In presenza di una previsione che, sul piano strettamente letterale, escludeva dalle previste deroghe la sola “disciplina statale”, la giurisprudenza si era orientata nel senso di estendere tale preclusione alla normativa urbanistica locale, assetto che il legislatore regionale ha in via interpretativa superato con l’impugnata disposizione.
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Il regime delle distanze tra costruzioni come limite al diritto di proprietà
Il regime delle distanze tra le costruzioni è un limite pubblicistico al diritto di proprietà del privato, tale limite è volto ad evitare l’esistenza di intercapedini dannose.
Il diritto di proprietà trova il suo fondamento all’articolo 42 della Costituzione e viene disciplinato nel libro terzo del codice civile.
L’articolo 832 c.c. definisce il diritto di proprietà come “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”.
Dalla stessa definizione, pertanto, si evince che il diritto di proprietà è soggetto a limiti. Tali limiti sono posti nell’interesse pubblico.
La disciplina delle distanze tra costruzioni
L’articolo 873 del codice civile prevede un limite al diritto di proprietà, affermando che “le costruzioni su fondi finitimi, se non unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non inferiore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”.
I regolamenti locali hanno pertanto carattere integrativo della norma primaria.
Il d.P.R. 6 giugno, n.380 ha previsto che “i comuni, nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa […] disciplinano l’attività edilizia”.
I regolamenti edilizi devono contenere la disciplina delle modalità costruttive, con riferimento al rispetto delle normative tecnico-estetico, igienico- sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze.
Dottrina e giurisprudenza si sono interrogate circa la natura della disciplina delle distanze, in particolare, se tale normativa abbia carattere dispositivo o no.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, la norma fissata nell’art.873 c.c. ha natura dispositiva ma può essere derogata dalle parti mediante convenzioni private. Tali disposizioni possono essere derogate dalle parti attraverso convenzioni private tendenti alla costituzione di una servitù.
Il principio di prevenzione
Com’è noto ai sensi dell’art. 873 c.c. tra le costruzioni deve essere mantenuta una distanza minima di tre metri su fondi anche non contigui. Tale disciplina ha lo scopo di evitare intercapedini dannose.
La distanza talvolta può essere superiore. Distanze maggiori sono imposte da leggi speciali (art 9 del D.M 1444/68) e dai regolamenti comunali.
Dal combinato disposto degli artt. 873, 874, 875 e 877 c.c. emerge la regola del principio di prevenzione. In particolare, nel caso in cui su due fondi contigui non esistano costruzioni al proprietario che costruisce per primo è offerta una triplice facoltà, potendo egli edificare sia rispettando una distanza dal confine pari alla metà di quella imposta dal codice, sia sul confine, sia ad una distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta.
Pertanto, il principio di prevenzione comporta che il confinante che costruisce condiziona indirettamente la scelta del vicino che voglia a sua volta costruire. A fronte alla scelta operata dal preveniente, il vicino che costruisce successivamente, nel primo caso, deve costruire anch’esso ad una distanza dal confine pari alla metà di quella prevista, in modo da rispettare il prescritto distacco legale dalla preesistente costruzione. Nel secondo caso, il prevenuto può chiedere la comunione forzosa del muro sul confine (articolo 874 c.c.) o realizzare la propria fabbrica in aderenza allo stesso (articolo 877 c.c., comma 1); ove non intenda costruire sul confine, e’ tenuto ad arretrare il suo edificio in misura pari all’intero distacco legale. Nella terza ipotesi considerata, il prevenuto può chiedere la comunione forzosa del muro e avanzare la propria fabbrica fino ad esso, occupando lo spazio intermedio, dopo avere interpellato il proprietario se preferisca estendere il muro a confine o procedere alla sua demolizione (articolo 875 c.c.); in alternativa, può costruire in aderenza (articolo 877 c.c., comma 2) o rispettando il distacco legale dalla costruzione del preveniente.
L’incidenza dei regolamenti locali
I regolamenti edilizi locali sono atti di normazione secondaria ed hanno una efficacia integrativa della norma primaria.
Il Testo Unico delle disposizioni in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n.380) ha previsto all’articolo 2 quarto comma che i Comuni nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all’art. 3 TUEL disciplinano l’attività edilizia.
È proprio tale regolamento che contiene la disciplina delle modalità costruttive con peculiare riguardo al rispetto delle normative tecniche, estetiche, igieniche, sanitarie di sicurezza e vivibilità degli immobili e pertinenze.
Rapporto tra norme di primo e secondo grado
Le Sezioni Unite sono state chiamate a comporre il contrasto registratosi nella giurisprudenza di legittimità sulla questione dell’applicabilità del principio di prevenzione nell’ipotesi in cui le disposizioni di un regolamento edilizio locale prevedano esclusivamente una distanza tra fabbricati maggiore rispetto a quella prevista dal codice, senza imporre altresì il rispetto di una distanza minima delle costruzioni dal confine.
In particolare, la Corte di Cassazione (Cass. Civ. ordinanza del 12 marzo 2015, n. 4965) ha rilevato l’opportunità di rinviare la questione alle Sezioni Unite per chiarire i rapporti tra norme primarie e secondarie.
È pacifico che il principio di prevenzione non operi quando la normativa locale impone il rispetto di una distanza inderogabile delle costruzioni dai confini.
Tuttavia, sussiste un contrasto giurisprudenziale sulla questione dell’applicabilità del principio di prevenzione nell’ipotesi in cui le disposizioni di un regolamento edilizio locale prevedano esclusivamente una distanza tra fabbricati maggiore di quella codicistica, senza imporre altresì il rispetto di una distanza minima delle costruzioni dal confine.
L’ordinanza interlocutoria ha richiamato, al riguardo, un primo indirizzo, secondo cui, nel caso in cui il regolamento edilizio determini solo la distanza minima fra le costruzioni, in assenza di qualunque indicazione circa il distacco delle stesse dal confine, il principio della prevenzione deve ritenersi operativo, non ostandovi alcun divieto di costruire in aderenza o sul confine (Cass. 20-4-2005 n. 8283). Tale orientamento si fonda sul rilievo della natura integrativa dei regolamenti edilizi con riferimento alle previsioni codicistiche in materia di distanze.
L’ordinanza interlocutoria ha rilevato l’esistenza di un diverso orientamento secondo cui qualora i regolamenti edilizi comunali stabiliscano una distanza minima assoluta tra costruzioni maggiore di quella prevista dal codice civile, detta prescrizione deve intendersi comprensiva di un implicito riferimento al confine, dal quale chi costruisce per primo deve osservare una distanza non inferiore alla metà di quella prescritta, con conseguente esclusione della possibilità di costruire sul confine e, quindi, dell’operatività del cosiddetto criterio della prevenzione (Cass. 22-2-2007 n. 4199). Le pronunce a sostegno della tesi contraria all’operatività del criterio della prevenzione fanno perno essenzialmente sul rilievo secondo cui l’assolutezza del distacco previsto dai regolamenti locali non può ripercuotersi in danno di uno solo dei confinanti, ma va equamente ripartita tra le parti interessate
L’ordinanza interlocutoria ha accennato, infine, alla posizione intermedia assunta da altra pronuncia (Cass. 16-2-1999 n. 1282), la quale, pur affermando che la prevenzione non opera ove i regolamenti edilizi comunali stabiliscano una distanza minima assoluta tra costruzioni maggiore di quella prevista dal codice civile -detta prescrizione dovendosi intendere comprensiva di un implicito riferimento al confine-, precisa che il metodo di misurazione dei distacchi – metà della distanza dal confine per ciascun proprietario- non e’ incompatibile con la previsione della facoltà di edificare sul confine ove lo spazio antistante sia libero fino alla distanza prescritta, oppure in aderenza o in appoggio a costruzioni preesistenti, con conseguente applicabilità del criterio della prevenzione.
Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite (Cass. civ., SS.UU., sentenza del 19 maggio 2016 n. 10318), le quali affermano che il principio di prevenzione si applica anche quando le disposizioni di un regolamento locale prevedano una distanza minima tra le costruzioni in misura maggiore a quella codicistica, senza prescrivere altresì una distanza minima dal confine o vietare espressamente la costruzione in appoggio o aderenza.
Se le norme regolamentari come in concreto strutturate, postulano solo l’esigenza del rispetto di una distanza minima tra fabbricati, non vi è alcun valido motivo per negare a colui che costruisca per primo la possibilità di avvalersi delle facoltà connesse al principio di prevenzione in base alla disciplina del codice. Le norme dei regolamenti edilizi che fissano le distanze tra le costruzioni in misura diversa da quelle stabilite dal codice civile, infatti, in virtu’ del rinvio contenuto nell’articolo 873 c.c., hanno portata integrativa delle disposizioni dettate in materia dal codice civile; e tale portata non si esaurisce nella sola deroga alle distanze minime previste dal codice, ma si estende all’intero impianto di regole e principi dallo stesso dettato per disciplinare la materia, compreso il meccanismo della prevenzione, che i regolamenti locali possono eventualmente escludere, prescrivendo una distanza minima delle costruzioni dal confine o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza.
Ne discende che un regolamento locale che si limiti a stabilire una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal codice civile, senza imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine, non incide sul principio della prevenzione, come disciplinato dal codice civile, e non preclude, quindi, al preveniente la possibilità di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni, ne’ al prevenuto la corrispondente facoltà di costruire in appoggio o in aderenza, in presenza dei presupposti previsti dagli articoli 874, 875 e 877 c.c..
A seguito della pronuncia a Sezioni Unite, la Corte ha chiarito che i regolamenti locali possono stabilire distanze dal confine differenziate in relazione a diverse tipologie di manufatti, fermi restando i limiti della distanza minima fra costruzioni dettati dal codice civile e dal D.M. 2 aprile 1968, n.1444. La misura di tre metri indicata nell’art. 873 c.c. riguarda la distanza tra costruzioni su fondi confinanti e non tra una costruzione ed il confine del fondo (Cass. civ., Sezione II, 30 agosto 2017, n. 20529).
Infine, la Corte si è pronunciata sulla ristrutturazione di un fabbricato, affermando che vanno rispettate le distanze fra i volumi preesistenti (Cass. civ.,ordinanza 19 gennaio 2018, n.1360).
Il concetto di costruzione
La costruzione è il punto di riferimento per calcolare la distanza minima che deve esservi tra le costruzioni, pertanto è di fondamentale importanza chiarire che cosa si intenda per costruzione.
La giurisprudenza ha dato una interpretazione ampia al termine costruzione, chiarendo che ai fini dell’applicazione della disciplina delle distanze “deve intendersi per costruzione qualsiasi opera che pur difettando di una propria individualità, abbia tuttavia i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione rispetto al suolo; la verifica della sussistenza di tali caratteristiche spetta al giudice di merito” (cfr. Cass. 12 settembre 2000, n. 12045).
Nella nozione di costruzione, rientrano sia le opere in muratura che quelle costruite con altri materiali.
Altro aspetto rilevante nel calcolo delle distanze tra costruzioni attiene alle sporgenze delle costruzioni (come per esempio balconi, ballatoi). In particolare, assume rilevanza la funzione della sporgenza e se questa fuoriesce dalla sagoma dell’edificio.
Cosa si intende per fondi finitimi?
Mediante il concetto di fondi finitimi la norma ha inteso riferirsi non solo agli edifici siti sui terreni confinanti ma anche a quelli eretti su aree vicine, seppure non contigue.
Si deve pertanto intendere anche quei fondi che hanno in comune in tutto o in parte la linea di confine, cioè quelli che sono caratterizzati da continuità fisica e materiale per contatto reciproco lungo una comune linea di demarcazione. I fondi confinanti sono quelli le cui linee di confine se fatte avanzare idealmente l’una verso l’altra vengono ad incontrarsi almeno per un segmento di esse.
Cosa si intende per costruzioni unite o aderenti?
L’osservanza delle distanze legali richiede, inoltre, che le costruzioni non siano unite o aderenti. Due costruzioni sono unite quando risultano appoggiate, ovvero quando sono intimamente integrate da un punto di vista strutturale.
L’aderenza, invece, deve mantenere l’autonomia strutturale delle due costruzioni, senza tuttavia lasciare alcuna intercapedine.
Il D.M. n.1444/1968 disciplina la distanza tra fabbricati ed edifici in termini pubblicistici al fine di evitare la formazione di intercapedini dannose
L’articolo 873 c.c. risulta integrato dall’art.9 del d.m. 1444/1968, il quale disciplina la distanza tra fabbricati ed edifici in termini pubblicistici al fine di evitare la formazione di intercapedini dannose sotto il profilo della salubrità e della sicurezza.
Si tratta di limiti inderogabili di distanza tra i fabbricati.
Tali distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:
1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.
Il rispetto delle distanze costituisce condizione di conformità degli interventi edilizi ed assume rilevanza per il rilascio dei titoli abilitativi o legittimanti l’attività edilizia.
L’incidenza dei regolamenti locali
I regolamenti edilizi locali sono atti di normazione secondaria ed hanno una efficacia integrativa della norma primaria.
Il Testo Unico delle disposizioni in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n.380) ha previsto all’articolo 2 quarto comma che i Comuni nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all’art. 3 TUEL disciplinano l’attività edilizia.
È proprio tale regolamento che contiene la disciplina delle modalità costruttive con peculiare riguardo al rispetto delle normative tecniche, estetiche, igieniche, sanitarie di sicurezza e vivibilità degli immobili e pertinenze.
Il sistema delle tutele nel caso di violazione delle distanze in edilizia
La tutela giudiziaria con riguardo alle distanze si realizza principalmente attraverso l’esperimento dell’azione di riduzione in pristino e dell’azione di risarcimento di danni.
Altri strumenti di tutela possono, tuttavia, essere considerati in tale trattazione, come l’azione negatoria, l’azione di regolamento di confini e altre tutele processuali.
In caso di violazione della normativa sulle distanze in edilizia la tutela giudiziaria si realizza principalmente attraverso l’esperimento di due azioni: l’azione di riduzione in pristino e l’azione di risarcimento di danni.
L’azione di riduzione in pristino ha natura reale e ha ad oggetto l’eliminazione di una situazione di fatto senza richiedere la necessità di dimostrare l’esistenza di un effettivo danno patrimoniale.
Tale azione può essere esperita dal proprietario del fondo antistante nei confronti del proprietario del fondo finitimo.
Avendo l’obbligo di rispettare le distanze carattere reale, viene esercitata nei confronti del proprietario anche se la violazione sia stata commessa da persona diversa. Inoltre, la violazione si protrae per tutto il perdurare della violazione.
Qualora, a seguito dell’azione di riduzione in pristino, venga disposta la demolizione, non è escluso il risarcimento del danno.
L’azione di risarcimento dei danni ha carattere personale. L’azione di riduzione in pristino ha un carattere facoltativo ed è rinunciabile, per tale motivo il privato può chiedere in luogo della demolizione il solo risarcimento danni.
La legge pone alcuni limiti al proprietario, tra i quali assume rilievo l’art.833 del codice civile, il quale prevede che “il proprietario non può fare atti i quali abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestie ad altri”.
Tale norma potrebbero porsi in collegamento con la disciplina delle distanze, in quanto potrebbe ricondursi ad una volontà emulativa.
La giurisprudenza prevalente ritiene applicabile alla materia delle distanze l’azione negatoria. Viene definita come l’azione con cui il proprietario tende a dar dichiarare l’inesistenza dei diritti affermati da altri sulla cosa o far cessare le turbative arrecate da altri su un suo diritto.
Pertanto, presupposto dell’azione negatoria è l’affermazione da parte di un terzo di un diritto reale minore sul bene o una condotta come le turbative e le molestie arrecate.
L’azione di regolamento è l’azione attraverso cui il proprietario di un fondo chiede che sia stabilito giudizialmente il confine con il fondo limitrofo.
Altra azione a tutela della proprietà è l’azione per l’apposizione dei termini di confine.
Inoltre, è possibile esperire le azioni possessorie o le azioni di nunciazione.
La recente pronuncia della Corte costituzionale sul rapporto tra le fonti in tema di governo di territorio
La Corte costituzionale, sentenza n. 119 del 23 giugno 2020, prevede che le deroghe alle distanze minime di fonte locale, consentite dalla norma regionale di interpretazione autentica oggetto di censura, attengono ad interventi di ampliamento e adeguamento di edifici già esistenti, situati in zona territoriale omogenea propria (cfr. artt. 2 e 3 della legge reg. Veneto n. 14 del 2009).
E, facendo tale distinzione, la Corte sottolinea che anche l’ordinamento statale ha differenziato il grado di cogenza delle distanze minime in base alla densità edificatoria della zona omogenea. In particolare, l’art. 5, comma 1, lettera b-bis), del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, nella legge 14 giugno 2019, n. 55, ha stabilito che “le disposizioni di cui all’articolo 9, commi secondo e terzo, del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo 9”, e quindi alle sole zone omogenee destinate a nuova edificazione («zone C»), non anche alle zone totalmente o parzialmente edificate («zone B»).
Inoltre, la Corte costituzionale, nel definire le fonti del diritto in materia di governo del territorio, afferma che la disciplina delle distanze attiene in via primaria e diretta ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi, sicché tale disciplina, per quanto concerne i rapporti suindicati, rientri nella materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato (cfr. sentenze n. 41 del 2017, n. 6 del 2013 e n. 232 del 2005).
Tuttavia, è stato anche sottolineato che, poiché i fabbricati insistono su di un territorio e tocca anche interessi pubblici, la cura e disciplina deve ritenersi affidata anche alle Regioni, perché attratta all’ambito di competenza concorrente del governo del territorio (cfr. sentenze n. 41 del 2017, n. 134 del 2014, n. 6 del 2013 e n. 232 del 2005).
Afferma la Corte costituzionale nella sentenza in commento che “nel determinare il punto di equilibrio tra la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile ex art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e la potestà legislativa concorrente della Regione in materia di governo del territorio ex art. 117, terzo comma, Cost., questa Corte ha messo in luce come alle Regioni non sia precluso fissare distanze in deroga a quelle stabilite nelle normative statali, purché la deroga sia giustificata dal perseguimento di interessi pubblici ancorati all’esigenza di omogenea conformazione dell’assetto urbanistico di una determinata zona, non potendo la deroga stessa riguardare singole costruzioni, individualmente ed isolatamente considerate” (cfr. sentenze n. 13 del 2020, n. 50 e n. 41 del 2017, n. 134 del 2014 e n. 6 del 2013).
Tale delimitazione è stata recepita dal legislatore statale, il quale, con l’introduzione dell’art. 2-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ha sancito i principi fondamentali della vincolatività, anche per le Regioni e le Province autonome, delle distanze legali stabilite dal d.m. n. 1444 del 1968 e dell’ammissibilità delle deroghe, solo a condizione che siano inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio.
Afferma la Corte costituzionale nella sentenza in commento che “Una volta riconosciuta alle Regioni la competenza concorrente in materia di governo del territorio, deve infatti escludersi che esse incontrino il limite dell’ordinamento civile tutte le volte in cui, ferma la disciplina statale delle distanze, ad essere modificate per effetto di leggi regionali siano le disposizioni dei regolamenti comunali o delle norme tecniche, la cui finalità è proprio quella di adattare la disciplina a specifiche esigenze territoriali”.
Nel caso in esame, pertanto, la Corte costituzionale, sentenza n. 119 del 23 giugno 2020, ha respinto le questioni di costituzionalità sollevate in relazione ad una norma di interpretazione autentica della legge sul c.d. “piano casa” emanata dalla Regione Veneto nel 2009, in tema di derogabilità della disciplina delle distanze fissata in sede locale.
Inoltre, la correlazione alla materia del governo del territorio, come legittima la norma regionale di deroga alle distanze nel rapporto con la competenza esclusiva statale nella materia dell’ordinamento civile, così la legittima nel rapporto con le funzioni comunali di pianificazione territoriale.
In conclusione, l’art. 64 della legge reg. Veneto n. 30 del 2016, non viola l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. riguardo all’esclusiva potestà legislativa dello Stato in materia civilistica e neppure viola gli artt. 5, 114, secondo comma, 117, sesto comma, e 118 Cost. riguardo all’autonomia regolamentare dei Comuni in materia pianificatoria.
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