Il presente contributo approfondisce la questione della pignorabilità del reddito di cittadinanza, poichè costituendo una misura contro la povertà, la diseguaglianza e l’esclusione sociale non riveste natura alimentare e pertanto non soggiace alle disposizioni che prevedono divieti di pignorabilità.
Sommario: 1. Premessa. 2. La vicenda processuale. 3. La natura giuridica del reddito di cittadinanza. 4. La soluzione giudica. 5.Osservazioni.
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1.Premessa
La pronuncia che ci si propone di analizzare è l’ordinanza del 30.01.2020 del Tribunale di Trani.
Invero l’organo giudicante ha dichiarato pignorabile il redditto di cittadinaza, ovvero il beneficio economico recentemente introdotto dal Decreto Legge 28 Gennaio 2019 n.4 (convertito con modifica dalla L.26 del 2019). Il Tribunale ha ritenuto pignorabile, nei confronti del coniuge inadempiente, il reddito di cittadinanza percepito dallo stesso al fine di garantire gli obblighi di mantenimento dei figli minorenni.
Una volta ammessa la completa pignorabilità del sussidio in esame, nessuna circostanza è d’impedimento all’emanazione di un ordine di pagamento diretto al coniuge di una quota del reddito di cittadinanza di cui beneficia l’altro coniugie, investito degli obblighi derivanti dalla separazione e verso i quali si renda inadempiente.
La pronuncia in commmento rappresenta un precedente significativo finalizzato a sciogliere, seppure in prima battuta, i numerosi dubbi più volte sollevati dagli operatori del diritto sulla natura giuridica del reddito di cittadinanza e sulla conseguente possibilità di sottoporlo a pignoramento.
2. La vicenda processuale
Preso atto del perdurante inadempimento da parte di un padre, percettore del reddito di cittadinaza della complessiva somma di euro 859,67, al pagamento dell’assegno di mantenimento a favore dei figli minori di 8 e 7 anni stabilito con ordinanza presidenziale emessa nel procedimento di separazione coniugale, la moglie si rivolgeva al Tribunale affinchè, ai sensi e per gli effetti dell’art.156, comma VI c.c., fosse emesso nei confronti dell’I.N.P.S. (in qualità di terzo) l’ordine di pagamento diretto in favore della stessa istante di una somma mensile di importo corrispondente all’assegno di mantenimento, trattenendo la medesima dall’erogazione dovuta al marito a titolo di reddito di cittadinanza.
Il marito si opponeva eccependo argomentazioni afferenti la natura del reddito di cittadinanza.
Questi affermava che il benificio summenzionato riveste natura alimentare e che pertanto soggiace ai limiti posti dall’art.545 c.p.c. giacchè lo stesso rappresenterebbe, in quanto credito alimentare, un credito impignorabile.
Il Tribunale di Trani ha chiarito che il reddito di cittadinanza non ha natura alimentare e non è annoverabile tra le ipotesi codicistiche della impignorabilità, ovvero esso è legittimamente pignorabile per debiti derivanti dall’inadempimento degli obblighi di contribuzione nel mantenimento dei figli.
Il Tribunale, infatti, accogliendo la richiesta della moglie, ha ordinato al terzo il pagamento diretto della somma di euro 360,00 mensili, alla quale ammonta l’assegno a carico del marito.
3. La natura giuridica del reddito di cittadinanza
Ebbene, appare quatomai necessario comprendere se ed in quale misura il reddito di cittadinanza sia pignorabile. Pertanto è necessario determinarne la natura, atteso che il Legislatore si è ben guardato dal definire esplicitamente pignorabile tale misura di sostegno.
Il reddito di cittadinanza viene definito come una “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla diseguaglianza e all’esclusione sociale”.
La natura è quella di “politica attiva del lavoro”, con il dichiarato scopo di condurre i beneficiari alla ricerca di un’occupazione che consentirebbe loro un’autonomia economica.
Ed invero una delle condizioni per poter accedere al beneficio in esame è l’obbligo della dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti maggiorenni del nucleo familiare, ed altresì l’adesione ai percorsi di accompagnamento all’inserimento lavorativo.
E’ controverso se il reddito di cittadinanza possa essere soggetto a pignoramento, al fine di soddisfare i creditori del percettore della misura.
Va detto che non si tratta di un emolumento di natura alimentare, ossia una prestazione di assistenza materiale verso chi si trovi in stato di bisogno economico anche se per propria colpa.
E’ pacifico che gli alimenti sono assolutamente impignorabili, ai sensi dell’art.545 comma I del c.p.c., a meno che non si tratti a sua volta di una causa di alimenti, e sempre dietro l’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato, e solamente per la parte individuata dal medesimo mediante decreto.
Non si può altresì affermare che il reddito di cittadinanza sia un credito costituente sussidio di grazia o di sostentamento a persone annoverabili nell’elenco dei poveri, previsti dall’art.545 comma II del codice di procedura civile ed anch’essi non assoggettabili ad azione espropriativa alcuna.
Che il reddito di cittadinanza non possa considerarsi quale misura di sostegno contro la povertà è dimostrato dal fatto che chi è inabile al lavoro non possa accedervi ed ancora dagli sgravi contributivi in favore delle aziende private che assumono un percettore del reddito di cittadinanza.
La caratterizzazione di politica attiva del lavoro concorre a rimarcare la definita differenza tra il reddito di cittadinanza ed il precedente REI (reddito di inclusione), quest’ultimo qualificabile come sostegno alla povertà ed in quanto tale assolutamente impignorabile.
4. La soluzione giuridica
Il Tribunale di Trani al fine di valutare l’ammissibilità della richiesta di emissione nei confronti dell’Inps dell’ordine di pagamento diretto avanzata dal coniuge che ha dimostrato in giudizio l’inottemperanza dell’altro agli obblighi economici posti a suo carico per il mantenimento della prole, ha dovuto effettuare preliminarmente un’approfondita disamina dell’istituto del reddito di cittadinanza, al fine di accertare se quest’ultimo potesse essere annoverabile tra i crediti alimentari e fosse pertanto soggetto ai limiti di pignorabilità previsti espressamente dall’art. 545 c.p.c.
L’ordine di pagamento diretto statuito dall’art. 156, comma IV, c.c. rappresenta, come noto, un mezzo giuridico volto a garantire l’effettivo pagamento dell’assegno di mantenimento attribuendo al Giudice il potere di disporre, su istanza della parte, che i terzi, tenuti al pagamento di somme al debitore principale, corrispondano per via diretta all’avente diritto all’assegno le somme a questi dovute in forza di un preventivo provvedimento giudiziale.
Il carattere tipicamente coattivo che definisce l’ordine di pagamento lo rende assimilabile, latu sensu, ad un’assegnazione forzata (cfr. «la preesistenza di un ordine di pagamento diretto gravante sulla retribuzione va qualificata alla stregua di un vincolo di natura espropriativa…»Trib. Milano, 22 maggio 2001).
Da qui, quindi, l’esigenza di appurare innanzitutto, per poter valutare l’ammissibilità della richiesta exart. 156 c.c., se il credito vantato (nel caso di specie il reddito di cittadinanza) dal coniuge inadempiente alle obbligazioni economiche poste a suo carico per il mantenimento della prole abbia o meno natura alimentare (sia cioè destinato a soddisfare i bisogni primari ed essenziali della persona) e sia, quindi, soggetto ai limiti quantitativi di pignorabilità previsti dall’art. 545 c.p.c.
Il Giudice, asserendo che il reddito di cittadinanza non rientra tra i crediti impignorabili e richiamando l’orientamento giurisprudenziale in base al quale il limite della impignorabilità dei redditi di lavoro del coniuge obbligato oltre il quinto non è applicabile con riferimento all’esecuzione promossa dal creditore in ordine all’assegno di mantenimento dei figli, ha accolto l’istanza avanzata dalla moglie e pertanto ha ordinato all’Inps di pagare direttamente a quest’ultima le somme dovute disponendo simultaneamente il sequestro della quota di proprietà immobiliare detenuta dal marito.
Nell’ordinanza in commento il Tribunale ha ricordato in primo luogo che in materia di separazione personale dei coniugi, l’ordine ai terzi di pagare al coniuge creditore quanto dovuto al coniuge obbligato presuppone solamente l’accertamento dell’inadempimento, mentre non deve tenersi conto delle esigenze dell’obbligato, né della gravità dell’inadempimento o dell’intenzionalità dello stesso.
Il presupposto, unico, per l’emissione del provvedimento ex art. 156, VI comma c.c. è, pertanto, il pacifico inadempimento a uno qualsiasi degli obblighi economici previsti da un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria.
Il Giudice ha evidenziato, inoltre, che il reddito di cittadinanza può essere utilizzato «per i bisogni primari delle persone cui il titolare ha l’obbligo di prendersi cura», e pertanto ne ha dedotto la piena pignorabilità,senza l’osservanza dei limiti previsti per i crediti alimentari di cui all’art. 545 c.p.c., ponendo a sostegno della sua tesi i seguenti aspetti.
Il tenore letterale delle disposizioni normative che hanno introdotto il “RDC”: il Tribunale rileva in particolare che il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 che ha previsto tale sussidio lo definisce semplicemente come: “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà , alla disuguaglianza e all’esclusione sociale,” e non contiene al suo interno alcun riferimento alla natura alimentare del reddito”. Quindi, nelle idee dell’organo giudicante , la natura alimentare del reddito di cittadinanza sarebbe da escludersi per stessa previsione normativa.
La natura delle disposizioni previste dall’art. 545 c.p.c. che stabiliscono limiti rigorosi, anche sotto il profilo quantitavo, alla pignorabilità dei crediti. Per il Tribunale tali norme avrebbero carattere eccezionale e non possono certamente derogare al principio generale della responsabilità patrimoniale ex. art. 2740 c.c. in virtù del quale «il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri» (Cfr. Cass. 8 ottobre 1996, n. 8789).
Si releva inoltre l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità secondo cui il limite della impignorabilità dei redditi di lavoro del coniuge obbligato oltre il quinto non opera con riferimento all’esecuzione promossa dal creditore in tema di contributo al mantenimento dei figli, avendo questo natura alimentare.
Successivamente all’ammissione della piena pignorabilità del reddito di cittadinanza il Tribunale ha ritenuto che nulla osta all’emazione di un ordine di pagamento diretto al coniuge di una quota parte del reddito di cittadinanza di cui è beneficiario l’altro coniuge, investito dagli obblighi scaturenti dalla separazione e verso i quali si è reso del tutto inadempiente.
In ossequio alle summenzionate argomentazioni, il Tribunale di Trani, con la pronuncia in analisi, ha testualmente affermato: “ Deve ritenersi pignorabile, senza l’osservanza dei limiti di cui all’art.545 c.p.c., il reddito di cittadinanza, stante l’assenza nel testo del decreto istitutivo di qualunque riferimento alla natura alimentare di detto reddito ed il carattere predominante di misura politica attiva dell’occupazione”.
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Osservazioni.
La questione giuridica circa la pignorabilità del reddito di cittadinanza è stata, certamente, anche fonte di divergenti interpretazioni.
Sia in dottrina che in giurisprudenza vi sono coloro i quali sostengono la necessità di bilanciare l’interesse del creditore con quello del beneficiario della misura summenzionata al fine di non vedersi perdere la cifra riconosciuta per il proprio sostentamento.
Secondo il pensiero di alcuni il reddito di cittadinanza sarebbe, quindi, una misura volta non solo a favorire la remissione nel mercato del lavoro dell’individuo che ne beneficia ma va altresì considerata come una misura avente carattere assistenziale e di contrasto alla povertà, al fine di assistere i cittadini privi di reali e concrete prospettive occupazionali nel breve periodo.
Alla luce di quanto sopra detto la pignorabilità integrale del reddito di cittadinanza entrerebbe in netto contrasto anche con l’art.2 della Costituzione secondo cui: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
E’ di palmare evidenza che nonostante l’assenza di riferimenti legislativi certi e preso atto della dibattuta questione sulla pignorabilità del reddito di cittadinanza, non si può tuttavia escludere aprioristicamente la pignorabilità della detta misura.
La misura, prospettata inizialmente come una forma di sostegno alla povertà, in seguito ha visto prevalere la sua dimensione di misura di politica attiva del lavoro.
L’animus della stessa non è infatti quello di offrire assistenza al soddisfacimento dei bisogni primari dell’individuo ma di favorire l’incontro tra domanda e offerta nel mondo del lavoro e aumentare i livelli occupazionali.
Ed invero è lo stesso istituto che prevede l’obbligo della dichiarazione immediata di disponibilità al lavoro da parte dei componenti del nucleo familiare che abbiano conseguito la maggiore età, nonché all’adesione incondizionata a percorsi dedicati al reinserimento nel mondo del lavoro.
La natura di misura attiva per il lavoro, come già ribadito, è altresì sostenuta dalla previsione di vantaggiosi sgravi fiscali per le aziende private che assumono nel loro organico i percettori del reddito di cittadinanza.
E’ doveroso affermare che il Ministero del Lavoro, con nota rubricata al protocollo 1631/2020, ha rilevato che anche il reddito di cittadinanza dovrebbe essere annoverato nella categoria dei “sussidi”, come ad esempio la maternità e gli emolumenti per le malattie al fine di farne discendere l’impignorabilità dell’assegno corrisposto dallo Stato al beneficiario.
Va precisato che contrariamente al reddito di cittadinanza, la pensione di cittadinanza non è assolutamente una misura di politica attiva del lavoro, poiché istituita in favore di coloro che non possono più lavorare, rivestendo la sola finalità di contrastare la povertà.
Risulta, dunque, ragionevole annoverare le pensioni di cittadinanza all’interno dell’art.545 c.p.c., che ne vieta espressamente la pignorabilità.
La prospettata e supposta pignorabilità del reddito di cittadinanza, però, non escluderebbe che altri creditori, per esempio banche che rivendicano un prestito non onorato, possano azionare in executivis tale forma reddito corrisposta dallo Stato, e trovare il consenso da parte del Giudice dell’esecuzione chiamato ad essere il dominus dell’iter espropriativo.
In conclusione il giudice non potrà sottrarsi alla precisa e puntuale valutazione delle condizioni economiche del soggetto beneficiario operando un’analisi delle condizioni economiche dello stesso e soprattutto dovrà valutare se il credito da pignorare sia in tutto o in parte riferibile al soddisfacimento delle esigenze di sostentamento del beneficiario.
A margine dell’ordinanza in commento, riguardo la pignorabilità del reddito di cittadinanza si potrebbe, senza remora alcuna, affermare che la stessa soggiace solo in presenza di una sorta di legittimazione attiva “ristretta” correlata, pertanto, alle sole cause di alimenti.
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FONTI:
-Ordinanza Tribunale di Trani RG n.6028/2018-1;
-Art.156 c.c. ;
-Art.545 c.p.c.;
-L. n. 26 del 2019;
-Art. 2740 c.c. ;
-Cass. 8 ottobre 1996 n.8798.
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