fatto.
Quel che colpisce è, oltre al ruolo cruciale che l’Autorità finisce con l’assumere anche nel private enforcement, la natura stessa del risarcimento, che tende ad apparire una misura più deterrente e sanzionatoria che ripristinatoria o, comunque, non nasconde la forte matrice di rafforzamento della sanzione amministrativa già scontata.
Controversie transfrontaliere e forum shopping.
La direttiva e il decreto di recepimento non estendono il medesimo valore anche ai provvedimenti delle Autorità Nazionali di stati diversi rispetto a quello nella cui giurisdizione si sta svolgendo l’azione.
Questo, da un lato recepisce le critiche già sollevate dai singoli osservatori nazionali; dall’altro pone un freno alla possibile diffusione di class actions comunitarie, laddove non vi sia stato un provvedimento della Commissione Europea.
A favorirle, invece – ed a favorire il forum shopping, secondo parte della dottrina[18] – in mancanza di una previsione normativa nazionale, è il recente arresto comunitario in tema di giurisdizione.
La Commissione, nella propria raccomandazione in materia di azioni di classe, aveva suggerito agli stati membri di prevede norme che non impedissero la possibilità di unica azione collettiva in un’unica giurisdizione.
Il problema lasciato aperto era, tra i tanti, quello dell’individuazione della giurisdizione competente a fronte di un illecito antitrust infracomunitario.
La questione è stata recentemente affrontata dalla Corte di Giustizia, Sesta Sezione, causa C-451/2018, sentenza del 29.07.2019 che, interpellata sulla corretta interpretazione dell’art. 7, punto 2, Reg n. 1215/2012/UE ha stabilito che nell’ambito di un’azione di risarcimento di un danno causato da un’infrazione ai sensi dell’art 101 TFUE, che consiste in particolare in accordi collusivi sulla fissazione dei prezzi e sull’aumento dei prezzi lordi degli autocarri, il luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto si riferisce, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, al luogo del mercato interessato da tale infrazione, ossia il luogo in cui i prezzi del mercato sono stati falsati, nell’ambito del quale la vittima asserisce di aver subito tale danno, anche se l’azione è diretta contro un partecipante all’intesa in discussione con cui tale vittima non aveva stabilito rapporti contrattuali.
La sentenza muove le mosse dalla vicenda del cartello dei prezzi degli autocarri, accertata e sanzionata dalla Commissione Europea con decisione C(2016) 4673. Negli anni dal 1997 al 2011, quindici produttori internazionali di autocarri hanno posto in essere un intesa anticoncorrenziale volta alla determinazione collusiva dei prezzi dei prodotti sul mercato, così da ottenere un sensibile aumento del prezzo lordo medio del singolo autocarro all’interno dell’intero mercato comunitario.
La Società Tibor Trans, con sede in Ungheria, proponeva allora, davanti al proprio Giudice nazionale, un’azione risarcitoria avverso la DAF Trucks -una delle Società sanzionate – per il danno subito a causa dell’incremento del prezzo degli autocarri.
Ed infatti, la Società attrice deduceva di essere attiva nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali e di aver costantemente investito nell’acquisto di nuovi autocarri negli anni dal 2000 al 2008, con acquisti compiuti presso i concessionari ungheresi della DAF Trucks.
La Società convenuta ha eccepito la carenza di giurisdizione del giudice ungherese, invocando la competenza del foro tedesco, atteso che le riunioni collusive si sono tenute in Germania, e protestando di non aver mai avuto un rapporto diretto di vendita con la Tibor Trans, ragion per cui non appariva applicabile il principio di diritto del “foro della vittima”, che ha come presupposto l’esistenza di un rapporto contrattuale diretto tra le parti in causa[19].
La Corte territoriale accoglieva l’eccezione della convenuta, sostenendo che, alla luce dell’art. 7 punto 2 Reg. 1215/2012/EU, il criterio di collegamento per la determinazione della competenza deve essere individuato nel luogo in cui gli accordi collusivi sono stati posti in essere.
Investito dell’appello il Giudice ungherese remittente, pur ritenendo non utilizzabile il forum actoris nel caso di specie, si pone invece il problema della interpretabilità dell’art. 7 punto 2 Reg 1215/2012/EU nel senso che il luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto sia non il luogo dell’evento generatore del danno, ma il luogo in cui la vittima asserisce di aver subito tale danno, anche se l’azione è diretta contro un partecipante all’intesa in discussione con cui tale vittima non aveva stabilito rapporti contrattuali.
La questione viene quindi sottoposta alla Corte di Giustizia che, con la pronuncia dinanzi citata, si sofferma in primo luogo sull’applicabilità del Reg. 1215/2012/EU alle violazioni della concorrenza, chiarendo come il contenzioso antitrust debba ritenersi “materia civile e commerciale”[20].
La Corte osserva, poi, che per propria giurisprudenza, il concetto di luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto si presta ad essere interpretato in senso estensivo, ricomprendendo sia il luogo in cui è avvenuto l’evento generatore de danno, sia il luogo (o i luoghi) in cui i danno si è concretizzato, così che l’attore ha la scelta tra più fori alternativi.
Peraltro, in virtù della solidarietà passiva tra imprese colluse nella medesima intesa anticoncorrenziale, la vittima può agire anche contro un partecipante all’intesa con cui non ha stabilito un rapporto diretto, ancorando la competenza proprio in base al luogo del mercato interessato dall’infrazione antitrust.
A fronte di un’infrazione anticoncorrenziale infracomunitaria, quindi, ogni singolo operatore del mercato comunitario potrà scegliere di agire contro uno qualsiasi degli imprenditori collusi, al di là del rapporto contrattuale diretto, e scegliendo tra il foro del convenuto, il foro del luogo in cui la condotta anticoncorrenziale è stata realizzata e il foro del luogo del mercato interessato dalla violazione e in cui tale violazione ha concretizzato la sua lesività
Il principio di diritto affermato rende possibile, a fronte di una violazione infracomunitaria, immaginare sia la frantumazione delle azioni dinanzi alle singole giurisdizioni nazionali delle imprese nazionali concretamente lese dalla condotta – che è uno scenario non auspicato dalla Commissione – sia una ri-unione dei molteplici attori dinanzi ad un medesimo foro, competente sotto i vari profili sopra evidenziati, con l’effetto di coalizzare una classe transfrontaliera nel medesimo giudizio.
Conclusioni
I due interventi normativi in tema di private enforcement hanno reso disponibili nuovi strumenti di tutela dell’imprenditore concorrente danneggiato da condotte antitrust ed aperto scenari di contenzioso di classe transfrontaliero, suscettibile di incardinarsi in qualsiasi stato membro dell’unione. L’accesso alla tutela, se successivo all’attività sanzionatoria amministrativa, appare più semplice, per il sistema di vincolatività e presunzioni, così come per la possibilità di una tutela collettiva rappresentativa, che permette al singolo danneggiato di attendere gli sviluppi processuali prima di agire e, quindi, di ricorrere all’Autorità Giudiziaria quando il quadro risarcitorio è già interamente delineato.
La mancata regolamentazione, però, dei rapporti tra pluralità di azioni nei vari stati membri, unito alla possibilità, di matrice giurisprudenziale, di proporre azione in ogni stato ricompreso nel mercato di riferimento della violazione, rende impredittibile, per l’impresa sanzionata, il numero e la portata delle azioni che potrà subire.
Questa circostanza, unita al ruolo prettamente ancillare del private enforcement così come emerge dalla normativa comunitaria, delinea il risarcimento civile come uno strumento, più che ripristinatorio, deterrente e quasi doppiamente sanzionatorio e quasi lo priva di un ruolo autonomo nell’opera di regolazione del mercato. Se a ciò si somma il ruolo rilevante che le Autorità Nazionali finiscono col rivestire nell’ambito della controversia tra privati, il contenzioso privatistico risulta asservito agli scopi pubblicistici, e, in qualche misura, subordinato agli scopi dell’ordine pubblico economico più che a quelli del mercato libero e liberista che si autoregola.
L’esito, criticato a più riprese dalla dottrina, richiama le considerazioni di Autorevole dottrina[21] in merito al difficile incontro/scontro tra le tradizioni solidaristiche di singoli stati membri – come quello italiano – fondate su una visione pubblicistica del mercato e dell’impresa economica, e l’impostazione dell’allora Comunità Europea, basata sull’idea liberista di un mercato libero, non normativizzato, ma solo regolato.
Forse, nel difficile percorso di armonizzazione di così diverse istanze, la materia del diritto antitrust si pone come crocevia e banco di prova per un futuro assetto di un mercato che sia si concorrenziale e libero, ma anche equo e giusto.
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Note
[1] AA.VV., a cura di P. Manzini, Il risarcimento del danno nel diritto della concorrenza, Giappichelli, 2017
[2] G. Puleio, Il risarcimento del danno antitrust alla luce della Direttiva 2014/104/UE, in Resp. Civ. prev., n.3, 2016, p. 1082 ss.
[3] AA.VV., a cura di B. Sassani, Class action. Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, Pacini, 2019; S. Brazzini – P. P. Muià, La nuova class action alla luce della legge 12 aprile 2019, n. 31, Giappichelli, 2019
[4] Il Parlamento Europeo ha pubblicato, nel 2012, uno studio indipendente sulla praticabilità di un intervento legislativo comunitario in materia di azione di classe antitrust, ma la Dir. 2014/104/EU non detta alcuna disciplina in materia di class action. Infatti, all’esito del dibattito, le Istituzioni comunitarie hanno preferito limitare gli interventi sul punto a soft law di più ampio respiro, e non specificamente ideate per l’azione antitrust.
[5] G. Muscolo, Prefazioni, in AA.VV., Il risarcimento del danno nel diritto della concorrenza, cit., p. XV
[6] La Corte di Giustizia è ripetutamente intervenuta in tema di private enforcement, tratteggiando i caratteri del risarcimento del danno da violazione antitrust e dettandone i principi, che hanno permeato i numerosi studi di soft law e, da ultimo, l’intervento legislativo del 2014. Passaggi cardine di questo processo sono senza dubbio le sentenze CGEU, C- 453/99, Courage; CGEU, C-295, 296, 2997, 298/04, Manfredi; CGEU, C-557/12, Kone. Sul punto G. Puleio, cit., p. 1082-1083
[7] Considerandum 9.
[8] Considerandum 6 e 7. In particolare, il considerandum 6 pone l’accento sulla natura sussidiaria dell’azione privata rispetto a quella pubblica. Un argomento che ha subito diverse critiche dalla dottrina, che ha sottolineato come un private enforcement ancellare rispetto all’azione sanzionatoria pubblica finisca col risultare un’arma spuntata e una mera duplicazione delle sanzioni, con aggravio sulle imprese e poco profitto per l’autoregolazione del mercato. Sul punto E. A. Raffaelli, Il private antitrust enforcement dopo la direttiva danni: troppi problemi ancora irrisolti?, Federalismi, n. 14/2019, p. 2 ss
[9] La previsione solleva dei problemi se letta in relazione alla direttiva 2014/104/EU laddove da forza di cosa giudicata alla decisione dell’Autorità pubblica antitrust e laddove consente, come poi previsto dal legislatore del d.lgs. 3/17, che la medesima Autorità operi come amicus curiae nella determinazione del danno.
[10] Sul punto, già in sede si osservazioni a seguito dell’approvazione del White Paper del 2008, la Corte di Cassazione aveva inviato alla Direzione Generale Concorrenza della Commissione Europea una serie di considerazioni, tra cui anche quella in merito alla necessità di un sistema di pubblicità di livello comunitario, in ragione della possibilità che per lo stesso evento lesivo vengano proposte azioni davanti a giudici di Stati Membri diversi, segnalando altresì l’insufficienza dell’attuale sistema, previsto dall’art. 15 comma 2 Reg. 1/2003/UE, che prevede soltanto che “gli Stati membri trasmettono alla Commissione copia delle sentenze scritte dalle giurisdizioni nazionali competenti a pronunciarsi sull’applicazione dell’art. 81 o dell’art. 82 del Trattato” Nello stesso documento (Documento di lavoro, 11 luglio 2008, Corte Suprema di Cassazione), la Corte richiedeva che si formulassero specifiche norme per regolare l’ipotesi di domande concorrenti proposte davanti a giudici diversi. La richiesta, però, non ha trovato spazio della Racc. 2013/396/EU, che si limita a sostenere che tra i principi comuni dell’azione collettiva, che ogni stato dovrà disciplinare, vi è la possibilità di azioni collettive di livello comunitario.
[11] Art. 2 Racc. 2013/396/EU
[12] Per un esame dell’azione ex art. 140 bis cod. cons. applicata al danno da violazione del diritto della concorrenza G. Afferni, Azioni di classe e danno antitrust, in Mercato e concorrenza regole, 3/2010, p. 491 ss.
[13] Contrariamente a quanto era previsto dall’art. 140 bis, che non permetteva le azioni collettive direttamente rappresentative
[14] Art. 840 ter, comma 5, c.p.c.
[15] Artt. 21-24
[16] F. Aperio Bella, Ceci n’est pas une note de jurisprudence”: riflessioni critiche a margine del tentativo dell’AGCM di farsi giudice a quo, in Diritto e Società, 2/2018, p. 281-322. on ordinanza n. 1 del 3 maggio 2018, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha sollevato questione di legittimità costituzionale in un procedimento sanzionatorio incardinato contro il Consiglio notarile di Milano, ritenendo nello specifico che quest’ultimo avesse realizzato un’intesa restrittiva della concorrenza attraverso iniziative disciplinari nei confronti dei notai del distretto maggiormente produttivi ed economicamente performanti. La questione di legittimità costituzionale sollevata ha ad oggetto l’art. 93 – ter, comma 1-bis della legge 16 febbraio 1913 n. 89, introdotto con la legge 27 dicembre 2017, n. 205, ai sensi del quale “Agli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare [da parte dei consigli notarili] si applica l’art. 8, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287”. L’articolo da ultimo citato, a sua volta, impedisce l’applicazione delle regole sulla concorrenza “alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati”. Sulla base di quanto previsto dalle predette norme, il potere disciplinare dei Consigli notarili è sottratto alle norme antitrust e ai relativi poteri di controllo e di sanzione dell’AGCM. Nell’ordinanza di rimessione, l’AGCM, nel motivare la propria competenza, quale giudice legittimato a sollevare questioni di costituzionalità in via incidentale, ha sottolineato la peculiarità della funzione sanzionatoria ad essa affidata rispetto alle funzioni di regolazione attribuite alle altre Autorità indipendenti. La funzione sanzionatoria, secondo l’AGCM, sarebbe una funzione sostanzialmente giurisdizionale, nel cui esercizio l’Autorità risulterebbe “terza” ed “imparziale”. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 13/2019 ha escluso che l’AGCM la Corte costituzionale ha negato che l’AGCM sia legittimata a sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale nell’ambito del procedimento sanzionatorio diretto ad accertare un’intesa restrittiva della concorrenza. La Corte sottolinea che malgrado la giurisprudenza in merito abbia accolto una nozione “elastica” di giudice a quo, riconoscendo la legittimazione a sollevare questione di legittimità costituzionale anche organi non incardinati in un ordine giudiziario, tuttavia, condizione imprescindibile per riconoscere la qualità di giudice è sempre l’essenziale requisito della terzietà, di cui l’AGCM risulta totalmente priva. Per un commento alla sentenza, si veda, M. Chiarelli, L’Autorità garante della concorrenza non è giudice: nota a Corte costituzionale 31 gennaio 2019, n. 13, in federalismi, 14/2019, p. 1 ss.
[17] La Corte Suprema di Cassazione aveva valutato questo aspetto sin dalle osservazioni del 2008, sottolineando la necessità di rispettare la natura non giurisdizionale del provvedimento dell’Autorità. Essa aveva anche suggerito una soluzione intermedia, in cui la decisione amministrativa potesse avere il valore di prova privilegiata sui fatti oggetto di accertamento, attraverso il meccanismo della presunzione semplice, con mera inversione, quindi, dell’onus probandi.
[18] E.A. Raffaelli, cit., p. 5. In tema di forum shopping, la dottrina si è divisa sulla positività o meno del fenomeno che, da un lato, stimolerebbe l’efficienza delle singole giurisidizioni. Sul punto Bastianon, la tutela privata antitrust: Italia, Unione Europea e Nord America, atti del Convengo tenuto a Bergamo 11 aprile 2011
[19] Le parti fanno riferimento all’arresto CGUE, C-352/13, 21 maggio 2015, Hydrogen Peroxide, in forza del quale, quando nei confronti di convenuti domiciliati in stati membri diversi viene proposta un’azione volta al risarcimento dei danni a causa di un’infrazione unica e continuata alla quale essi hanno partecipato in più stati membri in ate e luoghi diversi, se tale violazione dell’art. 1010 TFUE e dell’art. 53 dell’accordo SEE è stata accertata dalla Commissione, ciascuna delle presunte vittime può adire il giudice del luogo della propria sede sociale.
[20] Richiama, in tal senso, CGEU, 23 ottobre 2014, C-302/13, flyLAL c. Lithuanian Airlines
[21] V. Roppo, Il contratto del duemila, Giappichelli, 2011
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