Legittima per la Suprema Corte la decisione del giudice del merito che ha dapprima ridotto e successivamente escluso l’obbligo al mantenimento del figlio maggiorenne docente precario, per un tempo indeterminato.
Riferimenti normativi: articoli 315-bis, 316-bis, 337-sexies e 337-septies c.c., 115 c.p.c.
Precedenti conformi: Cass.Civ. Sez. VI, Ord. n. 5088 del 5 marzo 2018, Cass.Civ.Sez. I, Sent. n. 12952 del 22 giugno 2016; Cass.Civ. Sez. I, Sent. 20 agosto 2014 n. 18076
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I fatti
La sentenza della Corte d’Appello di Firenze del 29 marzo 2018, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Grosseto che aveva ridotto l’assegno di mantenimento in favore di una docente precaria oggi trentacinquenne da € 300,00 ad € 200,00 mensili, ha revocato con decorrenza 1° Dicembre 2015 l’assegno medesimo.
Avverso la decisione dei giudici fiorentini il soccombente propone impugnazione per i seguenti motivi:
-Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. avendo la sentenza impugnata affermato erroneamente che il figlio abbia conseguito redditi significativi- quasi € 21.000,00 annui-seppur modesti in base alla documentazione versata in atti, e per non aver tenuto conto che questi-inserito nelle graduatorie di fascia III-quale docente non abilitato compie esclusivamente supplenze occasionali, dovendo frequentare un tirocinio di circa un anno sino alla concorrenza di € 3.600,00 a titolo di tassa di iscrizione, per poter essere inserito nelle graduatorie ai fini di una cattedra di insegnante a tempo indeterminato.
-Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 147, 148, 315-bis, 316-bis, 337-sexies e 337-septies c.c. per avere la corte di merito omesso di considerare che il ricorrente ha prescelto la carriera dell’insegnamento, che conclude meri contratti a tempo determinato (supplenze) e come tale è di fatto incapace di mantenersi autonomamente.
La Corte ha rigettato il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidàte in € 200,00 per antistazioni, € 2.900,00 per compensi oltre alle spese forfetarie ed agli accessori di legge.
Le questioni affrontate
Piazza Cavour ha specificato i limiti entro i quali il figlio maggiorenne non completamente autosufficiente ha diritto al mantenimento, estendendo la propria funzione nomofilattica all’estrinsecazione del principio di autoresponsabilità e di ridimensionamento delle proprie ambizioni, affinchè l’obbligo dei genitori non si protragga sine die trasformandosi in una copertura assicurativa dalle sfumate connotazioni temporali.
I motivi della decisione ed i precedenti richiamati
I due motivi di impugnazione, entrambi attinenti ai limiti dell’obbligo al mantenimento, sono stati trattati congiuntamente e ritenuti in parte inammissibili ed in parte infondati.
L’inammissibilità in quanto i motivi intendono ripetere un giudizio o censurano asserzioni quali il reddito annuo superiore a ventimila euro, non di pertinenza della corte d’appello ma del giudice di prime cure.
I giudici supremi hanno inoltre ritenuto infondato l’assunto della ricorrente in punto di diritto, secondo cui quando il figlio maggiorenne non goda di redditi sufficienti per provvedere al proprio sostentamento, ha sempre diritto di ricevere tali mezzi dai genitori in ragione della circostanza del mancato raggiungimento della piena autosufficienza nello specifico lavoro prescelto (insegnante di musica), adeguato alle sue aspirazioni ed idoneo ad inserirlo con il dovuto prestigio, nel contesto economico e sociale.
La precettistica positiva sul dovere di mantenimento dei figli prevede in forza dell’articolo 337-septies comma 1 c.c. che ha trasposto l’abrogato articolo 155-quinquies c.c., che “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico”.
Ciò in termini generali, fuori dalla specifica condizione di un conflitto genitoriale.
La mera facoltà contenuta nella precisazione può, assurge quindi ad un tipico giudizio discrezionale rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito il quale nella determinazione sia sull’an che sul quantum sarà tenuto a valutare tutte le circostanze adattabili al singolo caso concreto.
Coerentemente al proprio compito di nomofilachia ex art. 65 ord.giud., la corte di legittimità ha quindi ela- borato negli anni alcuni parametri di riferimenti ai fini di uniformità, uguaglianza e più corretta interpretazione della norma.
In via generale la valutazione caso per caso del giudice di merito sul mantenimento dei figli maggiorenni si rinviene nella Cass.Civ. Sez. VI, ordinanza n. 5088 del 5 marzo 2018 che ha cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione, per avere omesso di considerare gli elementi presuntivi offerti dal ricorrente circa l’avvenuta iscrizione all’Albo degli avvocati del figlio nato nel 1982 e la circostanza che successivamente al conseguimento del titolo abbia continuato a frequentare lo Studio del fratello perce- pendo un peculio idoneo a garantire l’autosufficienza.
Precedentemente la Cass.Civ. Sez. I, sentenza n. 12952 del 22 giugno 2016 ha valutato in via presuntiva a
trent’anni il limite d’età a partire dal quale la mancanza di autosufficienza economica possa definirsi colposa e-in assenza di condizioni individuali specifiche (salute, peculiari condizioni personali)- indicativa di una “forte inerzia colpevole”.
Contestualmente la 12952/2016 ha individuato nella funzione educativa del mantenimento la nozione più idonea a circoscrivere la portata dell’obbligo sia in termini di contenuto sia di durata, reiterando le motiva-zioni espresse nella Cass.Civ.Sez. I, sentenza n. 18076 del 20 agosto 2014 all’interno di procedimento di separazione dei coniugi.
Nel caso specifico oggetto del contendere era la revoca, o meno, dell’assegnazione della casa coniugale unitamente ad un aumento dell’assegno di mantenimento alla prole maggiorenne.
Il ricorso della madre volto a cassare i gradi di merito – Corte d’Appello di Venezia confermante Tribunale di Belluno-che avevano disposto la revoca nonostante la convivenza con due figli ultraquarantenni non economicamente autosufficienti, venne rigettato sia in punto ‘assegnazione’ che in punto ‘mantenimento’.
La Corte ebbe cura di precisare che nel caso in cui un figlio adulto tenga una condotta caratterizzata da inerzia rifiutando più occasioni di lavoro, si sarebbe causata una patologica dilatazione temporale dell’obbligo al mantenimento tale da giustificare la sospensione dell’obbligo sul genitore gravato.
In caso contrario tratterebbesi di “abuso di diritto” estraneo alle finalità che il Legislatore si era prefissato attraverso l’istituto del mantenimento.
Se la 18076/2014 ha parametrato la reale portata del contenuto attivo dell’obbligo a mantenere, obbligo vieppiù alleggerito attraverso criteri anagrafico-temporali nella 12952/2016, la decisione oggetto di questo commento ritenuti acquisiti tanto il principio di autoresponsabilità quanto la funzione educativa e non assistenziale del contributo a maggiorenne, ha ulteriormente circoscritto l’ambito, frammentando definitivamente almeno in attesa dell’intervento delle Sezioni Unite, la ferrea correlazione tra “obbligo al mantenimento” e “mancato rinvenimento di occupazione coerente con il percorso di studi o di consegui- mento di competenze professionali o tecniche prescelte”.
Ed in tal senso ben si comprende come il riconoscimento del diritto al mantenimento oltre tali limiti finirebbe per determinare una disparità di trattamento “ingiustificata ed ingiustificabile” nei confronti dei figli coetanei che, essendosi in precedenza resi autosufficienti, abbiano successivamente perduto tale condizione.
Analisi finale delle motivazioni e riflessioni sull’arresto
La decisione in esame è profondamente entrata nei più reconditi aspetti del diritto al mantenimento dei figli maggiorenni indicando un percorso ancor più analitico e rigoroso rispetto ai precedenti specifici .
A ragione od a torto la successiva casistica dei giudici di merito e di legittimità necessariamente dovrà affrontare un precedente se non propriamente definibile ‘pilota’ quantomeno rappresentativo di un determinante spartiacque in materia tra contrapposti interessi.
Leggiamo ancora nella parte motiva che, a fronte dell’opportunità dei genitori di offrire al figlio quell’arricchimento personale derivante dall’attività di studio in quanto l’ordinamento giuridico (artt. 9, 30, 33 e 34 Cost.) tutela le esigenze formative e culturali personali ed, indirettamente, sociali, non necessariamente deve corrispondere il diritto al mantenimento oltre un lasso di tempo sufficiente dopo il conseguimento del titolo di studio – diploma superiore, laurea ‘breve’,. laurea quinquennale.
Si potrebbe obiettare che l’ordinanza 17183 sembra non tener conto che l’odierna realtà occupazionale richiede per il concreto inserimento la frequenza a corsi, a masters, la conoscenza di lingue straniere anche particolari che il contesto accademico non fornisce, ma l’ampia discrezionalità della magistratura potrà supplire caso per caso a questo ‘peccato veniale’ omissivo.
Di estrema chiarezza tuttavia che il figlio deve attivarsi in qualunque direzione sia necessario anche discostandosi dalle proprie ambizioni o formazione, sotto pena della cristallizzazione in un limbo adolescenziale tale da costituire un simulacro di polizza assicurativa del tutto inidonea a tagliare un cordone ombelicale economico-contributivo dal quale i principali ordinamenti europei hanno preso da tempo le distanze.
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