(Riferimento normativo: C.p.p., art. 616)
Il fatto
Il Tribunale di Latina applicava all’imputato, ex art. 444 c.p.p., la pena di mesi 5 di reclusione ed Euro 400 di multa in ordine ai reati di truffa e sostituzione di persona allo stesso contestati.
La predetta pronuncia emessa nei confronti di imputato dichiarato contumace, inoltre, gli veniva notificata ex art. 161 c.p.p..
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo con unico motivo l’intervenuta prescrizione dei reati commessi nel lontano ottobre 2003 ed oggetto della sentenza di patteggiamento che risultava essere stata notificata all’imputato contumace soltanto nell’agosto del 2019.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
L’unico motivo veniva stimato manifestamente infondato ed il ricorso veniva, pertanto, dichiarato inammissibile.
Invero, secondo l’orientamento delle Sezioni Unite, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto unicamente per far valere la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata e prima della sua presentazione, privo di qualsiasi doglianza relativa alla medesima, in quanto viola il criterio della specificità dei motivi enunciato nell’art. 581 c.p.p., lett. c), ed esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a norma dell’art. 606 medesimo codice; ed in motivazione, si è chiarito che nella specie si è in presenza di un ricorso soltanto apparente e, pertanto, inidoneo a instaurare il rapporto di impugnazione (Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001) dal momento che l’inammissibilità del ricorso per cassazione, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (Sez. U, Sentenza n. 32 del 22/11/2000) e, poiché, nel caso in esame, non era stato neppure dedotto alcun vizio della sentenza impugnata essendosi limitato il ricorso a lamentare l’intervenuta prescrizione dei reati maturata dopo l’emissione della pronuncia, ad avviso del Supremo Consesso, l’assenza di qualsiasi doglianza proposta precludeva anch’essa la formazione del rapporto processuale e la possibilità di dichiarare l’estinzione dei reati.
In conclusione, l’impugnazione veniva considerata, come visto poco prima, inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3 e, alla relativa declaratoria, conseguiva, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Pur tuttavia, il Suprema Consesso non riteneva di doverne fare seguire, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, anche la condanna al pagamento di una somma a favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 c.p.p., comma 1, e ciò perché risultava essere assente ogni profilo di colpa nella predisposizione dell’atto di impugnazione facendosi a tal proposito presente come il particolare rilievo di profili colposi nella predisposizione del ricorso per cassazione quale fondamento della condanna alla Cassa delle Ammende risulta affermata in altri casi analoghi; in particolare, invero, si è stabilito che nell’ipotesi di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse a discuterlo per una causa non imputabile al ricorrente (nel caso di specie il provvedimento impugnato era stato nel frattempo revocato), quest’ultimo, anche successivamente alla modifica dell’art. 616 c.p.p., operata dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 64, può essere condannato solo al pagamento delle spese processuali e non anche al versamento in favore della Cassa per le ammende (Sez. 5, n. 23636 del 21/03/2018; Sez. 5, n. 39521 del 04/07/2018) tenuto conto altresì del fatto che tale principio risultava essere stato ribadito anche nel caso di rinuncia essendosi stabilito che la rinuncia all’impugnazione fondata sulla emersione di nuovi elementi di fatto, non conosciuti all’atto della proposizione del ricorso e tali da comportare una diversa valutazione dell’interesse ad impugnare da parte del ricorrente, costituisce una opzione riconosciuta dall’ordinamento giuridico ed è estranea a profili di colpa, non è, pertanto, idonea a fondare la pronuncia di condanna al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della sanzione prevista dall’art. 616 c.p.p. (Sez. 5, n. 9831 del 15/12/2015).
Veniva, pertanto, affermato che il fondamento della condanna al pagamento della somma in favore della Cassa delle Ammende è sempre connesso ad un profilo di colpa nella proposizione del ricorso essendosi in tal senso pronunciata la Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 13 giugno 2000, con cui è stato dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 615 c.p.p. nella parte in cui non prevede che la Corte di cassazione, in caso inammissibilità del ricorso, possa non pronunciare la condanna in favore della Cassa delle ammende, a carico della parte privata che abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità. Oltre a ciò, veniva altresì notato che la citata pronuncia non poteva considerarsi superata dalla modifica dell’art. 616 c.p.p., comma 1, ad opera della L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1 comma 64, perché tale novum riguarda la sola facoltà, concessa alla Cassazione, in vista della ragione di inammissibilità del ricorso, di aumentare fino al triplo la somma da versare alla Cassa delle ammende restando così impregiudicata la possibilità di non irrogare la sanzione in caso di inammissibilità del ricorso per causa non imputabile al ricorrente ritenendosi tra l’altro questa opzione interpretativa l’unica atta a garantire un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma.
L’applicazione dei sopra esposti principi nel caso in esame induceva dunque i giudici di piazza Cavour ad escludere la condanna alla Cassa delle Ammende non sussistendo, a loro avviso, rilevanti profili di colpa nella proposizione del ricorso che, pur avverso sentenza di patteggiamento, risultava essere stato causato dalla più che tardiva notificazione della sentenza di all’imputato contumace avvenuta a 12 anni di distanza dalla pronuncia del Tribunale monocratico di Latina.
Conclusioni
La decisione in oggetto è assai interessante in quanto in essa si chiarisce in quali casi, sebbene il ricorso per Cassazione venga dichiarato inammissibile, il ricorrente non deve essere condannato al pagamento a favore della cassa delle ammende secondo quanto previsto dall’art. 616, c. 1, secondo capoverso, c.p.p. (“Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la parte privata è inoltre condannata con lo stesso provvedimento al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da euro 258 a euro 2.065, che può essere aumentata fino al triplo, tenuto conto della causa di inammissibilità del ricorso”).
Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, è affermato come non si verifichi tale condanna nell’ipotesi di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse a discuterlo per una causa non imputabile al ricorrente ovvero qualora la rinuncia all’impugnazione sia fondata sulla emersione di nuovi elementi di fatto, non conosciuti all’atto della proposizione del ricorso, e tali da comportare una diversa valutazione dell’interesse ad impugnare da parte del ricorrente.
E’ dunque consigliabile per la difesa citare tale pronuncia, oltre a quelle ivi richiamate, ove si verifichi una di tali situazione, al fine di evitare che il proprio assistito venga condannato a pagare questa somma di denaro.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta ordinanza, proprio perché fa chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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