Il Regolamento (UE) n. 2019/1111: le novità in materia di sottrazione internazionale di minori

Redazione 27/05/20
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di Michele Angelo Lupoi

Sommario

1. Introduzione: la disciplina del regolamento UE 2201/2003

2. Le novità introdotte dal regolamento n. 1111 del 2019: la decisione sul ritorno del minore

3. L’esecuzione della decisione sul ritorno del minore sottratto

4. (Segue): un elemento di flessibilità

5. Conclusioni

1. Introduzione: la disciplina del regolamento UE 2201/2003

Come ho scritto in un mio articolo pubblicato in Aula Civile qualche mese fa[1], il 25 giugno 2019 è stato approvato dal Consiglio dell’Unione europea il regolamento n. 1111 del 2019, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori[2], di rifusione del regolamento n. 2201 del 2003 (c. d. Bruxelles II bis). Dopo avere esaminato, nel mio precedente scritto, le novità in materia di giurisdizione, in queste pagine propongo una prima lettura delle nuove disposizioni sulla sottrazione internazionale di minori.

In questo ambito, come noto, il legislatore europeo, con il regolamento n. 2201 del 2003, ha introdotto norme volte ad implementare, nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione, il principio dell’automatico ritorno del minore enunciato dalla convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 su taluni aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata dall’Italia con la legge n. 64 del 15 gennaio 1994[3]. La sottrazione internazionale di minori, in effetti, entra a pieno titolo nell’ambito della responsabilità genitoriale cui si applica la disciplina europea.

In particolare, la disciplina del regolamento n. 2201 in questo ambito integra[4] (e in parte modifica) i meccanismi operativi della convenzione del 1980, per ridurre, nell’ambito dello spazio europeo di giustizia, le ipotesi di diniego al ritorno del minore nello Stato membro d’origine. Come si desume anche dall’art. 62[5], in effetti, il regolamento n. 2201 non aspira a sostituirsi alla convenzione del 1980, ma si interfaccia con quest’ultima, al fine di dare, alla sottrazione di minori tra Stati membri dell’Unione, soluzioni meglio rispondenti ai principi ispiratori dello spazio europeo di giustizia, in particolare quelli della fiducia reciproca tra gli Stati membri e dell’equivalenza tra l’attività giudiziaria svolta dalle giurisdizioni nazionali[6].

Per quanto ci interessa qui, in particolare, il regolamento n. 2201, prevede un meccanismo integrativo delle norme della convenzione del 1980, per fare sì che, nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione, dopo una decisione di diniego del ritorno da parte del giudice dello Stato “di rifugio” del minore, la parola finale, al riguardo, sia comunque riservata al giudice dello Stato d’origine.

Il riferimento è all’art. 11 del regolamento n. 2201 che, per quanto ci riguarda in questa sede, nell’ipotesi in cui un giudice nazionale respinga la richiesta di ritorno di un minore in base all’art. 13 della convenzione del 1980, dispone che tale giudice non si possa limitare ad un provvedimento di rigetto della relativa istanza: egli, infatti, ai sensi del para. 6, è tenuto a trasmettere (direttamente ovvero tramite la sua Autorità centrale) una copia del proprio provvedimento e dei pertinenti documenti (in particolare, una trascrizione delle audizioni svoltesi dinanzi a lui) all’autorità giurisdizionale competente o all’Autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o mancato ritorno, come stabilito dalla legislazione nazionale. Tale comunicazione deve avvenire entro un mese dall’emanazione del provvedimento contro il ritorno.

A questo punto, salvo che l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o del mancato ritorno non sia già stata adita da una delle parti, l’autorità giurisdizionale o l’Autorità centrale che riceve le informazioni appena menzionate deve darne comunicazione alle parti e invitarle a presentare le proprie conclusioni, conformemente alla legislazione nazionale, entro tre mesi dalla data della notifica, affinché l’autorità esamini la questione dell’affidamento del minore.

Qualora tali conclusioni non siano fatte pervenire entro il termine stabilito, l’autorità giurisdizionale in questione archivia il procedimento e, ai sensi dell’art. 10, lett. b), iii) del regolamento Bruxelles II bis, la competenza giurisdizionale viene attribuita al giudice della “nuova” residenza abituale del minore. Nell’ipotesi opposta, per contro, nello Stato di origine viene instaurato un procedimento che la Cassazione[7], in mancanza di precisazioni da parte del legislatore europeo, ha qualificato come riesame sommario delle valutazioni compiute dal giudice straniero con nuova e globale valutazione degli elementi probatori acquisiti da quest’ultimo, eventualmente da integrare con quelli ulteriormente acquisiti a seguito di sommarie informazioni, ed una autonoma interpretazione della pertinente disciplina sostanziale, al cui esito viene emessa una decisione o confermativa del provvedimento di diniego del ritorno – eventualmente anche per ragioni diverse od ulteriori da quelle addotte dall’altro giudice -, ovvero “sostitutiva” dello stesso provvedimento, prescrivendo il ritorno del minore[8], senza che del procedimento stesso sia oggetto necessario il diritto di affidamento come questione preliminare da decidere prima di esaminare la questione del ritorno del minore. Con tale procedimento, in effetti, il regolamento n. 2201 mira ad assicurare non solo il ritorno immediato del minore nello Stato in cui risiedeva prima dell’abduction, ma anche a mettere in condizione le corti d’origine di valutare le ragioni e le prove alla base della decisione di non rientro emessa nello Stato di “rifugio”[9].

Il regolamento n. 2201 ha introdotto, altresì, nella disciplina uniforme sulla circolazione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale tra gli Stati membri dell’Unione, alcune disposizioni ad hoc sull’esecuzione transfrontaliera dei provvedimenti di rientro emessi in uno Stato membro rispetto a minori illecitamente trasferiti in uno Stato diverso. Per quanto ci interessa qui, il regolamento n. 2201 prevede l’esecuzione immediata, senza necessità di previa concessione di un exequatur nello Stato ospite e senza possibilità di opposizione, dei provvedimenti dello Stato di origine che dispongono, ai sensi dell’art. 11, para. 8, il rientro del minore illegittimamente trasferito all’estero, a seguito del diniego di rientro pronunciato dal giudice straniero ai sensi dell’art. 13 della convenzione[10]. I provvedimenti in questione, infatti, richiedono, di norma, un’attuazione rapida, incompatibile con i tempi (e i meccanismi) del procedimento di exequatur.

L’esecuzione diretta di una decisione con cui sia stato ordinato il ritorno di un minore è disciplinata dall’art. 42, il quale richiede che la decisione in questione sia esecutiva nello Stato d’origine e certificata dal giudice d’origine sulla base di un apposito modello standard, redatto nella lingua della decisione. La Corte di giustizia ha chiarito che l’emissione del certificato in questa ipotesi presuppone che, nello Stato in cui il minore sia stato trasferito illecitamente, sia stata previamente pronunciata una decisione contraria al ritorno dello stesso nello Stato di origine: secondo i giudici europei, infatti, l’art. 11, para. 8. implica un rapporto di successione temporale tra una decisione di non-rientro e la decisione successiva che dispone invece il ritorno del minore[11].

Il certificato in questione può essere emesso d’ufficio, al momento in cui la decisione diventa esecutiva e può essere rettificato in conformità alla legge dello Stato di appartenenza del giudice stesso (art. 43). Contro il rilascio di tale attestazione non è però ammesso alcun mezzo di impugnazione. Si prevede solo un procedimento di controllo e correzione di eventuali errori materiali, quando il certificato non rispecchi correttamente il contenuto della decisione (considerando n. 24).

La decisione sul rientro del minore può essere eseguita nello Stato ad quem dietro esibizione di una copia autentica della stessa e del relativo certificato, debitamente tradotto in una delle lingue accettate dallo Stato (art. 45). Come messo in evidenza dai giudici del Lussemburgo, in questi casi, il giudice dello Stato di esecuzione non può che constatare l’efficacia esecutiva di una decisione certificata ai sensi del regolamento n. 2201 dal giudice dello Stato di origine del minore[12]. L’unico limite a tale esecuzione diretta è previsto dall’art. 47, per l’ipotesi in cui la decisione “certificata” sia incompatibile con un’altra decisione esecutiva emessa posteriormente. A questo riguardo, comunque, si è chiarito che la decisione incompatibile successiva deve essere emessa dal giudice d’origine e non da quello dello Stato dell’esecuzione[13]. La Corte ha pure affermato che l’esecuzione nello Stato non possa essere negata adducendo un mutamento delle circostanze, sopravvenuto dopo la sua emanazione: un simile mutamento, infatti, dovrebbe essere dedotto dinanzi al giudice dello Stato d’origine, con un’eventuale istanza di sospensione dell’esecuzione della sua decisione[14].

Escludendo qualsiasi opposizione avverso la decisione “certificata”, d’altro canto, si assicura che l’efficacia delle disposizioni del regolamento non sia vanificata da abusi procedurali[15].

[1] Mi riferisco all’articolo “La rifusione del regolamento Bruxelles II bis in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale: le norme sulla giurisdizione”, pubblicato sul numero di gennaio 2020 delle Pagine dell’Aula Civile, p. 50.

[2] L’applicazione del nuovo regolamento è rinviata al 1° agosto 2022. Dalla medesima data, l’art. 104 prevede l’abrogazione del regolamento n. 2201 del 2003. Il nuovo regolamento si applicherà solo alle azioni proposte, agli atti pubblici formalmente redatti o registrati e agli accordi registrati il o posteriormente al 1° agosto 2022. Il regolamento n. 2201 del 2003, per contro, continuerà ad applicarsi alle decisioni rese nelle azioni proposte, agli atti pubblici formalmente redatti o registrati e agli accordi che sono divenuti esecutivi nello Stato membro in cui sono stati conclusi anteriormente al 1° agosto 2022 e che rientrano nel suo ambito di applicazione (art. 100). Gli art. 92, 93 e 103 si applicano però dal 22 luglio 2019.

[3] Si tratta di uno strumento normativo di grande successo, ratificato da un numero consistente di Stati, rispetto al quale esiste una bibliografia sterminata: mi limito a richiamare Anton, The Hague convention on international child abduction, in Int. comp. law quar., 1981, p. 537; Bucher, L’enfant en droit international privé, Ginevra, 2003; Carella, La convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 1994, p. 777; Fiorini, Habitual residence and the newborn – A French perspective, in 61 Int. comp. law quar., 2012, p. 530; Kruger, International child abduction. The inadequacies of the law, Oxford, 2011; Lena, Affidamento e custody quali presupposti per il rimpatrio del minore, tra convenzione de l’Aja e diritto interno, in Fam. dir., 2004, p. 190; Salzano, La sottrazione internazionale di minori. Accordi internazionali a tutela dell’affidamento e del diritto di visita, Milano, 1995; Silberman, Hague convention on international child abduction: a brief overview and case law analysis, in Fam. l. quar., 1994, p. 9; Vigers, Mediating international child abduction cases. The Hague convention, Oxford, 2011.

[4] Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, in Giust. civ., 2011, I, p. 688.

[5] Per cuigli accordi e le convenzioni di cui all’art. 59, para. 1, e agli artt. 60 e 61 continuano a produrre effetti nelle materie non disciplinate dal regolamento. Inoltre, al para. 2, si stabilisce che le convenzioni di cui all’art. 60, in particolare quella dell’Aia del 1980, continuano ad avere efficacia tra gli Stati membri che ne sono parti contraenti, conformemente all’art. 60.

[6] Tale approccio emerge dal considerando 17 del regolamento n. 2201, per cui, in caso di trasferimento o mancato rientro illeciti del minore, si dovrebbe ottenerne immediatamente il ritorno e a tal fine dovrebbe continuare ad essere applicata la convenzione dell’Aia del 25 ottobre 1980, come integrata dalle disposizioni del regolamento n. 2201, in particolare il suo art. 11. I giudici dello Stato membro in cui il minore è stato trasferito o trattenuto illecitamente, inoltre, dovrebbero avere la possibilità di opporsi al suo rientro in casi precisi, debitamente motivati: tuttavia, una simile decisione dovrebbe poter essere sostituita da una decisione successiva emessa dai giudici dello Stato membro di residenza abituale del minore prima del suo trasferimento illecito o mancato rientro. Questa frase esprime in effetti la “filosofia” dell’approccio del regolamento alla sottrazione internazionale dei minori, che, sul punto, si discosta significativamente dalla convenzione del 1980. V. pure Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

[7] Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

[8] Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

[9] Corte giust., 11 luglio 2008, c. 1958 PPU, Inga Rinau, in Guida dir., 2008, fasc. 31, p. 110. Si ritiene, peraltro, che il giudice di merito possa emettere la decisione di cui all’art. 11 del regolamento n. 2201 anche in assenza di una formale trasmissione del provvedimento straniero e degli atti relativi, affermandosi che l’esame delle motivazioni addotte dal giudice straniero possa avvenire anche qualora, nella decisione, non si faccia espressamente riferimento all’art. 13 della convenzione dell’Aja: Trib. min. Emilia Romagna, 7 maggio 2009, in Fam. dir., 2010, p. 38.

[10] Al riguardo, App. Catania, 21 luglio 2011, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, p. 363, ritiene che il provvedimento cui la norma fa riferimento non può essere sommario e anticipatorio, dovendosi trattare piuttosto della statuizione di merito definitiva.

[11] Corte giust., c. Inga Rinau, cit.

[12] Corte giust., 22 dicembre 2010, c. 491/10 PPU, Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz.

[13] Corte giust., 1° luglio 2010, c. 211/10 PPU, Povse c. Alpago.

[14] Corte giust., c. Povse c. Alpago, cit.

[15] Corte giust., c. Inga Rinau, cit.

2. Le novità introdotte dal regolamento n. 1111 del 2019: la decisione sul ritorno del minore

Nell’esperienza applicativa del regolamento n. 2201, nella materia qui esaminata, i principali problemi si sono riscontrati rispetto all’esecuzione cross-border dei provvedimenti sul ritorno nello Stato di origine di minori sottratti illecitamente[16]. Come dimostra la giurisprudenza degli Stati membri e della Corte di giustizia, in questo ambito, di là dalla enunciazione dei principi e dalla formulazione delle norme, si registra p>

Il regolamento n. 1111 del 2019 cerca, dunque, di dare una risposta anche a queste problematiche.

In effetti, nel nuovo regolamento, la materia della sottrazione internazionale è affrontata in modo più organico e sistematico rispetto al regolamento n. 2201. Il maggior rilievo attribuito dal legislatore europeo a questo tema è dimostrato anche dal fatto che la sottrazione internazionale dei minori è stata inserita nello stesso “titolo” del nuovo regolamento. D’altro canto, quello qui in esame si è rivelato uno degli ambiti più delicati tra quelli cui si applica la disciplina uniforme europea sulla responsabilità genitoriale. E’ qui, infatti, che la fiducia reciproca affermata a livello teorico si scontra maggiormente con le prassi delle corti nazionali che, sovente, operano in modo poco conforme a tale principio. Anche in questo caso, peraltro, il legislatore lavora “di cesello”, nel rispetto dell’impianto dalla convenzione dell’Aja del 1980, cui cerca di dare migliore e più efficace attuazione nei rapporti tra gli Stati membri[17].

Nel regolamento n. 2201, della materia si occupa il solo art. 11. Per contro, nella “rifusione” compare un intero capo intitolato, appunto, “sottrazione internazionale di minori”, composto da 8 articoli (da 22 a 29). Il capo relativo all’esecuzione delle decisioni in questo ambito è poi stato riscritto con significative innovazioni.

L’art. 22, invero, si limita a stabilire che, nei rapporti tra gli Stati membri, al procedimento e all’esecuzione dei provvedimenti in materia di sottrazione di minori, a integrazione della convenzione dell’Aia del 1980, si applicano gli art. da 23 a 29, e il capo VI, del nuovo regolamento, così confermando il ruolo appunto “integrativo” svolto dalla normativa uniforme europea rispetto alle più generiche disposizioni della convenzione del 1980.

Il regolamento non interviene sulla ripartizione delle competenze interne in materia di sottrazione di minori[18], ma il considerando 41 esplicita l’invito agli Stati membri, affinché i procedimenti di ritorno ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980 si concludano quanto prima, a prendere in esame, coerentemente con la rispettiva struttura giudiziaria nazionale, l’eventualità di concentrare la competenza per tali procedimenti in un numero quanto più limitato possibile di autorità giurisdizionali, in modo da ridurre i tempi per l’esame delle domande di rientro e garantire maggiore specializzazione dell’autorità giudiziaria competente. La competenza per le cause di sottrazione di minori potrebbe così concentrarsi in un’unica autorità giurisdizionale per l’intero paese o in un numero limitato di autorità giurisdizionali, partendo, ad esempio, dal numero di autorità giurisdizionali dell’impugnazione e concentrando la competenza per le cause di sottrazione internazionale di minori in un’autorità giurisdizionale di primo grado all’interno di ogni circoscrizione di corte di appello. La situazione italiana, rispetto a tale profilo, si presenta come intermedia tra una competenza diffusa ed una accentrata, dal momento che la sottrazione internazionale rientra nella competenza per materia dei Tribunali per i minorenni, distribuiti su base tendenzialmente regionale. La situazione comunque non è appagante, sul piano della specializzazione, considerato che alcuni Tribunali sono molto più attivi di altri e che una maggiore concentrazione delle competenze, in questo ambito potrebbe garantire maggiore uniformità e rapidità nello smaltimento delle richieste di ritorno.

Sul piano procedimentale, l’accento è sull’accelerazione dei tempi per l’esame, la trattazione e la decisione sulle istanze di ritorno di un minore asseritamente sottratto, a partire dal primo intervento delle autorità centrali. In effetti, l’art. 23 esordisce prevedendo che le autorità centrali debbano procedere al “rapido trattamento” delle domande di ritorno ricevute ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980. Si tratta di una disposizione priva di reale contenuto precettivo, ma senz’altro utile per sensibilizzare le autorità centrali ad accelerare i tempi di smaltimento delle richieste ricevute. La norma va integrata con la disposizione dell’art. 24 che fissa in sei settimane la durata “massima” di ciascuna “fase” del procedimento per il ritorno dei minori sottratti.

Il para. 2 della norma in esame entra nel dettaglio, con norme di diritto uniforme che impongono all’autorità centrale dello Stato membro richiesto di “accusare ricevuta” di ogni domanda pervenuta ai sensi dell’art. 22 entro cinque giorni lavorativi dalla data di ricevimento della domanda stessa, nonché di informare, senza indebito ritardo, l’autorità centrale dello Stato membro richiedente o l’istante, secondo il caso, delle prime misure che sono state o saranno prese per trattare la domanda, potendo richiedere tutte le informazioni o i documenti supplementari che considera necessari.

Alla celerità del procedimento giudiziario è poi dedicato l’art. 24, cui para. 1 richiede all’autorità giurisdizionale alla quale è stata presentata la domanda per il ritorno del minore di procedere al “rapido trattamento” della domanda stessa, utilizzando le procedure più rapide previste nel diritto nazionale. In altre parole, non si introducono norme processuali comuni, ma si responsabilizzano gli Stati membri (e le corti nazionali, ove la questione sia rimessa alla loro attività interpretativa) ad avvalersi, in questo contesto, delle procedure più snelle e rapide previste dalla lex fori. L’Italia, da questo punto di vista, almeno sul piano formale, ha le carte in regola, dal momento che il procedimento per il ritorno dei minori sottratti, avanti al Tribunale per i minorenni, si svolge con le forme destrutturate del rito camerale.

Il para. 2, come si è accennato, prevede che un’autorità giurisdizionale di primo grado, salvo impossibilità dovuta a circostanze eccezionali, debba decidere entro sei settimane da quando è stata adita. Il para. 3 completa il quadro prevedendo che in sei settimane (“salvo impossibilità dovuta a circostanze eccezionali”) debbano essere esaurite anche le attività di un eventuale procedimento di impugnazione “dal momento in cui sono state espletate tutte le fasi procedurali richieste e l’autorità giurisdizionale è in grado di esaminare l’impugnazione, mediante udienza o in altro modo”[19].

Come si è visto, il regolamento non interviene direttamente sulla disciplina del procedimento di ritorno prevista in ogni Stato, ma il considerando 42 contiene un’esortazione agli Stati membri a considerare l’opportunità di limitare a uno il numero di impugnazioni possibili avverso una decisione che dispone o nega il ritorno di un minore ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980[20]. Anche da questo punto di vista l’Italia ha adottato procedure “virtuose”, dal momento che contro il provvedimento emesso dal Tribunale per i minorenni è previsto il solo ricorso per Cassazione.

Gli artt. 25, 26 e 27 stabiliscono disposizioni di diritto processuale uniforme, in materia, rispettivamente, di risoluzione alternativa delle controversie, di diritto del minore di esprimere la propria opinione nel procedimento di ritorno e di procedura sul ritorno del minore in generale.

In effetti, una certa percentuale di procedimenti per il ritorno di minori sottratti viene definito per via conciliativa. L’art. 25, dunque, incoraggia il ricorso a strumenti di A.D.R. in questo contesto stabilendo che “quanto prima possibile e in qualsiasi fase del procedimento”, il giudice adito provveda, direttamente o, se del caso, con l’assistenza delle autorità centrali, a invitare le parti a valutare il ricorso alla mediazione o ad altri mezzi di risoluzione alternativa delle controversie, a meno che ciò non vada contro l’interesse superiore del minore, non sia appropriato nel caso specifico (ad esempio, in caso di violenza domestica) o non ritardi indebitamente il procedimento[21]. Considerato il limite temporale di sei settimane stabilito per l’esaurimento di ciascuna fase del procedimento, d’altro canto, un eventuale percorso di mediazione dovrà necessariamente essere svolto in parallelo all’esame del caso da parte della corte[22], per evitare abusi dello strumento[23].

L’art. 26, dal canto suo, precisa che anche nei procedimenti di ritorno ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980 si applica l’art. 21, in materia di ascolto del minore. La questione, in linea teorica, non poteva essere messa in dubbio ma l’esperienza pratica dimostra una certa tendenza delle corti a trascurare tale incombente. Al riguardo, il considerando n. 53 afferma che, fatti salvi gli altri strumenti dell’Unione, se non è possibile sentire una parte o un minore personalmente, e se sono disponibili i mezzi tecnici, l’autorità giurisdizionale può valutare la possibilità di tenere un’audizione in videoconferenza o con altre tecnologie di comunicazione, a meno che, tenuto conto delle circostanze particolari del caso, l’utilizzo di siffatte tecnologie non sia idoneo ai fini del corretto svolgimento del procedimento.

In materia di procedure di ritorno del minore, l’art. 27 contiene una pluralità di disposizioni di diritto processuale uniforme che integrano non solo la lex fori ma anche le disposizioni della convenzione del 1980.

I primi tre paragrafi riguardano, sotto angoli prospettici diversi, il ruolo della parte istante nel procedimento. La persona che chiede il ritorno del minore, in primo luogo, ha il diritto di essere sentita prima che la corte si pronunci: il para. 1 non afferma espressamente tale diritto, ma lo si può desumere dal fatto che, ai sensi di tale norma, senza l’ascolto dell’istante, l’autorità giurisdizionale non possa rifiutare di disporre il ritorno del minore. In qualsiasi fase del procedimento, poi, conformemente all’art. 15, il giudice può valutare la necessità di assicurare contatti tra il minore e la persona che richiede il ritorno del minore, tenuto conto dell’interesse superiore di quest’ultimo.

Il para. 3, inoltre, per implementare una norma invero poco utilizzata nella prassi[24], impone sul giudice che consideri l’eventualità di rifiutare di disporre il ritorno di un minore unicamente in base all’art. 13, comma 1°, della convenzione dell’Aia del 1980, di non esprimere tale rifiuto se la parte che richiede il ritorno la convinca, fornendo prove sufficienti o se l’autorità giurisdizionale stessa è altrimenti convinta, che sono state previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno. Tali misure, per il considerando 45, potrebbero includere, ad esempio, un provvedimento giudiziario dello Stato membro in cui il minore dovrebbe far ritorno che vieti all’istante di avvicinarsi al minore, un provvedimento provvisorio, anche a natura cautelare, di quello Stato membro che consenta al minore di restare con il genitore sottrattore che ne ha l’affidamento effettivo fino a quando non sia adottata una decisione di merito relativa al diritto di affidamento in quello Stato membro dopo il ritorno, o la dimostrazione della disponibilità di strutture mediche per un minore bisognoso di cure. Il tipo di misura adeguato nel caso specifico dovrebbe dipendere dal grave rischio concreto cui il minore sarebbe verosimilmente esposto in caso di suo ritorno in assenza di tali misure. A questo fine, il para. 4 prevede che l’autorità giurisdizionale adita possa dialogare con le autorità competenti dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento illecito o del mancato ritorno, direttamente a norma dell’articolo 86 o con l’assistenza delle autorità centrali.

Nel disporre il ritorno del minore, l’autorità giurisdizionale può, se del caso, adottare provvedimenti provvisori, inclusi provvedimenti cautelari, ai sensi dell’art. 15 del regolamento al fine di proteggere il minore dal grave rischio di cui all’articolo 13, comma°, lett. b), della convenzione del 1980, purché l’esame e l’adozione di tali provvedimenti non ritardino indebitamente il procedimento di ritorno. Tali provvedimenti, devono essere riconosciuti ed eseguiti in tutti gli altri Stati membri, compresi gli Stati membri aventi competenza ai sensi del regolamento, fino a quando un’autorità giurisdizionale di un tale Stato membro non abbia adottato i provvedimenti che ritiene appropriati[25]. Il considerando n. 46, come esempio dei provvedimenti provvisori in questione, indica la previsione che il minore debba continuare a risiedere con l’effettivo affidatario o la determinazione del modo in cui dovrebbero essere intrattenuti i contatti con il minore dopo il suo ritorno fino a quando l’autorità giurisdizionale della residenza abituale del minore non abbia adottato i provvedimenti che ritiene appropriati. Ciò, comunque, non pregiudica eventuali decisioni o provvedimenti dell’autorità giurisdizionale della residenza abituale adottati dopo il ritorno del minore.

Come si è visto, nel regolamento n. 2201, l’art. 11 disciplina il coordinamento tra giudice dello Stato di rifugio e giudice dello Stato d’origine, attribuendo al secondo l’ultima parola in materia di ritorno del minore. Nel regolamento n. 1111, il meccanismo di coordinamento tra corti nazionali è disciplinato dall’art. 29, con alcune significative innovazioni.

Al riguardo, il considerando 48 fornisce importanti indicazioni, evidenziando che, qualora l’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui il minore è stato trasferito o trattenuto illecitamente decida di negare il ritorno del minore ai sensi della convenzione del 1980, nella sua decisione debba fare esplicito riferimento ai pertinenti articoli della convenzione su cui si fonda il diniego[26]. Una simile decisione di diniego, sia essa passata in giudicato o ancora soggetta ad impugnazione, può tuttavia essere sostituita da una decisione successiva emessa in un procedimento di affidamento dall’autorità giurisdizionale dello Stato membro di residenza abituale del minore prima del suo trasferimento illecito o mancato ritorno. Nel corso di tale procedimento dovrebbero essere esaminate approfonditamente tutte le circostanze, fra cui, ma non solo, il comportamento dei genitori, tenendo conto dell’interesse superiore del minore. Se la conseguente decisione di merito sul diritto di affidamento dovesse comportare il ritorno del minore, quest’ultimo dovrebbe avvenire senza che sia necessario ricorrere a procedimenti particolari per il riconoscimento e l’esecuzione della decisione in altri Stati membri.

In attuazione di tali indicazioni, l’art. 29, al para. 1, precisa che la norma si applica qualora una decisione che nega il ritorno del minore in un altro Stato membro si basi unicamente sull’art. 13, comma 1°, lett. b), o sull’art. 13, comma 2°, della convenzione del 1980.

Il riferimento è a due delle ipotesi previste da tale convenzione nelle quali l’autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non è tenuta ad ordinare il ritorno del minore. In particolare, la lett. b) dell’art. 13 esclude il ritorno se sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, ai pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile. Il para. 2 della norma in esame aggiunge poi l’ipotesi che il minore si opponga al ritorno, qualora abbia raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere.

Esulano, dunque, dal meccanismo di coordinamento qui analizzato le ulteriori ipotesi di non ritorno previste dalla convenzione[27]. Si deve, quindi, evidenziare che la nuova norma ha un ambito applicativo più ristretto rispetto a quella dell’art. 11 del regolamento Bruxelles II bis, il cui para. 6 faceva in generale riferimento ad un rifiuto del ritorno del minore ai sensi dell’art. 13 della convenzione. Viene meno, dunque, l’applicazione del coordinamento tra corti qualora il ritorno sia negato avendo il giudice dello stato “di rifugio” valutato, ai sensi dell’art. 13, lett. a) della convenzione che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitasse effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o avesse consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno.

Nei casi considerati dall’art. 29, l’autorità giurisdizionale che rende una decisione di non ritorno rilascia d’ufficio un certificato utilizzando il modello di cui all’allegato I.

Ai sensi del para. 3 dell’art. 29, inoltre, se, nel momento in cui il giudice rende una decisione di non ritorno del minore ai sensi del para. 1, un’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento illecito o mancato ritorno è già stata investita di un procedimento di merito relativo al diritto di affidamento, il giudice dello Stato “di rifugio”, se è al corrente di tale procedimento, provvede, entro un mese dalla data della propria decisione, a trasmettere all’autorità giurisdizionale di quello Stato membro, direttamente o tramite le autorità centrali, una copia della sua decisione di non rientro, il certificato rilasciato a seguito di tale pronuncia, e, se del caso, una trascrizione, una sintesi o un verbale delle udienze dinanzi all’autorità giurisdizionale e qualsiasi altro documento reputi pertinente.

Tali documenti non devono essere necessariamente tradotti; in effetti, ai sensi del para. 4, l’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento illecito o mancato ritorno può, se necessario, chiedere a una parte di fornire tale traduzione o traslitterazione[28].

Qualora, invece, un procedimento nello Stato d’origine non sia già pendente al momento della decisione di non rientro, il para. 5 prevede che una delle parti possa adire, entro tre mesi dalla notificazione della decisione di cui al para. 1, un’autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento illecito o mancato ritorno appunto per fare accertare nel merito il diritto di affidamento. In tal caso, sarà la parte stessa (e non la corte straniera) a presentare all’autorità giurisdizionale i documenti sopra menzionati.

In entrambe le ipotesi, il giudice dello Stato d’origine, nel procedimento già pendente o quello all’uopo instaurato, non deve più, come in precedenza, limitarsi a “riesaminare” la decisione straniera di “non ritorno”. Il procedimento, infatti, deve avere ad oggetto, più in generale, la responsabilità genitoriale sul minore sottratto con la precisazione che, nel decidere su tale responsabilità, il giudice della residenza abituale del minore ne possa disporre il rientro senza essere vincolato dalla decisione dell’altro giudice, con un provvedimento destinato a prevalere sul primo. Ai sensi del para. 6 dell’art. 29, infatti, nonostante la decisione contro il ritorno di cui al para. 1, le decisioni di merito relative al diritto di affidamento risultanti dai procedimenti di cui ai para. 3 e 5 che comportano il ritorno del minore sono esecutive in un altro Stato membro a norma del capo IV del regolamento n. 1111.

In altre parole, nel nuovo art. 29, viene meno il meccanismo di “revisione” previsto dall’art. 11 del regolamento n. 2201 e che in effetti contraddice, in qualche modo, il principio della fiducia reciproca posto a base dello spazio europeo di giustizia. Non viene meno la “overrule procedure” dell’art. 11 del regolamento n. 2201, ma la si inserisce in un contesto più globale, in cui il giudice dello Stato d’origine è chiamato a pronunciarsi in via principale sull’affidamento del minore, potendo, in tale ambito, disporre che il minore debba ritornare nello Stato della propria residenza abituale, senza incontrare, in questo, ostacoli da parte di contrastanti provvedimenti emessi nello Stato di “rifugio”.

[16] V. anche Honorati, La proposta di revisione del regolamento Bruxelles II-bis: più tutela per i minori e più efficacia nell’esecuzione delle decisioni, in Riv. dir. int. priv. proc., 2017, p. 248.

[17] L’art. 96, al riguardo, stabilisce che qualora un minore sia stato trasferito o trattenuto illecitamente in uno Stato membro diverso dallo Stato membro nel quale aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento illecito o del mancato ritorno, continuano ad applicarsi le disposizioni della convenzione dell’Aia del 1980 integrate dalle disposizioni dei capi III e IV del regolamento. Se una decisione resa in uno Stato membro che dispone il ritorno del minore ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980 deve essere riconosciuta ad eseguita in un altro Stato membro in seguito a un ulteriore trasferimento illecito o mancato ritorno del minore, si applica il capo IV.

[18] Non è stata accolta, in effetti, la proposta della Commissione di intervenire direttamente in materia, imponendo agli Stati membri di organizzare il sistema giudiziario nazionale in modo da concentrare la competenza sulle domande in materia di sottrazione internazionale in un numero limitato di sedi territoriali: v. Honorati, op. cit., p. 258.

[19] Al riguardo, il considerando 42 chiarisce che il termine di sei settimane per un’autorità giurisdizionale di grado superiore dovrebbe decorrere dal momento in cui sono state espletate tutte le fasi procedurali richieste. Tali fasi potrebbero includere, a seconda dell’ordinamento giuridico interessato, la notificazione o la comunicazione al convenuto dell’atto di impugnazione nello Stato membro in cui è situata l’autorità giurisdizionale o in un altro Stato membro, la trasmissione del fascicolo e dell’atto di impugnazione all’autorità giurisdizionale dell’impugnazione negli Stati membri in cui l’impugnazione deve essere proposta davanti all’autorità giurisdizionale la cui decisione è impugnata, o un’istanza di parte ai fini della convocazione di un’audizione, se prescritta dal diritto nazionale.

[20] Anche in questo caso, non è stata accolta la proposta della Commissione di stabilire un solo mezzo di impugnazione in questo ambito: Honorati, op. cit., p. 264.

[21] In arg. Baruffi, A child-friendly area of freedom, security and justice: work in progress in international child abduction cases, in Jour. priv. int. law, 2018, p. 415.

[22] V. anche le osservazioni di Honorati, op. cit., p. 262.

[23] Un riferimento alla mediazione è contenuto anche nel considerando n. 43, nel quale si legge che, qualora, nel corso di un procedimento di ritorno ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980, i genitori raggiungano un accordo a favore o contro il ritorno del minore, e anche su questioni legate alla responsabilità genitoriale, il regolamento dovrebbe in talune circostanze permettere loro di convenire che l’autorità giurisdizionale adita ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980 sia competente a conferire effetti giuridici vincolanti al loro accordo, integrandolo in una decisione, approvandolo o utilizzando qualsiasi altro mezzo previsto dal diritto e dalle procedure nazionali. Gli Stati membri che hanno concentrato la competenza dovrebbero pertanto considerare la possibilità di consentire all’autorità giurisdizionale investita di un procedimento di ritorno ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980 di esercitare anche la competenza concordata o accettata dalle parti a norma del regolamento in materia di responsabilità genitoriale, laddove le parti abbiano raggiunto un accordo nel corso di tale procedimento di ritorno.

[24] V. anche Honorati, op. cit., p. 265.

[25] V. anche Baruffi, op. cit., p. 412.

[26] Si contrasta in questo modo la prassi di alcuni Stati membri di trasmettere alle autorità centrali straniere solo il dispositivo della propria decisione di diniego di ritorno: v. Honorati, op. cit., p. 267.

[27] In particolare, ai sensi dell’art. 13, lett. a) della convenzione del 1980, il ritorno del minore non è disposto se la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno”. Ai sensi dell’art. 20, inoltre, “Il ritorno del minore, in conformità con le disposizioni dell’articolo 12, può essere rifiutato, nel caso che non fosse consentito dai princìpi fondamentali dello Stato richiesto relativi alla protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. Ai sensi dell’art. 12, inoltre, l’autorità giudiziaria o amministrativa adita per il ritorno del minore dopo la scadenza del periodo di un anno dalla sottrazione, può negare tale ritorno ove sia dimostrato che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente. Molte domande di rientro, infine, sono respinte perché il giudice adito ritiene che il minore non fosse residente abitualmente nello Stato da cui si afferma sia stato “sottratto”.

[28] Non è stata dunque accolta la proposta della Commissione di onerare la corte che effettua la trasmissione dei documenti di effettuarne la traduzione; v. Honorati, op. cit., p. 269.

3. L’esecuzione della decisione sul ritorno del minore sottratto

Il regolamento n. 1111 interviene anche in materia di esecuzione dei provvedimenti in materia di ritorno del minore, cercando di risolvere le problematiche insorte nell’applicazione del regolamento n. 2201. L’esperienza pratica, in effetti, dimostra che, sovente, i provvedimenti sul ritorno del minore rimangono ineseguiti e comunque la relativa esecuzione richiede tempi molto prolungati[29]. In particolare, in alcuni casi, la lunghezza del procedimento per il ritorno diviene un elemento di per sé ostativo al ritorno stesso, poiché il prolungarsi della permanenza del minore nello Stato di rifugio consolida il legame con tale Stato e allenta il collegamento con lo Stato di origine sì che, a quel punto, lo stesso ritorno si prospetti come dannoso per il minore.

Sul piano terminologico, il nuovo art. 2, nel dare la definizione della nozione di “decisione”, precisa che, ai fini del capo IV (su “Riconoscimento ed esecuzione”) del regolamento, tale termine comprende:

a) una decisione resa in uno Stato membro che dispone il ritorno di un minore in un altro Stato membro ai sensi della convenzione dell’Aia del 1980 e che deve essere eseguita in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata resa; al riguardo, il considerando 16 osserva che, anche se i procedimenti in materia di ritorno ai sensi della convenzione del 1980 non sono procedimenti di merito in materia di responsabilità genitoriale, le decisioni che dispongono il ritorno di un minore ai sensi di tale convenzione devono essere oggetto di riconoscimento ed esecuzione a norma del capo IV del regolamento laddove debbano essere eseguite in un altro Stato membro a motivo di un’ulteriore sottrazione avvenuta dopo che era stato disposto il ritorno. Ciò lascia impregiudicata la possibilità di avviare, relativamente all’ulteriore sottrazione, un nuovo procedimento di ritorno del minore ai sensi della convenzione dell’Aia[30];

b) provvedimenti provvisori, inclusi i provvedimenti cautelari, disposti da un’autorità giurisdizionale che, in virtù del regolamento, è competente a conoscere del merito o provvedimenti disposti conformemente all’art. 27, para. 5, in combinato disposto con l’art. 15: il riferimento è ai provvedimenti provvisori, inclusi i provvedimenti cautelari, disposti dal giudice dello Stato “di rifugio” del minore al fine di proteggere il minore dal grave rischio di cui all’art. 13, comma 1°, lett. b) della convenzione del 1980. Tali provvedimenti, infatti, pur essendo stati emessi da un giudice non competente per il merito della responsabilità genitoriale, sono comunque idonei a circolare all’estero, sinchè non siano sostituiti da analoghi provvedimenti emessi dal giudice competente per il merito.

A livello operativo, per cercare di superare le difficoltà insorte in questo contesto, in primo luogo, l’art. 27, para. 6, introduce una norma di diritto processuale uniforme che consente al giudice nazionale di dichiarare provvisoriamente esecutiva la decisione che dispone il ritorno del minore, nonostante eventuali impugnazioni, qualora il ritorno del minore prima della decisione sull’impugnazione sia richiesto dall’interesse superiore del minore stesso. La norma assume rilievo per quegli ordinamenti in cui la proposizione dell’impugnazione abbia un’automatica efficacia sospensiva dell’esecutività di un provvedimento di ritorno, ma non è questo il caso dell’Italia.

Sul piano, poi, dell’esecuzione delle decisioni in questo ambito, l’art. 28, al para. 1, dispone che l’autorità competente proceda al rapido trattamento della domanda di esecuzione della decisione che dispone il ritorno del minore in un altro Stato membro. Per cercare di implementare in modo efficace quella che altrimenti rischia di essere una mera esortazione alle corti nazionali “a fare in fretta”, il para. 2 prevede che, qualora la decisione che dispone il rientro non sia stata eseguita entro sei settimane dalla data di avvio del procedimento di esecuzione, la parte che richiede l’esecuzione o l’autorità centrale dello Stato membro dell’esecuzione hanno il diritto di chiedere all’autorità competente in materia di esecuzione di indicare i motivi del ritardo. Nulla ovviamente garantisce che l’autorità competente risponda (in tempi rapidi) a tale richiesta o che fornisca motivi convincenti. Si tratta comunque di un efficace strumento di coazione indiretta, che può avere rilevanza sul piano politico-diplomatico.

L’intervento più incisivo, nel nuovo regolamento, riguarda però il regime di esecuzione transfrontaliera delle decisioni sul rientro del minore.

In primo luogo, viene in rilievo in questo ambito, il disposto dell’art. 53, alla cui stregua, qualora la decisione ha statuito su vari capi della domanda e l’esecuzione è stata negata per uno o alcuni di essi, l’esecuzione resta comunque possibile per le parti della decisione non interessate dal diniego (come già prevedeva l’art. 36 del regolamento n. 2201). Per doverosa coerenza con le nuove norme introdotte dal regolamento n. 1111 in materia di sottrazione di minori, d’altro canto, il para. 3 dell’art. 53 precisa che quanto precede non implica che si possa dare esecuzione (parziale) a una decisione che dispone il ritorno di un minore senza che sia data esecuzione anche a eventuali provvedimenti provvisori, inclusi i provvedimenti cautelari, disposti al fine di proteggere il minore dal rischio di cui all’art, 13, comma 1°, lett. b), della convenzione del 1980.

Come si è ricordato supra, nel regolamento n. 2201, per le decisioni di un minore sottratto vige un meccanismo di esecuzione automatica senza bisogno di exequatur.

Il regolamento n. 1111, pur estendendo a tutte le decisioni in materia di responsabilità genitoriale tale meccanismo, continua a prevedere un trattamento diversificato per le decisioni nell’ambito qui in esame. Gli artt. 42 ss., infatti, contengono “disposizioni in materia di riconoscimento ed esecuzione di determinate decisioni privilegiate”, per tali dovendosi intendere, appunto, le decisioni che accordano un diritto di visita e le decisioni ai sensi dell’art. 29, para. 6, nella misura in cui esse comportino il ritorno del minore.

Il “privilegio” accordato a tali decisioni è di essere automaticamente riconosciute ed eseguite negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcuna procedura e senza che sia possibile opporsi al loro riconoscimento, salvo se e nella misura in cui la decisione sia dichiarata incompatibile con una decisione successiva di cui all’art. 50 (v. in particolare art. 45). L’art. 45, para. 2, specifica che le autorità giurisdizionali dello Stato membro di origine possono dichiarare tali decisioni provvisoriamente esecutive, nonostante eventuali impugnazioni.

All’esecuzione diretta si può procedere semplicemente producendo una copia autentica della decisione e il certificato rilasciato dal giudice d’origine ai sensi dell’art. 47, utilizzando il modello di cui all’allegato VI.

Il rilascio del certificato è subordinato alla verifica di alcune condizioni, elencate dal para. 3 dell’art. 47 e che ricalcano, in sostanza, quelle in precedenza previste dall’art. 41 del regolamento n. 2201. Una differenza si nota solo rispetto alla verifica dell’ascolto del minore nel procedimento che ha portato alla decisione da certificare: dove l’art. 41, lett. c) del regolamento n. 2201 richiedeva che il minore avesse avuto la possibilità di essere ascoltato, “salvo che l’audizione non sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità”, il nuovo art. 47, para. 3, lett. b) richiede che il minore abbia “avuto la possibilità di esprimere la propria opinione ai sensi dell’articolo 21”. Almeno sul piano dell’enunciazione formale, si prospetta qui un requisito più stringente.

Il para. 4 aggiunge, peraltro, che il certificato per una decisione che comporta il ritorno di un minore è rilasciato solo se il giudice ha tenuto conto, nel rendere la sua decisione, dei motivi e dei fatti alla base della precedente decisione resa in un altro Stato membro conformemente all’art. 13, comma 1°, lett. b), o all’art. 13, comma 2°, della convenzione dell’Aia del 1980. In altre parole, nel procedimento sull’affidamento che si svolge nello Stato “d’origine”, ai sensi dei para. 3 e 5 dell’art. 29 (v. supra), il giudice è chiamato, se non a “rivedere” la decisione straniera di non ritorno, almeno a prendere in considerazione (anche solo per confutarle) le ragioni e le circostanze su cui tale decisione si basa. La valutazione su tale “analisi” è comunque rimessa allo stesso giudice che pronuncia la decisione e non è sindacabile dalle corti di altri Stati.

Il rilascio del certificato, d’altro canto, non è soggetto ad alcuna impugnazione fatta eccezione per quelle indicate all’art. 48 (rettifica e revoca del certificato).

Sin qui sembrerebbe che il regime di esecuzione di queste decisioni “privilegiate” sia sostanzialmente analogo a quello già in precedenza previsto dal regolamento n. 2201. Il regolamento n. 1111, però, introduce un elemento di flessibilità all’esecuzione di tali decisioni, prevedendo, all’art. 44, la possibilità di sospenderne l’esecuzione, in tutto o in parte, se è stata presentata un’istanza di dichiarazione vertente sull’incompatibilità di tale decisione con una decisione successiva di cui all’art. 50 o se la persona nei cui confronti è chiesta l’esecuzione ha richiesto, conformemente all’art. 48, la revoca di un certificato rilasciato a norma dell’art. 47. Tale ultimo riferimento è al procedimento di cui all’art. 48, per la revoca del certificato, che può essere azionato dall’autorità giurisdizionale d’origine di propria iniziativa o su richiesta di parte, qualora il certificato risulti concesso per errore, tenuto conto dei requisiti stabiliti all’art. 47[31].

Quanto al riferimento all’art. 50, tale nuova disposizione consente di rifiutare il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione “privilegiata” se e nella misura in cui la decisione sia incompatibile con una decisione successiva in materia di responsabilità genitoriale relativa allo stesso minore e resa nello Stato membro in cui il riconoscimento è invocato o in un altro Stato membro o nel paese terzo in cui il minore risieda abitualmente, purché la decisione successiva soddisfi le condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro in cui il riconoscimento è invocato. Viene in altre parole enunciato il principio per cui, in materia di responsabilità genitoriale, una decisione successiva sostituisce sempre una decisione anteriore con effetti per il futuro nella misura in cui esse siano incompatibili (considerando 56).

Il regolamento n. 1111 introduce un’ulteriore novità, in questo contesto, nell’art. 49, rubricato: “Certificato comprovante la non esecutività o la limitazione dell’esecutività”. In sostanza, qualora una decisione “privilegiata” certificata in conformità dell’art. 47 abbia cessato di essere esecutiva o la sua esecutività sia stata sospesa o limitata, viene rilasciato, utilizzando il modello standard di cui all’allegato VII, un certificato comprovante la non esecutività o la limitazione dell’esecutività, su richiesta in qualsiasi momento all’autorità giurisdizionale competente dello Stato membro di origine. Tale documento potrà essere depositato nel procedimento in cui sia stata sospesa l’esecuzione della decisione privilegiata, ai sensi dell’art. 44.

[29] V. Baruffi, op. cit., p. 409.

[30] Inoltre, per il considerando in esame nel testo, il regolamento dovrebbe continuare ad applicarsi ad altri aspetti in situazioni di trasferimento illecito o mancato ritorno di un minore, ad esempio le disposizioni in materia di competenza applicabili all’autorità giurisdizionale dello Stato membro di residenza abituale e le disposizioni in materia di riconoscimento ed esecuzione applicabili ai provvedimenti disposti da tale autorità giurisdizionale

[31] L’art. 48 prevede, poi, anche in questo contesto, la possibilità per l’autorità competente dello Stato membro di origine di rettificare il certificato se, per un errore materiale o un’omissione, sussiste una discrepanza tra la decisione e il certificato stesso. In entrambi i casi, la procedura, comprese eventuali impugnazioni, è disciplinata dal diritto dello Stato membro d’origine.

4. (Segue): un elemento di flessibilità

Le novità in materia di esecuzione delle decisioni sul rientro del minore sottratto non sono peraltro finite.

Tra le normi comuni sull’esecuzione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale (e che dunque riguardano anche l’esecuzione delle “decisioni privilegiate” esaminate nel paragrafo precedente), infatti, l’art. 56, alla rubrica “Sospensione e diniego”, da un lato, riprende le previsioni dell’art. 35 di Bruxelles II bis, dall’altro introduce un inedito elemento di discrezionalità nell’esecuzione delle decisioni straniere nel nostro contesto.

Il para. 1 prevede, infatti, che, su istanza della persona nei cui confronti è chiesta l’esecuzione o, se applicabile ai sensi del diritto nazionale, del minore in questione, il procedimento di esecuzione sia sospeso se l’esecutività della decisione sia sospesa nello Stato membro di origine.

Inoltre, ai sensi del para. 2, sempre su istanza della parte nei cui confronti è chiesta l’esecuzione o, se applicabile, del minore in questione, l’autorità competente per l’esecuzione o l’autorità giurisdizionale dello Stato membro dell’esecuzione può sospendere, in tutto o in parte, il procedimento di esecuzione se la decisione è stata impugnata nello Stato membro d’origine con un’impugnazione ordinaria oppure se il termine per tale impugnazione ordinaria non è ancora scaduto (con la possibilità, in tal caso, che l’autorità competente per l’esecuzione o l’autorità giurisdizionale fissi un termine entro il quale deve essere proposta un’eventuale impugnazione); se è stata proposta una domanda di diniego dell’esecuzione a norma degli artt. 41, 50 o 57; ovvero, infine, se la parte nei cui confronti è chiesta l’esecuzione ha chiesto, conformemente all’art. 48, la revoca di un certificato rilasciato a norma dell’art. 47.

Fin qui, nulla di particolarmente innovativo rispetto a quanto già previsto dal regolamento n. 2201.

La vera novità “arriva”, infatti, con il para. 4 dell’art. 56, ai sensi del quale, in casi eccezionali, su istanza della persona nei cui confronti è chiesta l’esecuzione o, se applicabile, del minore in questione o di un’altra parte interessata che agisce nell’interesse superiore del minore stesso, l’autorità competente in materia di esecuzione o l’autorità giurisdizionale può sospendere il procedimento di esecuzione se l’esecuzione esporrebbe il minore a un grave rischio di pericoli fisici o psichici a causa di impedimenti temporanei emersi successivamente alla pronuncia della decisione, o in virtù di altri mutamenti significativi delle circostanze.

In altre parole, fermo il divieto di riesame nel merito (v. art. 71), si prevede che, al verificarsi di nuove circostanze rispetto a quelle prese in considerazione nel provvedimento straniero, nello Stato di esecuzione si possa riscontrare il rischio che il minore sia esposto a “pericoli fisici o psichici” a causa di impedimenti temporanei. In questo caso, si prevede la sospensione dell’esecuzione sino alla cessazione di tale “grave rischio”. Qualora poi il grave rischio in questione abbia carattere permanente, l’autorità competente in materia di esecuzione o l’autorità giurisdizionale può, su richiesta, rifiutare l’esecuzione della decisione.

Si tratta di una misura riservata, sulla carta, a casi eccezionali e la cui applicazione viene circondata di cautele. Il para. 5 dell’art. 56, in particolare, impone, all’autorità competente in materia di esecuzione o all’autorità giurisdizionale, prima di rifiutare l’esecuzione, di adottare tutte le misure adeguate a facilitare l’esecuzione conformemente al diritto e alle procedure nazionali nonché all’interesse superiore del minore, anche, se del caso, con l’assistenza di altri professionisti competenti, quali assistenti sociali o psicologi infantili, per cercare di garantire l’attuazione della decisione. In particolare, l’autorità competente in materia di esecuzione o l’autorità giurisdizionale dovrebbe, conformemente al diritto e alle procedure nazionali, cercare di superare gli eventuali impedimenti creati da un mutamento delle circostanze, come ad esempio un’esplicita obiezione del minore espressa solo successivamente alla pronuncia della decisione con una forza tale che, se ignorata, si configurerebbe un grave rischio di pericoli fisici o psichici per il minore (considerando 69).

E’ peraltro facile prevedere che, nell’applicazione pratica, questa nuova disposizione porti ad un aumento dei dinieghi all’esecuzione nello Stato di “rifugio” delle decisioni di rientro di minori sottratti. In altre parole, nel nuovo assetto normativo, il giro di vite all’automatico rientro del minore sembra essere stato allentato.

5. Conclusioni

In materia di international child abduction, il regolamento n. 1111, nel cercare di agevolare l’esecuzione delle decisioni in materia di ritorno del minore, in realtà sembra attenuare il principio del ritorno automatico[32], riequilibrando i rapporti di forza tra Stato d’origine e Stato di rifugio, con una prospettiva probabilmente più coerente con il principio della fiducia reciproca rispetto al sistema creato dal regolamento n. 2201[33].

La nuova normativa comune è il frutto di un compromesso e si regge su un sistema di pesi e contrappesi per disciplinare le attività delle corti “concorrenti”.

Se, da un lato, le nuove norme in materia di sottrazione di minori che consentono al giudice dello Stato di rifugio di disporre i provvedimenti cautelari più opportuni per garantire il ritorno sicuro del minore dovrebbero ridurre i casi in cui si giustifica il diniego di ordinare il ritorno stesso[34], dall’altro il rivisto meccanismo dell’art. 29, in caso di diniego del ritorno, nel prevedere lo svolgimento, nello Stato d’origine, di un procedimento sulla responsabilità genitoriale e non un mero riesame della decisione straniera di diniego, allunga i tempi del provvedimento di merito destinato a prevalere, sulla carta, sul rifiuto del ritorno, ciò che di per sé potrebbe ostacolarne l’”automatica” esecuzione[35]. Nella prassi, realisticamente, in tali procedimenti di merito si diffonderà il ricorso a provvedimenti provvisori per ordinare l’immediato rientro del minore nello Stato d’origine, magari sulla base di istruzioni sommarie o poco approfondite. Insomma, il rischio che il livello di competizione tra ordinamenti aumenti invece che diminuire appare concreto.

Di questo rischio, il legislatore eurounitario appare ben consapevole. La scommessa appare dunque tutta puntata sull’efficiente sviluppo della cooperazione tra autorità centrali e autorità nazionali competenti per i vari procedimenti, cui il regolamento dedica una nuova analitica disciplina.

E’ evidente infatti che la fiducia affermata nelle alte enunciazioni delle istituzioni europee debba essere quotidianamente coltivata nell’esperienza applicativa, nel dialogo e nella conoscenza reciproca tra operatori, per aiutare a superare le diffidenze e i pregiudizi.

[32] V. anche Carpaneto, La responsabilità genitoriale e la sottrazione internazionale di minori nel regolamento 2201/2003 , in La “famiglia in movimento” nello spazio europeo di libertà è giustizia, Torino, 2019, p. 255-6.

[33] Significativamente, Kruger, Samyn, Brussels II bis: successes and suggested improvements, in Jour. priv. int. law, 2016, p. 158, con riferimento al meccanismo previsto dall’art. 11 del regolamento n. 2201, scrivono: “This procedure flies in the face of mutual trust”.

[34] Honorati, La proposta di revisione del regolamento Bruxelles II-bis: più tutela per i minori e più efficacia nell’esecuzione delle decisioni, in Riv. dir. int. priv. proc., 2017, p. 267.

[35] V. pure Honorati, La proposta di revisione del regolamento Bruxelles II-bis: più tutela per i minori e più efficacia nell’esecuzione delle decisioni, in Riv. dir. int. priv. proc., 2017, p. 276.

Redazione

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