di Mattia Polizzi*
* Dottorando di ricerca presso l’Università degli Studi dell’Insubria
Sommario
Introduzione
Il dettato costituzionale ed il principio di unità della giurisdizione
La “costituzionalizzazione imperfetta” del principio di unità della giurisdizione
Le (principali) posizioni dottrinali sul tema…
(Segue) … e la posizione della Consulta
Riflessioni conclusive
Con l’ordinanza interlocutoria del 30 gennaio 2019[1], la Prima sezione civile della Suprema Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai fini della questione, oggetto di contrasto, se il rapporto tra le sezioni ordinarie e la sezione specializzata per l’impresa del medesimo ufficio giudiziario si configuri come una questione di competenza in senso tecnico, o, invece, di mera ripartizione interna degli affari.
Si tratta, come noto, di una questione di indubbia attualità e dai risvolti operativi p>ab origine, come giudice ordinario: diversamente, ossia nel caso in cui siano ravvisabili gli estremi di un organo giudiziario speciale (nel senso indicato dal dettato costituzionale), ogni ulteriore discussione perderebbe di significato, trattandosi di un struttura giudiziaria vietata da un principio fondamentale del nostro ordinamento.
È chiaro allora che il divieto di istituzione di giudici speciali certo rappresenta un dato di fondo dell’ordinamento processuale italiano, un prius logico ad ogni ulteriore valutazione: al contempo, si tratta di un principio non privo (sin dalla sua costituzionalizzazione) di vibranti profili di criticità e denso di rilievi operativi anche nella contemporaneità delle vicende processuali nostrane. Le prossime righe si propongono dunque l’obiettivo di illustrare i tratti salienti del dettato costituzionale e normativo in subiecta materia.
[1] Cass. Civ., Sez. I, 30 gennaio 2019, n. 2723, in questa Rivista, 4 marzo 2019, con nota di Ferrari, Alle sezioni unite l’ultima parola sulla qualificazione delle sezioni specializzate in materia di impresa.
Ciò premesso, il tema della magistratura e della giurisdizione trovano la propria disciplina costituzionale, come noto, all’interno del Titolo IV della Parte II della Costituzione, rubricato “la magistratura” e a sua volta distinto in due sezioni: la prima, contenente le norme in merito all’“ordinamento giurisdizionale” e la seconda recante “norme sulla giurisdizione”.
Al riguardo, risulta di certo interesse il già menzionato art. 102 Cost., in forza del quale “la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”; in particolare, è necessario soffermarsi, per i fini che qui interessano, sul secondo allinea della disposizione citata, il quale prevede che “non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura”. In tema, peraltro, è possibile richiamare anche l’art. 1 c.p.c., a norma del quale “la giurisdizione, salvo speciali disposizioni di legge, è esercitata dai giudici ordinari secondo le norme del presente codice”.
Tralasciando, nell’economia della presente trattazione, il tema del giudice straordinario, può qui osservarsi che la Costituzione pone un espresso divieto di istituire giudici speciali. Con tale termine si intendono quegli “organi competenti a giudicare esclusivamente controversie che sorgano in determinate ‘materie’”. Il divieto de quo trova la propria ratio, secondo la migliore dottrina, in una duplice esigenza: quella di “garantire un’applicazione uniforme della legge e della funzione giudiziaria” e quella di tutelare “l’indipendenza stessa della magistratura”[2].
Nell’istituzione del divieto di cui al secondo comma dell’art. 102 Cost. viene individuata, sul piano storico-politico, la risposta all’esperienza precedente (sia quella ottocentesca post-unitaria sia quella autoritaria fascista), che aveva abusato della figura dei giudici speciali[3]. Il sistema costituzionale vigente, per converso, sembrerebbe ispirato al principio della unità (o unicità) della giurisdizione[4]. Il condizionale, tuttavia, è d’obbligo. Difatti, come sarà possibile osservare più compiutamente a breve, nonostante la portata letterale della norma costituzionale appaia di piana evidenza, il sistema concreto risulta decisamente più sfaccettato, tanto che autorevole dottrina ha parlato, con riferimento al principio di unità della giurisdizione di un “proposito […] rimasto incompiuto“[5] ovvero di una sua “costituzionalizzazione imperfetta”[6]. Per comprendere appieno questa criticità ci si muoverà prima sul piano storico, con precipuo riferimento all’attività dell’Assemblea costituente, per poi analizzare il profilo de iure condito.
[2] Zanon, Biondi, Il sistema costituzionale della magistratura, 2014, Bologna, pag. 13.
[3] Luiso, Diritto processuale civile, I, 2013, Milano, pagg. 40-41; Senese, voce Giudice (nozione e diritto costituzionale), in Dig. pubbl., VII, 1991, Torino, pag. 218, il quale sottolinea che “negli anni successivi alla prima guerra mondiale, tali giurisdizioni speciali superavano il numero di 300”.
[4] Si v., ex pluris, Liebman, Manuale di diritto processuale. Principi (a cura di Colesanti, Merlin), 2012, Milano, pagg. 10 e ss.; Poggi, Art. 102, in Bifulco, Celotto, Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, III, 2006, Torino, 1972 ss.; Zanon, Biondi, op. loc. ult. cit. Contra Spagna Musso, voce Giudice I – Nozione e profili costituzionali, in Enc. dir., XVIII, 1969, Milano, pag. 942, secondo cui “la Costituzione italiana ad un sistema giudiziario ispirato al principio della «unità della giurisdizione» cioè del concentramento di tutte le attribuzioni giurisdizionali in un solo ordine giurisdizionale, ha preferito l’adozione di un sistema ispirato all’opposto principio della «pluralità delle giurisdizioni»”: secondo tale Autore nel nostro ordinamento costituzionale è riscontrabile una essenziale tripartizione della giurisdizione, da distinguersi in costituzionale, ordinaria e speciale (quest’ultima a sua volta costituita da varie sottocategorie, quali quella amministrativa, quella contabile e quella militare).
[5] Liebman, op. loc. ult. cit.
[6] Poggi, op. cit., 1971. Si v. anche Pizzorusso, Art. 102, in Branca, Pizzorusso (a cura di), Commentario della Costituzione – Gli organi ausiliari, I, 1994, Bologna, pagg. 208 e ss.
Sotto il primo angolo visuale, l’artefice primo del dibattito fu Piero Calamandrei, il quale presentò un progetto di sistema giurisdizionale “tutto avviluppato intorno alla Magistratura ordinaria, in un disegno che, senza soluzione di continuità, si snodava armonicamente attraverso passaggi chiave quali la statualità della giurisdizione, la sua unicità, il suo autogoverno”[7]: detta centralità postulava la creazione di un unico apparato di giudici, dotati del medesimo status e garantiti, quanto alla propria indipendenza esterna, da un apposito organo di autogoverno. Il progetto in parola non passò indenne dalla successiva fase dibattimentale, né nella Commissione preposta né nell’Assemblea costituente. Con riferimento alla prima Sede venne, difatti, rifiutato il presupposto teorico dell’unicità intesa come permanenza nel nuovo sistema della sola magistratura ordinaria che avrebbe implicato naturaliter la scomparsa della giurisdizione del Consiglio di Stato e di quella della Corte dei conti. Nel corso dei lavori vennero proposte due diverse alternative, per così dire mediane. Il progetto elaborato da Gennaro Patricolo sosteneva sì l’unicità della giurisdizione, ma solo pro futuro, con espressa salvezza delle giurisdizioni speciali già esistenti. Il progetto ideato da Giovanni Leone, invece, era maggiormente articolato e muoveva nel senso della abolizione di tutte le giurisdizioni speciali, escluse solo quelle del Consiglio di Stato e della Corte dei conti: ciò in ragione delle perplessità in merito ad un sistema in cui la Pubblica Amministrazione fosse sottoposta alla giurisdizione ordinaria. Come sottolineato da parte della dottrina, nel dibattito dinanzi all’Assemblea furono di peso una serie di elementi di natura più politica che tecnica in quanto “l’ostilità alle giurisdizioni speciali venne motivata sostanzialmente sulla carenza di indipendenza dei giudici, sul loro eccessivo sviluppo quantitativo e sull’uso strumentale che di alcune aveva effettuato il Regime [fascista]”[8].
Il risultato finale di tale dibattito rappresenta, come autorevolmente affermato, una soluzione di compromesso[9]. Da un lato, difatti, vi è il divieto di istituzione di (nuovi) giudici speciali di cui al citato art. 102, co. 2, Cost. Dall’altro, tuttavia, la Carta fondamentale non solo menziona espressamente alcune categorie di giudici speciali (peraltro alla stessa preesistenti), ma li disciplina con apposite previsioni. Al riguardo pare sufficiente ricordare quanto disposto dall’art. 103 Cost. che, come noto, al primo comma afferma che il Consiglio di Stato e gli altri organi della giustizia amministrativa “hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi” (c.d. giurisdizione esclusiva); al secondo, con riferimento alla giurisdizione contabile, dispone che la Corte dei conti “ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”; al terzo, con riguardo alla giurisdizione militare, afferma che “i tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempi di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate”[10]. Peraltro, tale elenco non viene considerato tassativa, sicché ai giudici speciali cc.dd. nominati se ne affiancano altri cc.dd. innominati[11]. In tal senso milita anche il dettato costituzionale che, all’art. VI disp. trans. fin. Cost. dispone che “entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari. Entro un anno dalla stessa data si provvede con legge al riordinamento del Tribunale supremo militare in relazione all’articolo 111”[12]. A ciò si aggiunga la lettura data a tale articolo da parte della Corte costituzionale: ci si riferisce, tra le altre, alla sent. 41/1957, resa con riferimento alle Commissioni distrettuali delle imposte dirette ed indirette[13]. Con questa pronuncia la Consulta ha in primo luogo riconosciuto la natura meramente ordinatoria (e non perentoria) del termine di cinque anni previsto dall’art. VI disp. trans. fin. Cost. per procedere alla revisione delle giurisdizioni speciali innominate: tale conclusione viene argomentata, in particolare, sulla base della considerazione per cui “al differimento dell’entrata in vigore del principio della unità della giurisdizione, rispetto alle giurisdizioni speciali, non ha corrisposto, nella Costituzione, un espressa comminatoria di cessazione del funzionamento delle giurisdizioni speciali”. Inoltre, la Corte costituzionale ha altresì affermato che l’opera di revisione di cui all’art. VI disp. trans. fin. Cost. non implica, ex se ed ineluttabilmente, la mera soppressione degli organi giurisdizionali speciali lì contemplati: è, difatti, frutto di una valutazione di carattere marcatamente politico, rimessa al Governo ed al Parlamento, la decisione “se sia più opportuno rimettere le controversie tributarie alla giurisdizione ordinaria secondo le regole del processo comune; oppure, in aderenza al principio dell’unità della giurisdizione, introdurre un regime differenziato, istituendo apposite sezioni specializzate; o, piuttosto, conservare le Commissioni, in base al disposto di una legge costituzionale che deroghi al principio dell’art. 102, disciplinando ex novo la materia del contenzioso tributario”. Sicché, come osservato in letteratura, i giudici speciali innominati istituiti prima dell’entrata in vigore della Costituzione ben possono sopravvivere, purché siano dotati delle garanzie di indipendenza di cui all’art. 108 Cost.[14].
[7] Così Poggi, op. cit., pag. 1970.
[8] Poggi, op. cit,, pag. 1971. V. altresì Senese, op. cit., pagg. 203 e ss.
[9] Senese, op. cit., pag. 218.
[10] Ma il genus dei giudici speciali ad oggi esistenti non si limita a quelli or ora indicati: in tema si v. Pizzorusso, op. cit., pagg. 216 e ss.
[11] Tale distinzione è elaborata da Senese, op. loc. ult. cit.; sul carattere non tassativo dell’elencazione v. anche Zanon, Biondi, op. cit., pagg. 15-16.
[12] Secondo Andrioli, Rilevanza costituzionale della nozione di sezione specializzata, in Giur. cost., 1961, pag. 1539, la disposizione in parola avrebbe implicato per il Parlamento una vera e propria “opera davvero giustinianea di bonificare la selva selvaggia delle giurisdizioni speciali”.
[13] Corte cost., 11 marzo 1957, n. 41, consultabile in www.giurcost.org.
[14] Zanon, Biondi, op. cit., pag. 15.
La “imperfetta costituzionalizzazione” del principio di unicità della giurisdizione ha avuto ripercussioni anche sul piano dottrinale, che si presenta decisamente frastagliato[15], escluse quelle teoriche che in termini assoluti affermano e negano l’esistenza del principio de quo. Sul tema, difatti, si sono sviluppate diverse opinioni – spesso piuttosto articolate – che qui si intende, pur sinteticamente, ripercorrere.
Una prima tesi propone il recupero del progetto originariamente presentato dal Calamandrei: in altri termini, il legislatore ordinario dovrebbe assicurare ad ogni ramo della magistratura condizioni e garanzie di indipendenza analoghe, così da pervenire ad una unicità, organica e funzionale, di tutti i soggetti incaricati della funzione giurisdizionale.
Un’altra impostazione attribuisce all’unità della giurisdizione valore di principio costituzionale desumibile dal combinato disposto di diversi articoli della Carta fondamentale, quali gli artt. 24, 101, 102, 103, 111 e 113 Cost.
Una terza ricostruzione, invece, riconosce nel principio in discorso una soluzione intermedia, nel senso che i Costituenti non avrebbero optato per una soluzione “rigida”, ma per un bilanciamento tra la regola generale dell’unità e le eccezioni dettate da esigenze di specializzazione: nel dettato costituzionale avrebbero trovato spazio sia il principio dell’unicità sia l’opposto principio della pluralità, da considerarsi come un “correttivo alle inefficienze della giurisdizione ordinaria nell’affrontare adeguatamente gli aspetti multiformi ed eterogenei di una realtà che, nel momento dell’entrata in vigore della Costituzione, si presentava assai conflittuale”[16].
Altra dottrina rinviene l’esistenza del principio di unità nella posizione istituzionale rivestita dalla Corte di Cassazione all’interno dell’ordinamento, in ragione delle competenze ad essa attribuite: il sistema giurisdizionale si potrebbe ridurre ad unità nel proprio vertice, perché attraverso il ruolo e le funzioni della Cassazione tutte le giurisdizioni (ordinarie e speciali) verrebbero ad essere ricomprese nel genus di quella ordinaria. Si pensi, al riguardo, all’ultimo comma dell’art. 111 Cost., a norma del quale anche contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti è ammesso il ricorso in Cassazione, sebbene limitato ai soli motivi inerenti alla giurisdizione.
Ancora, un’altra tesi dottrinale, partendo dalla constatazione per cui l’esistenza di una pluralità di ordini giurisdizionali è una realtà in un certo senso ineliminabile, attribuisce il fondamento del principio di unicità sulla funzione giurisdizionale in quanto tale.
Una ulteriore teorica premette una distinzione tra l’esercizio ordinario della funzione giurisdizionale ed il suo esercizio atipico o eccezionale: la Costituzione non chiamerebbe a svolgere ordinariamente la funzione giurisdizionale i soli giudici ordinari (così come intesi tradizionalmente), ma anche i giudici di cui all’art. 103 Cost., ossia – come visto – il Consiglio di Stato e gli altri organi della giustizia amministrativa, la Corte dei conti ed i tribunali militari: sicché “la nozione di giudice speciale […] conserverebbe un suo preciso significato in un contesto in cui si convenisse sulla marginalità ed atipicità delle attività giudiziarie svolte da questo tipo di giudici, mentre la stessa nozione si smarrirebbe inevitabilmente a fronte di una estensione delle giurisdizioni speciali tale da non consentire la loro collocazione nei fenomeni marginali del sistema giudiziario”[17].
Secondo altri il principio di unicità dovrebbe essere inteso nel senso della previsione, ad opera della Costituzione, di un unico tipo di magistrato.
Un’ultima interpretazione reputa che il principio di unità debba essere inteso come unicità della fonte di legittimazione e di derivazione della potestà giurisdizionale, nonché come necessità di una stretta connessione tra le giurisdizioni, ma non nel senso di unicità dell’organo giurisdizionale.
[15] Ben illustrato da Poggi, op. cit., pagg. 1974 e ss., a cui si rinvia per ulteriori approfondimenti.
[16] Poggi, op. cit., 1975.
[17] Poggi, op. cit., 1976.
A fronte di questo eterogeno panorama dottrinale, la giurisprudenza della Corte costituzionale è caratterizzata da un percorso che, pur non essendo sempre lineare, presenta alcuni punti fermi, oltre a quelli supra evidenziati. In primo luogo la Consulta ha sempre dichiarato la propria incompetenza in materia, individuando per converso la Sede più qualificata in quella legislativa. La Corte ha operato un bilanciamento tra esigenze differenti: da un lato quella del necessario rispetto dei nuovi principi costituzionali e dall’altro la necessità di evitare “vuoti” nel sistema giurisdizionale. Ci si può riferire, sotto tale angolo visuale, alla già esaminata sent. 41/1957[18]: come si ricorderà, con tale pronuncia il Giudice delle leggi ha affermato, in uno con la natura meramente ordinatoria del termine di cui all’art. VI disp. trans. fin. Cost., anche il principio in forza del quale il legislatore, unico organo deputato alla revisione delle giurisdizioni speciali innominate, non sia necessariamente tenuto a procedere alla eliminazione di queste ultime. Ciò che si può aggiungere a quanto affermato a suo tempo è che nell’opinione della Consulta il secondo comma dell’art. 102 Cost. può (e deve) considerarsi violato unicamente nel caso di introduzione ex novo di ulteriori giurisdizioni speciali. La seconda costante che emerge dalla giurisprudenza costituzionale in subiecta materia ha per oggetto l’affermazione delle differenziazioni che emergono dall’impianto costituzionale tra le varie figure di giurisdizione: sia sotto il profilo oggettivo, ossia quello della delimitazione delle varie sfere di giurisdizione, sia sotto l’aspetto soggettivo, relativo ai diversi status applicabili ai giudici appartenenti ai diversi ordini. Ciò che emerge dalle pronunce esaminate, in altri termini, è la concezione dei giudici (amministrativi, contabili e militari) di cui all’art. 103 Cost. come appartenenti ad una categoria per così dire intermedia tra la magistratura ordinaria e quella innominata in relazione alla quale l’art. VI disp. trans. fin. Cost. impone la revisione e l’art. 102, co. 2, Cost. vieta la nuova istituzione[19]. Come autorevolmente affermato in dottrina la Corte ha sostenuto in diverse pronunce che nell’impianto della Costituzione i magistrati ordinari e quelli speciali (nominati o innominati) “hanno, e non potrebbero che avere, discipline organizzatorie distinte presidiate da principi differenti poiché, la garanzia degli status nei vari tipi di giudice risponde a ratio diverse“[20]. E così, a mero titolo esemplificativo, con la sent. 1/1967 cit. è stato affermato che il sistema del concorso previsto exart. 106 Cost. riguarda la sola magistratura ordinaria, sicché non viola la Carta fondamentale la nomina governativa di consiglieri della Corte dei conti, senza che da ciò derivi un nocumento alla indipendenza della magistratura contabile, dovendo quest’ultima essere ricercata nelle modalità di svolgimento della propria funzione e non nei criteri di nomina dei propri membri; con la sent. 79/1967[21] è stata sancita l’applicabilità dell’art. 104 Cost. alla sola magistratura ordinaria; l’ord. 292/1990[22] ha declinato il medesimo principio con riferimento alle Commissioni tributarie, sostenendo che “l’indipendenza del Collegio e dei suoi componenti va individuata, comunque, solo attraverso i modi con i quali è svolta la funzione, nel senso della inesistenza di vincoli che possano comportare una soggezione formale o sostanziale da altri”. Di tenore difforme – pur all’interno di un trend giurisprudenziale piuttosto consolidato – la sent. 230/1987[23], con la quale il Giudice costituzionale, dopo aver comunque affermato l’infondatezza di alcune questioni di legittimità costituzionale inerenti lo status dei magistrati contabili, ha sostenuto che l’indipendenza di tali giudici “non è sotto alcun aspetto garantita” ed ha invitato il legislatore a provvedere a tale riguardo.
[18] Per ulteriori pronunce di contenuto analogo si v. Corte cost., 23 dicembre 1986, n. 284; Corte cost., ord. 22 gennaio 1976, n. 21; Corte cost., 22 novembre 1962, n. 92. Per la consultazione dei provvedimenti in parola si v. www.giurcost.org.
[19] Cfr., a titolo di esempio, Corte cost., 11 giugno 1975, n. 135; Corte cost., 4 luglio 1974, n. 205; Corte cost., 30 dicembre 1972, n. 211; Corte cost., 5 aprile 1971, n. 68; Corte cost., 26 giugno 1970, n. 110; Corte cost., 21 gennaio 1967, n. 1. Tutte le pronunce qui citate sono consultabili in www.giurcost.org.
[20] Poggi, op. cit., pag. 1981.
[21] Corte cost., 3 luglio 1967, n. 79, in www.giurcost.org.
[22] Corte cost., ord. 14 giugno 1990, n. 292, in www.giurcost.org.
[23] Corte cost., 17 giugno 1987, n. 230, in www.giurcost.org.
Il sintetico excursus appena svolto consente di affermare l’esistenza di un panorama in subiecta materia caratterizzato da plurimi profili di criticità. Ciò non può che avere risvolti negativi, sotto diversi angoli visuali. Basterà qui ricordare che, come sottolineato in dottrina, la pluralità delle giurisdizioni speciali ancora esistenti nell’ordinamento e l’indeterminatezza dei loro connotati hanno posto diversi problemi non solo in merito alla definizione stessa del concetto di giudice speciale, ma anche avuto riguardo alla distinzione di tale nozione da quella di giudice ordinario “tanto da suggerire la soluzione, di ripiego, per cui giudice speciale è il giudice che non fa parte della magistratura ordinaria” sicché “per distinguere la magistratura ordinaria da quelle speciali, si ricorre al criterio “legale”: ordinari sono i giudici regolati dalla legge sull’ordinamento giudiziario (r.d. 12 del 1941), speciali tutti gli altri”[24]. Un problema non solo tassonomico, in quanto destinato a spiegare i propri effetti sia in termini di certezza del diritto per la cittadinanza in generale sia con precipuo riferimento alle garanzie del giudice e della sua indipendenza. Con riguardo a tale ultimo aspetto è stato difatti affermato che, fermi alcuni generali principi costituzionali (come quelli dell’indipendenza e della imparzialità), “mentre quanto ai giudici «speciali» la Costituzione rinvia alla legge per la definizione del rispettivo ordinamento (art. 108), riguardo alla magistratura ordinaria, dotata delle generale competenza in materia civile e penale, essa si preoccupa di dettare una serie di regole precise a garanza di qui principi”[25].
Riflessioni, queste, che appaiono di (forse ancora maggiore) rilievo se parametrate al concetto (ed all’esigenza, da più parti avvertita[26]) di un giudice sempre più specializzato: una nozione, questa, che prima di poter essere auspicabile o meno sul piano dell’opportunità della politica del diritto deve essere rispettosa della cornice costituzionale.
[24] Zanon, Biondi, op. cit., pagg. 15-16. Le criticità derivanti dall’impianto costituzionale, peraltro, erano già state evidenziate poco tempo dopo l’entrata in vigore della Carta fondamentale: a titolo di esempio si v. diffusamente Sandulli, Sulla costituzionalità delle «sezioni specializzate per gli equi fitti», in Rass. dir. pubbl., 1949, pagg. 110 e ss.
[25] Così Onida, La Costituzione, 2003, Bologna, pagg. 107-108. Contra Spagna Musso, op. cit., specimen pag. 944.
[26] Cfr., solo a titolo di esempio, Carpi, La specializzazione del giudice come fattore di efficienza della giustizia civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, III, pagg. 1009 e ss.
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