Abbiamo analizzato questi pochi elementi che caratterizzano l’attuale disciplina sostanziale del concordato, al fine di verificare se gli stessi, nel nuovo impianto disciplinare, troveranno una sostanziale conferma o importanti profili di innovazione.
Prima di tentare un parallelismo fra i suddetti profili evidenziati, nel senso di verificarne il trattamento del legislatore della riforma, si rendono necessarie alcune considerazioni preliminari.
In primo luogo, è opportuno evidenziare l’inversione sistematica della collocazione delle norme. Nella legge fallimentare il concordato preventivo trova collocazione nel Titolo Terzo, dedicato appunto al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione, istituti che vengono trattati
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dopo la disciplina dedicata al Fallimento, contenuta nel Titolo Secondo. Al contrario, il legislatore della riforma, affronta nell’ordine prima le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi (Titolo Secondo), poi le procedure di regolazione della crisi (Titolo Terzo), seguiti dagli strumenti di regolazione della crisi (tra cui il concordato preventivo), disciplinati nel Titolo IV, per giungere solo nel Titolo V alle disposizioni inerenti alla liquidazione giudiziale.
Le norme aventi natura processuale trovano collocazione nell’alveo della Sezione Seconda del Titolo Terzo, dedicata al procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, ed è in quel contesto che riscontriamo già una prima differenza, in relazione al c.d. Concordato in bianco.
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Infatti, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. a) CCI, il Tribunale, se richiesto, può fissare un termine compreso tra trenta e sessanta giorni, prorogabile su istanza del debitore in presenza di giustificati motivi e in assenza di domande per l’apertura della liquidazione giudiziale, di non oltre sessanta giorni, entro il quale il debitore deposita la proposta di concordato e il piano, l’attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità del piano, nonché tutta la documentazione richiesta dall’art. 39 CCI (le scritture contabili e fiscali obbligatorie, le dichiarazioni dei redditi concernenti i tre esercizi precedenti, i bilanci degli ultimi tre esercizi, una relazione sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria, uno stato particolareggiato ed estimativo delle attività, l’elenco nominativo dei creditori, l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione, l’elenco di coloro che dovessero vantare diritti su cose in suo possesso, nonché una idonea certificazione sui debiti fiscali, contributivi e per premi assicurativi), oppure gli accordi di ristrutturazione.
Si rileva, quindi, come i termini del concordato in bianco vengano ad essere sostanzialmente dimezzati (il termine ricompreso tra i 30 e i 60 giorni, rispetto agli attuali 60-120 giorni) ferma la proroga, ma solo in assenza di domande per l’apertura della liquidazione giudiziale, di non oltre 60 giorni.
Misure premiali sono previste all’art. 25, lett. d) per l’imprenditore che abbia attivato l’OCC, ovvero che abbia proposto tempestivamente una delle procedure regolatrici della crisi o dell’insolvenza, ove si prevede che il Tribunale possa raddoppiare il termine della proroga prevista ai sensi dell’art. 44 CCI, se l’organismo di composizione della crisi non ha dato notizia di insolvenza al Pubblico Ministero.
Restano sostanzialmente confermati gli obblighi informativi periodici a carico del debitore, che potrà compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione solo previa autorizzazione del Tribunale, o del Giudice Delegato dopo il decreto di apertura della procedura (art. 46 CCI).
Resta infine salva la possibilità di sviluppare “la fase in bianco” sia in una procedura di concordato preventivo sia in un accordo di ristrutturazione del debito (art. 46, primo comma, lett. a), ultimo inciso, CCI).
Venendo agli altri temi oggetto di disamina (concordato con finalità liquidatorie, concordato in continuità, proposte concorrenti, offerte concorrenti, rapporti giuridici pendenti e maggioranze per approvazione del concordato) si deve subito porre in rilievo che il legislatore ha ritenuto di non riservare un apposito articolato al concordato in continuità, ma di disciplinare entrambe le tipologie di concordato con l’introduzione di norme aventi natura mista e con l’adozione, in dette norme, di disposizioni dedicate specificatamente al concordato con finalità liquidatorie o al concordato in continuità aziendale. Conferma di quanto appena detto si ha già dal primo comma dell’art. 84, CCI, rubricato finalità del concordato preventivo, ove si dispone che “con il concordato preventivo il debitore realizza il soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio”.
Andiamo comunque alla ricerca ed all’analisi delle norme specifiche di maggiore novità.
Il concordato in continuità
Venendo al concordato in continuità e prima di analizzare le norme bivalenti relative alle proposte concorrenti, alle offerte concorrenti e ai rapporti giuridici pendenti, si deve necessariamente porre in rilievo la portata innovativa del secondo e del terzo comma dell’art. 84 CCI.
Il legislatore distingue tra continuità diretta in capo all’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, e, nel caso, il piano deve prevedere che l’attività di impresa sia funzionale al ripristino dell’equilibrio economico finanziario nell’interesse prioritario dei creditori, oltre che dell’imprenditore e dei soci; ovvero continuità indiretta in caso sia prevista la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di un soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto, stipulato anche anteriormente purché in funzione della presentazione del ricorso, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione o a qualunque altro titolo e sia previsto dal contratto o dal titolo il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi precedenti alla presentazione del ricorso, per almeno un anno dall’omologazione.
Mutuando sempre di più dalla amministrazione straordinaria, il mantenimento dei livelli occupazionali, nel concordato con continuità indiretta, viene elevata a presupposto di attivazione della procedura, con una soglia importante di salvaguardia, probabilmente anche al fine di evitare l’aggiramento delle disposizioni sull’obbligo di apporto di risorse esterne previsto nei concordati con finalità liquidatorie, a mezzo della presentazione di proposte di concordato in continuità ove la prosecuzione dell’attività venisse ad essere eccessivamente ridotta o relegata a piccoli rami d’azienda, con una importante e conseguente compressione della forza lavoro.
Il terzo comma dell’art. 84 CCI, sulla scorta anche di un orientamento giurisprudenziale già formatosi, precisa poi, sia per i concordati in continuità diretta sia per quelli in continuità indiretta, che i creditori debbano essere soddisfatti, in misura prevalente, dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale, ivi compresa la cessione del magazzino.
Il legislatore introduce poi una ulteriore norma di salvaguardia dei livelli occupazionali, prevedendo che la prevalenza si consideri sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da una attività d’impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi precedenti il deposito del ricorso.
Quindi presupposto per attivare il concordato con continuazione indiretta è che il contratto o il titolo di trasferimento dell’azienda in capo ad un terzo soggetto preveda la salvaguardia di non meno del 50% della forza lavoro per almeno un anno dall’omologa, mentre, per entrambe le forme di concordato in continuità, diretta ed indiretta, ai fini della prova sulla prevalenza, si prevede che questa sia sempre sussistente, quando ai sensi del piano, i flussi di cassa prodotti dall’impresa per almeno due anni, siano generati con il contributo di almeno il 50% della forza lavoro.
Sembra quindi ammissibile una proposta di concordato in continuità diretta che stia al di sotto delle clausole di salvaguardia dei livelli occupazionali (il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso), ferma la necessità di provare, nel caso, la prevalenza dei ricavi prodotti dalla continuazione dell’attività d’impresa.
Nonostante queste interessanti novità in ordine alla salvaguardia dei livelli occupazionali, è opportuno precisare però che il concordato preventivo, anche quello in continuità, è comunque finalizzato al miglior soddisfacimento dei creditori. La prosecuzione dell’attività d’impresa deve comunque risultare vantaggiosa per il ceto creditorio, rispetto alle altre soluzioni concretamente praticabili (concordato liquidatorio o liquidazione giudiziale), e deve quindi integrare uno strumento comunque volto a garantire la migliore soddisfazione dei creditori.
Conferma di ciò si riscontra nel testo normativo di cui all’art. 87 CCI, ove si prevede che il piano, in caso di continuità aziendale, debba indicare le ragioni per le quali la continuità aziendale sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, profilo, questo, che deve essere confermato, ai sensi del comma 3 dell’art. 87 CCI, anche dall’asseveratore del piano di concordato.
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