Il fatto
Il Tribunale di sorveglianza di Genova rigettava l’istanza proposta da un detenuto, condannato in espiazione pena avente ad oggetto il rinvio facoltativo della pena ai sensi dell’art. 147 cod. pen. anche nelle forme della detenzione domiciliare ex art. 47– ter, comma 1 ter, ord. pen. per gravi motivi di salute.
Secondo il Tribunale, premesso che l’istante era stato ammesso in precedenza alla detenzione domiciliare, alla quale si era volontariamente sottratto rendendosi irreperibile per quasi due anni, e che altro provvedimento aveva respinto analoga richiesta, le relazioni sanitarie acquisite descrivevano le sue condizioni di salute, gli accertamenti svolti, l’assenza di patologie organiche significative, la presenza di disturbo da conversione con sintomi visivi e disturbo da uso di cocaina, oltre che da disturbo dell’adattamento con alterazione dell’emotività e della condotta, causa di un quadro clinico stazionario, si concludeva per la compatibilità delle condizioni di salute con la detenzione.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso l’indicata ordinanza proponeva ricorso per Cassazione l’interessato a mezzo dei difensori i quali ne avevano chiesto l’annullamento per: a) vizio di motivazione in quanto l’incompatibilità delle condizioni di salute del ricorrente era attestata dalla documentazione e dagli esami clinici praticati dai sanitari della Casa Circondariale di G. M. e dell’Ospedale civile di S. Martino nonché dalla consulenza di un medico che, nel febbraio 2019, all’esito di nuova visita, aveva evidenziato l’aggravamento delle patologie da cui era affetto il ricorrente e ribadito il giudizio di incompatibilità assoluta con il regime detentivo tenuto conto altresì del fatto di come non fosse stata considerata la condizione di cecità, che privandolo di autosufficienza, gli impediva di partecipare a qualsivoglia attività risocializzante e finisca per rendere la vita carceraria impossibile e che le stesse relazioni sanitarie redatte dal personale penitenziario, trascurate dal Tribunale di sorveglianza, davano atto di una situazione di non rispondenza alle cure che avrebbe richiesto l’affidamento dell’incarico ad un perito; inoltre, nessuna considerazione era stata svolta sui frequenti attacchi di panico, che avevano colto il ricorrente, riscontrati e diagnosticati da personale medico; b) inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 47-ter, c. 1-ter ord. pen. e 147 cod. pen. in conseguenza della accertata gravità e criticità delle condizioni di salute del ricorrente tenuto conto che la giurisprudenza di legittimità aveva da tempo riconosciuto che il diritto alla salute va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza quando la detenzione in presenza di gravi patologie rendano il detenuto soggetto ad alto grado di rischio e costretto ad un progressivo peggioramento in contrasto col senso di umanità così come la Corte Europea dei Diritti dell’uomo, in riferimento all’art. 3 CEDU, aveva parimenti affermato principi analoghi; per di più, in relazione alla necessità di valutare la pericolosità del ricorrente, da riscontrarsi all’attualità, il relativo giudizio, ad avviso della difesa, non avrebbe potuto basarsi esclusivamente sul passato dovendo tenere conto di ulteriori fattori incidenti, come la carcerazione sofferta ed il repentino ed inesorabile peggioramento delle condizioni di salute, che avevano eliminato o attenuato la pericolosità ed escluso ogni possibilità di fuga dal domicilio nel caso in cui egli fosse eventualmente ammesso alla detenzione domiciliare.
La richiesta formulata dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione
Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione chiedeva il rigetto del ricorso.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva ritenuto infondato per le seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto come il Tribunale di sorveglianza, oltre ad avere integralmente richiamato il precedente provvedimento reiettivo di analoga istanza, proposta nell’interesse del ricorrente, avesse dato atto che nella relazione sanitaria del novembre 2018, riguardante l’osservazione psichiatrica del ricorrente, era stata delineata la sua situazione sanitaria ritenuta dal medesimo Tribunale compatibile con la detenzione carceraria.
Interrogatosi sull’eventuale emersione di un quadro morboso di incrementata gravità ed afflittività rispetto al precedente giudizio, il collegio di merito, sulla scorta di più recente relazione sull’osservazione psichiatrica del M. del settembre 2019, aveva evidenziato come egli fosse affetto da “disturbo di conversione con sintomi visivi, in conmorbidità con disturbo da uso di stimolanti cocaina (in remissione protratta, in ambiente controllato) e disturbo dell’adattamento, con alterazione mista dell’emotività e della condotta” e che, secondo i sanitari, presentasse un quadro clinico stazionario rispetto alle precedenti osservazioni caratterizzato da deflessione del tono dell’umore con fluttuazione dei livelli di ansia e non peggiorato a seguito del trasferimento in sezione ordinaria, da lui richiesto nonchè da deficit visivo associato ad una sindrome vertiginosa che menomava la sua autonomia negli spostamenti intramurari e nella esecuzione dei comuni atti quotidiani tanto da doversi servire di carrozzina.
Infine, veniva rilevato come egli fosse sottoposto a controlli clinici periodici i cui parametri erano risultati sempre nella norma ed a colloqui cadenzati di monitoraggio psichiatrico e di supporto psicologico.
Ciò posto, il Tribunale aveva quindi approfondito la disamina della condizione attuale del ricorrente in relazione alle deduzioni difensive e aveva preso in considerazione la persistenza del disturbo di conversione, caratterizzato da depressione di tipo esistenziale, insofferenza per le frustrazioni, acuita dal grave deficit visivo e dalla necessità di dipendere dagli altri nel compimento degli atti della vita quotidiana, da “rifiuto” della realtà carceraria e da atteggiamenti disfunzionali nelle relazioni sociali che però aveva stimato non assumere rilievo di patologie psichiatriche e gravità tale da giustificare il rinvio obbligatorio o facoltativo della pena, previsto dagli articoli 146 e 147 cod. pen., per incompatibilità con il regime carcerario o per disumanità delle condizioni detentive, anche a ragione dei trattamenti psicofarmacologici di sostegno e dei colloqui psicologici assicurati al detenuto in ambiente carcerario e della non praticabilità di rimedi diversi e più efficaci in struttura psichiatrica privata, né, a conclusioni diverse, si riteneva di potere pervenire in considerazione del problema visivo, che non comportava la totale compromissione del visus e quindi non pregiudicava la permanenza in ambito penitenziario, come già riconosciuto in situazioni analoghe dalla giurisprudenza di legittimità.
Diversamente da quanto evidenziato in ricorso, per la Suprema Corte, la richiamata motivazione non era carente o manifestamente illogica, né tralasciava le acquisizioni di natura sanitaria, ma analizzava i dati conoscitivi disponibili in modo pertinente e congruamente argomentato esprimendo un giudizio di compatibilità tra quadro morboso e detenzione che resiste alle censure articolate in ricorso posto che la difesa, pur sostenendo l’omessa considerazione della documentazione e dagli esami clinici, praticati dai sanitari della struttura penitenziaria e di quella ospedaliera e della consulenza tecnica di parte del febbraio 2019, che avrebbero dovuto attestare l’aggravamento delle patologie da cui era affetto il ricorrente e l’impossibile adesione a qualsiasi attività trattamentale, si limitava ad un richiamo generico di tali risultanze, non illustrate nei loro contenuti, e non spiegava in quali termini la dedotta ingravescenza delle malattie diagnosticate fosse stata ignorata o sottostimata dai giudici di merito, né, ancora, i predetti dati informativi – non trascritti in ricorso, né presenti in una produzione documentale ad esso allegata – erano stati messi a disposizione della Cassazione per poterne apprezzare il rilievo e l’effettiva idoneità a superare le considerazioni esposte nell’ordinanza in esame risultando la deduzione compromessa nella sua ammissibilità, da un lato dalla generica formulazione, dall’altro dal difetto di autosufficienza, sicchè la prospettazione difensiva si risolveva, a detta del Supremo Consesso, in un immotivato dissenso rispetto alla valutazione espressa nel provvedimento impugnato e non nella rituale deduzione di vizi rilevabili nel giudizio di cassazione.
Da ciò se ne faceva derivare l’impossibilità, per i limiti dell’intervento cognitivo del giudice di legittimità, cui non compete la ricerca e la valutazione diretta dei dati probatori, di riscontrare la presenza nel ricorrente di condizioni di salute diverse e di maggiore gravità rispetto a quelle ritenute dal Tribunale di sorveglianza che aveva già dato atto anche della perdita di autonomia personale del ricorrente nei movimenti e nel compimento delle attività quotidiane a causa del deficit visivo non tradottosi però nella totale cecità condizione che non determina di per sé l’incompatibilità con la carcerazione e che viene in parte superata con l’utilizzo di carrozzina per gli spostamenti.
Per contro, la pretesa insensibilità del ricorrente per l’impraticabilità dell’opera rieducativa mediante l’attività trattamentale, per la Corte di legittimità, era stato oggetto di deduzione che non riceveva nessun riscontro dimostrativo così come non erano state esplicitate le ragioni che avrebbero imposto di fare ricorso ad una perizia e nemmeno era dato comprendere di quali trattamenti terapeutici o diagnostici, diversi da quelli praticati in ambiente carcerario, il ricorrente avrebbe potuto avvalersi -se trasferito in struttura sanitaria privata – poiché tale profilo della vicenda all’esame non era stato oggetto di specificazione da parte della difesa.
Infine, sempre il Supremo Consesso, meritava considerazione positiva anche il fatto come il Tribunale di sorveglianza, preso atto delle doglianze del detenuto, avesse disposto l’invio del provvedimento al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per ottenere assicurazioni circa l’approntamento di cure adeguate alla sua situazione mediante l’istituto di cui all’art. 11 ord. pen..
A fronte di ciò, si faceva presente che lo stato di salute, incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica o la applicazione della detenzione domiciliare, non è ravvisabile soltanto a fronte di patologia implicante un pericolo per la vita, ma include ogni stato morboso o scadimento fisico di tale gravità ed impatto sul soggetto che ne è affetto da determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità, valore insopprimibile da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria e che richiede, nella valutazione conclusiva, la considerazione congiunta dell’esigenza di non ledere il fondamentale diritto alla salute e del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, come riconosciuti dagli artt. 32 e 27 Cost. (sez. 1, n. 3262 del 01/12/2015; sez. 1, n. 16681 del 24/01/2011; sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009) fermo restando che la valutazione relativa alla compatibilità tra regime detentivo carcerario e condizioni di salute del recluso, ovvero la verifica della possibilità del mantenimento o meno dello stato di detenzione carceraria di persona gravemente debilitata e/o ammalata deve essere condotta attraverso la disamina comparativa della situazione patologica e delle modalità di esecuzione della pena detentiva in ambiente carcerario ed implica un giudizio, da un lato di astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici accessibili per il detenuto in dipendenza del regime impostogli, dall’altro dell’effettiva somministrazione delle cure praticabili e della loro concreta adeguatezza tenuto conto altresì del fatto che nel procedere alla necessaria ed ineludibile verifica della sussistenza, o meno, della pericolosità del condannato e, secondo l’esito, all’eventuale valutazione comparativa fra quegli elementi, il giudice, quando è chiamato a decidere sul differimento dell’esecuzione della pena o, in subordine, sull’applicazione della detenzione domiciliare per motivi di salute, deve effettuare un bilanciamento tra le istanze sociali di tutela della collettività a fronte della pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest’ultimo, includendo anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico (sez. 1, n. 37062 del 09/04/2018; sez. 1, n. 53166 del 17/10/2018; sez. 1, n. 36322 del 30/6/2015).
Enucleati tali criteri ermeneutici, i giudici di piazza Cavour ritenevano come la motivazione dell’ordinanza in esame non fosse censurabile nemmeno in riferimento alla considerazione della pericolosità sociale del ricorrente posto che il Tribunale di sorveglianza aveva osservato che, nel giudizio di bilanciamento tra la tutela della salute del condannato e le esigenze di protezione della collettività, conserva validità quanto già osservato nel proprio precedente provvedimento secondo il quale, se da un lato l’ammissione a misura extramuraria aveva favorito la dismissione di comportamenti autolesivi, mai ripresentatisi in costanza dell’attuale detenzione, e determinato un miglioramento del suo equilibrio psichico, dall’altro, ne aveva riacutizzato le spinte criminose, il deficit di autocontrollo e la incapacità e/o la mancanza di volontà di rispettare le regole impostegli, tanto da essersi il ricorrente reso a lungo latitante il che, ad avviso della Suprema Corte, rendeva logica e perfettamente giustificata la prognosi negativa circa il rispetto delle prescrizioni limitative e la possibilità i recidiva.
Conclusioni
La decisione in oggetto è assai interessante nella parte in cui chiarisce come e in che termini lo stato di salute possa determinare il differimento della pena.
Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, viene fatto presente che: a) lo stato di salute, incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica o la applicazione della detenzione domiciliare, non è ravvisabile soltanto a fronte di patologia implicante un pericolo per la vita, ma include ogni stato morboso o scadimento fisico di tale gravità ed impatto sul soggetto che ne è affetto da determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità, valore insopprimibile da rispettarsi pure nella condizione di restrizione carceraria e che richiede, nella valutazione conclusiva, la considerazione congiunta dell’esigenza di non ledere il fondamentale diritto alla salute e del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, come riconosciuti dagli artt. 32 e 27 Cost.; b) la valutazione relativa alla compatibilità tra regime detentivo carcerario e condizioni di salute del recluso, ovvero la verifica della possibilità del mantenimento o meno dello stato di detenzione carceraria di persona gravemente debilitata e/o ammalata deve essere condotta attraverso la disamina comparativa della situazione patologica e delle modalità di esecuzione della pena detentiva in ambiente carcerario ed implica un giudizio, da un lato di astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici accessibili per il detenuto in dipendenza del regime impostogli, dall’altro dell’effettiva somministrazione delle cure praticabili e della loro concreta adeguatezza; c) nel procedere alla necessaria ed ineludibile verifica della sussistenza, o meno, della pericolosità del condannato e, secondo l’esito, all’eventuale valutazione comparativa fra quegli elementi, il giudice, quando è chiamato a decidere sul differimento dell’esecuzione della pena o, in subordine, sull’applicazione della detenzione domiciliare per motivi di salute, deve effettuare un bilanciamento tra le istanze sociali di tutela della collettività a fronte della pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest’ultimo, includendo anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico.
Tale sentenza, dunque, deve essere presa nella dovuta considerazione laddove si avanzi una richiesta di differimento della pena in tale ipotesi nonché lo stesso deve fare il giudice deputato a verificare la sussistenza delle condizioni di legge perché una istanza di questo genere possa essere accolta.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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