di Ilaria Lombardini
Sommario
1. Riferimenti normativi: il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini biologiche
2. L’attuale assetto normativo dell’art. 28, comma 7, L. n. 184 del 1983 e s.m.: il diritto dell’adottato, non riconosciuto alla nascita, alla conoscenza delle proprie origini e il concorrente diritto della madre biologica all’anonimato
2.1. Il necessario bilanciamento di tali diritti e il principio di revocabilità dell’anonimato nelle decisioni della Corte Edu e della Corte costituzionale
3. L’incisivo intervento delle pronunce più recenti (Cass., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946 e Cass. 07 febbraio 2018, n. 3004): un punto di arrivo o una tappa in itinere?
4. Rilievi conclusivi
1. Riferimenti normativi: il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini biologiche
La questione del diritto dell’adottato – specie dell’adottato nato da madre che abbia dichiarato all’epoca della nascita di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, Ordinamento dello stato civile – alla conoscenza delle proprie origini biologiche ha “recentemente acquisito nuova centralità nel dibattito culturale” ed è una problematica “effettivamente molto dibattuta” dalla giurisprudenza, anche di merito, e dalla dottrina interne[1].
Ma non solo[2], la problematica ha una dimensione sovranazionale. Come noto, il dirittoalla conoscenza delle proprie origini biologiche è espressamente riconosciuto dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 delle Nazioni Unite (ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176) sui Diritti del fanciullo: l’art. 7 prevede il diritto di quest’ultimo a conoscere l’identità dei propri genitori biologici.
Con specifico riferimento all’adozione, la Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993, relativa alla Protezione dei minori e alla cooperazione in materia di adozione internazionale, prevede, all’art. 30, che le autorità competenti di ogni Stato contraente conservino accuratamente le informazioni in loro possesso sulle origini del minore, soprattutto quelle concernenti l’identità della madre e del padre naturali così come i dati sulla storia sanitaria del minore e della sua famiglia e “assicurino l’accesso del minore o del suo rappresentante a queste informazioni nella misura prevista dalla legge del loro Stato”[3].
Inoltre, il quadro costituzionale e convenzionale del diritto a conoscere le proprie origini, quale declinazione di primario rilievo del diritto all’identità personale, si completa con gli artt. 2 e 3 della Costituzione e art. 8 della Cedu[4].
Un ruolo decisivo va riconosciuto anche alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Infatti, Corte europea dei diritti dell’uomo, 25 settembre 2012 – Ricorso n. 33783/09 Godelli c. Italia (su cui v. infra § 2.1.), censura l’Italia per il rigido sistema di protezione dell’anonimato della madre biologica[5] e per la conseguente negazione del diritto dell’adottato, non riconosciuto alla nascita, di accedere alle informazioni che riguardano le proprie origini, non consentendo la reversibilità del segreto. La Corte rileva che la conoscenza delle proprie origini costituisce un interesse fondamentale della persona, rientra nel campo di applicazione della nozione di “vita privata” garantita dall’art. 8 della Convenzione che, pertanto, si applica nella fattispecie[6].
Per inciso, si richiama che il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, com’è noto, è riconosciuto in molti Paesi europei[7].
Con riferimento alla cornice legislativa interna inerente la fattispecie, nel nostro ordinamento il comma 1 dell’art. 28 L. 4 maggio 1983, n. 184 e s.m., (in seguito legge adoz.) prevede che i genitori adottivi debbano informare il minore adottato di tale sua condizione nei modi e termini dagli stessi ritenuti più opportuni. Con la legge 28 marzo 2001, n. 149 (c.d. riforma del 2001), che ha modificato il testo del suindicato art. 28, è stato infatti riconosciuto il diritto dell’adottato ad essere informato sulle proprie origini nel rispetto sia dei genitori biologici che di quelli adottivi. Così si è adeguata la normativa italiana alle citate Convenzioni internazionali, che già tutelavano il diritto del minore a conoscere le proprie origini[8].
Il legislatore italiano ha disciplinato il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini biologiche, in forma articolata, negli otto commi nel vigente testo dell’art. 28 L. 4 maggio 1983, n. 184, e s.m., legge sul “Diritto del minore ad una famiglia”.
All’origine l’art. 28 della citata legge, rubricata fino alla riforma del 2001 “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, era costituito da soli due commi (relativi, rispettivamente, il comma 1, al rilascio delle attestazioni di stato civile dell’adottato con la sola indicazione del nuovo cognome e con l’esclusione di qualunque riferimento alla paternità e alla maternità del minore (sostanzialmente il vigente comma 2), e il comma 2 (attuale comma 3, prima parte), ai sensi del quale l’ufficiale di stato civile, l’ufficiale di anagrafe dovevano rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria[9].
Il percorso che ha condotto al riconoscimento del diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini non era ancora iniziato. Appare di tutta evidenza che circa quattro decenni fa la preoccupazione del legislatore era concentrata sulla necessità, o volontà, di tutelare la privacy di adottato e genitori adottivi e sulla preoccupazione di mantenere riserbo (forse anche il segreto) sull’adozione. La legge 28 marzo 2001, n. 149 (c.d. riforma del 2001), effettuando una sorta di rivoluzione copernicana, ha posto al centro il minore adottato, i suoi diritti, in nome dell’interesse “superiore” del minore. Così la legge n. 149 del 2001 ha sostituito diversi articoli della legge del 1983, tra cui l’art. 28, il quale si compone ora di ben otto commi, che prevedono il diritto dell’adottato, scandito secondo la sua età, ad essere informato di tale sua condizione e a conoscere le sue origini biologiche. Ma vi sono dei limiti in caso di parto anonimo (come si illustrerà infra al § 2.): se la madre biologica ha dichiarato al momento del parto di non voler essere nominata, il figlio, non riconosciuto alla nascita, nella ricerca delle proprie origini potrà avere accesso alle sole informazioni non identificative (art. 28, comma 7, legge adoz., e il segreto sull’identità materna ivi previsto è stato irreversibile fino alla sentenza Corte cost. n. 278 del 2013).
Per meglio inquadrare il discorso, anche se l’oggetto del presente scritto è la disposizione specificamente prevista dal comma 7, è opportuno richiamare sinteticamente le altre disposizioni del novellato art. 28 legge adoz. inerenti alle informazioni sul proprio status che devono o possono essere fornite all’adottato.
È compito dei genitori adottivi, nei modi e tempi che essi ritengono più opportuni, come accennato supra, informare l’adottato minorenne di tale sua condizione (comma 1). Per quanto riguarda le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici, l’iter è più dettagliato e controllato: esse possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la responsabilità genitoriale, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, e solo se sussistono gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l’informazione, che sarà data al minore, sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione del medesimo. Le informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore (così prevede il comma 4). Inoltre, ex comma 5, l’adottato, che abbia compiuto i venticinque anni di età, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica (il tribunale per i minorenni dovrà accertare che la conoscenza delle notizie non abbia conseguenze negative sull’equilibrio psico-fisico dell’adottato, e cercare di limitare al massimo per l’adottato i turbamenti ricollegati alla scoperta della verità, che potrebbe emergere[10]. L’istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza. Si tratta di un procedimento deformalizzato[11]. Definita l’istruttoria (con l’audizione delle persone di cui il tribunale ritenga utile l’ascolto e l’assunzione di informazioni di carattere sociale e psicologico) il tribunale per i minorenni autorizza con decreto l’accesso alle notizie richieste (comma 6). Ma, il comma 7 (su cui v. infra, § 2.), disposizione oggetto di querelle su cui hanno inciso, come si dirà, le sentenze della Corte costituzionale n. 278 del 2013 e della Cassazione, a sezioni unite, n. 1946 del 2017, stabilisce che “l’accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396”. Infine, a proposito della autorizzazione del tribunale dei minorenni necessaria per accedere alle informazioni sulle proprie origini, il comma 8, stabilisce (e la norma lascia perplessi) che “Fatto salvo quanto previsto dai commi precedenti, l’autorizzazione non è richiesta per l’adottato maggiore di età quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili”[12]. Pertanto, qualora i genitori adottivi siano entrambi deceduti, non essendo richiesta alcuna autorizzazione del tribunale minorile per accedere ai documenti relativi alla famiglia biologica dell’adottato, rimane compito dell’ufficiale dello stato civileappurare la sussistenza di eventuali circostanze ostative all’accesso[13].
[1] Così, rispettivamente, Renna, Anonimato materno e diritto alla conoscenza delle origini personali, in Riv. critica dir. priv., 2018, p. 75; Casaburi, Osservazioni a Cass. civ., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946, in Foro it. 2017, I, c. 491.
[2] L’argomento è diffusamente trattato anche sui social networks e si imporrebbe una sua regolamentazione per evitare i rischi di eventuali danni alle persone.
[3] Per una ricostruzione dell’evoluzione del diritto a conoscere le proprie origini nell’ordinamento italiano e nei maggiori ordinamenti europei v., per tutti, Stanzione, Scelta della madre per l’anonimato e diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini, in Nuova g. civ. comm. 2017, I, p. 323 ss.; Carbone, Con la morte della madre al figlio non è più opponibile l’anonimato: i giudici di merito e la Cassazione a confronto, in Corr. giur., 2017, p. 34 ss.; nonché, per una lettura comparata attraverso il sistema francese e tedesco, v. Renna, Anonimato materno e diritto alla conoscenza delle origini personali, cit., p. 97 ss.
[4] Il diritto a conoscere le proprie origini costituisce “un’espressione essenziale del diritto all’identità personale” (Cass. civ., sez. un., n. 1946 del 2017, cit.); Cass. civ., n. 22838 del 2016, in Foro it., I, 2016, c. 3786, ricorda altresì che “lo sviluppo della personalità individuale e l’armonica conduzione della propria vita privata e familiare richiedono la costruzione di una propria identità individuale fondata, oltre che su un contesto parentale affettivo educativo riconoscibile, anche su informazioni relative alla propria nascita idonee a svelarne il segreto unitamente alle ragioni dell’abbandono”. Sull’accesso alle origini come componente dell’identità personale, v. il fondamentale studio di Gutmann, Le sentiment d’identité. Étude de droit des personnes et de la famille, Paris, 2000, p. 27 ss.; e, più di recente, Théry-Leroyer, Filiation, origines, parentalité. Le Droit face aux nouvelles valeurs de responsabilité générationnelle, Paris, 2014, 249 ss.; Gründler, Les droits des enfants contre les droits des femmes: vers la fin de l’accouchement sous X?,in LRDH, n. 3/2013, p. 1 ss.
[5] In tema di disciplina sul parto anonimo, si ricorda, con Montaruli, Parto anonimo e accesso alle origini nell’adozione, in www.giudicedonna.it, n. 1/2017, p. 4, che in Europa il parto anonimo è previsto solo in Francia e in Italia, nonché in alcune legislazioni, relativamente recenti (Austria, Lussemburgo, Russia, Slovacchia). Va puntualizzato che in Francia dal 2002 la normativa interna prevede la possibilità di bilanciamento tra il diritto della madre all’anonimato (accouchement sous X) e il diritto del figlio alla ricerca delle proprie origini. Per uno sguardo ampio ai modelli europei v. Troiano, Circolazione e contrapposizione di modelli nel diritto europeo della famiglia: il “dilemma” del diritto della donna partoriente all’anonimato, in Gabrielli-Patti-Zaccaria-Padovini-Cubeddu Wiedemann-Troiano (a cura di), Parte generale e persone, Liber amicorum per Dieter Henrich, Torino, 2012, I, p. 172 ss., spec. 178; Carbone, Con la morte della madre al figlio non è più opponibile l’anonimato: i giudici di merito e la Cassazione a confronto, cit., p. 29 ss., spec. p. 34 ss., anche per un excursus sull’istituto dell’anonimato materno dalle origini alla crisi attuale e sulla situazione normativa italiana e di altri Paesi europei in materia; Stefanelli, Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini, in Dir. fam . pers., 2010, II, p. 426 ss.
[6] Cfr. le pronunce della Corte Edu: Odièvre c. Francia [GC], n. 42326/98, § 29, CEDU 2003 III, e Mikulić c. Croazia, n. 53176/99, § 53, CEDU 2002 I; nonché v. Montaruli, Parto anonimo e accesso alle origini nell’adozione, cit., p. 3.
[7] Per esempio, in Spagna si prevede che l’adottato maggiorenne (o, se minorenne, i genitori adottivi) possa chiedere all’Entidad Pùblica informazioni sulle proprie origini, sull’identità e sui dati sanitari dei genitori biologici. Tali informazioni, in quanto “dati sensibili”, devono essergli comunicate, previa comunicazione alle persone interessate (art. 180 comma 5). In Francia dal 2002 esiste un’autorità amministrativa indipendente (il Conseil National pour l’accès aux origines personnelles) che ha il compito di promuovere l’accesso alle informazioni sulle origini familiari e genetiche da parte di ogni maggiorenne (ma anche dei minorenni capaci di discernimento con il consenso del loro legale rappresentante) che sia stato dato in adozione o comunque che sia in carico ai servizi sociali andando a contattare i genitori biologici rimasti anonimi allo scopo di verificare la persistenza della loro volontà di mantenere l’anonimato o comunque consentendo al figlio l’accesso alle informazioni nel caso in cui per esempio risulti che i genitori sono defunti (art. L. 147-1 e ss. Code de l’action sociale et des familles). Infine, in Inghilterra l’adottato adulto può domandare al tribunale e all’adoption agency di avere accesso alle informazioni contenute nel proprio fascicolo (Adoption and Children Act 2002, sect. 60(2) e sect. 60(4)), nel caso di protected information, l’agency gode di discrezionalità nella decisione sull’accesso, dovendo tener conto della peculiarità del caso concreto, oltre che dell’interesse dell’adottato (Adoption and Children Act 2002, sect. 61(5)), così, Long, Uno sguardo altrove: l’adozione dei minorenni in Francia, Inghilterra e Spagna, in Minori giustizia, 2017, p. 132, spec. p. 139 e s.; v. anche Bolondi, Il diritto della partoriente all’anonimato: l’ordinamento italiano nel contesto europeo, in Nuova giur. civ. comm., 2009, II, 281 ss.
[8] Giusti, Il diritto processuale della famiglia, I, Torino, 2005, p. 258; Fadiga, L’adozione legittimante dei minori. Il diritto di sapere, in Filiazione, Tr. Zatti2, II, a cura di Collura-Lenti-Mantovani, Milano, 2012, p. 934 ss, nonché p. 944 ss. sul diritto all’anonimato; su anonimato materno e diritto alla conoscenza delle origini la letteratura è molto vasta v, per tutti, ampiamente, Stefanelli, Diritto all’identità, in Sassi-Scaglione-Stefanelli, Le persone e la famiglia, III, 4, La filiazione e i minori, in Tr. Sacco2, Milano, 2018, pp. 474-514, spec. 488 ss.; su diritto alla conoscenza delle origini nella procreazione eterologa, nonché in tema di anonimato materno e diritto alla genitorialità, v., Clarizia, Dichiarazione di adottabilità, anonimato materno e diritto alla genitorialità, Dir. fam. pers., 2015, p. 1132; per un sintetico quadro storico della normativa e della giurisprudenza sull’argomento, M. Di Marzio, Adozione. L. 4 maggio 1983, n. 184 – art. 28, in Codice della famiglia, diretto da F. Di Marzio, Milano, 2018, p. 1062 ss.; v. altresì Marella, Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini biologiche. Contenuti e prospettive, in Giur. it. 2001, p. 1768; Auletta, Adozione e conoscenza delle proprie origini, in Libro dell’anno del diritto-Encicl. giur. Treccani, Roma, 2015, p. 20; v., anche per la bibliografia citata, Lombardini, Sub art. 28 L. 4 maggio 1983 n. 184 , in Commentario breve al diritto della famiglia, a cura di Zaccaria4, Padova, 2020, p. 1922 ss.; infine, sulla evoluzione dei rapporti familiari e sulla nuova identità della famiglia contemporanea in Europa v. Sesta, Famiglia e figli in Europa: i nuovi paradigmi, in Fam. e dir., 11/2019, p. 1049 ss.
[9] Sul tema del rilascio di documenti v. le Prescrizioni del Garanteper la protezione dei dati personali, per esempio il Comunicato stampa del 28-11-2001, e il provvedimento dell’8-11-2012, n. 329, richiamati da Lombardini, Sub art. 28 L. 4 maggio 1983 n. 184 , in Commentario breve al diritto della famiglia, a cura di Zaccaria, cit., 1922 ss.; nonché, di recente, in tema di Indicazione di informazioni relative ad adozioni e minori adottati in atti e provvedimenti amministrativi, il comunicato del 18 aprile 2018, Doc-Web: 8987089, in www.garante-privacy.it, in cui “il Garante, ai sensi degli articoli 143, comma 1, lett. b) e 154, comma 1, lett. c) del c.d. Codice privacy (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali), prescrive al Ministero della Giustizia, per il futuro, che atti e provvedimenti amministrativi analoghi a quelli oggetto della segnalazione, siano redatti senza l’indicazione di informazioni relative all’adozione o alle generalità dei minori precedenti la stessa, nel rispetto dell’art. 11, comma 1, lett. a), del Codice” (privacy), e di impartire, al riguardo, opportune istruzioni agli uffici periferici. In tema, in dottrina, v. Rando, Adozione, a cura di Trimarchi, Quaderni di diritto civile, 2004, p. 342 ss.; Petrone, Il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, Milano, 2014, p. 161 ss.
[10] Sul punto v., per tutti, Bianca, Diritto civile, II, La famiglia, Milano, 2014, p. 457, nota 168; Restivo, L’art. 28 l. ad. tra nuovo modello di adozione e diritto all’identità personale, in Familia,2002, p. 691 ss., spec. 707.
[11] Spaccapelo, Il procedimento per l’adozione di un minore di età, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Bonilini, IV, La filiazione e l’adozione, Torino, 2016, p. 3940 s.
[12] Sul diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini e l’identità dei propri genitori biologici: adottato in età minore, adottato maggiorenne – ma che non abbia ancóra compiuto 25 anni -, adottato ultra-venticinquenne, morte o irreperibilità di entrambi i genitori adottivi, nonché sui limiti posti al diritto dell’adottato di conoscere le informazioni relative alle sue origini e all’identità dei propri genitori biologici, sia permesso rinviare, anche per i rilievi critici e la bibliografia citata, a Lombardini, Sub art. 28 L. 4 maggio 1983 n. 184 , in Commentario breve al diritto della famiglia, a cura di Zaccaria, cit., 1922 ss.; Autorino, Manuale di diritto di famiglia3, Torino, 2016, p. 467; nonché Dogliotti-Astiggiano, Le adozioni, a cura di Dogliotti, Milano, 2014, p. 156, l’a rileva che bisognerebbe considerare anche il punto di vista dei genitori-parenti d’origine; e già, Dogliotti, Adozione 1) In generale, Postilla di aggiornamento, Enc. g. Treccani, 3; Specchio, Il diritto dell’adottato di accesso alle informazioni concernenti la propria origine: un’interpretazione evolutiva da parte del tribunale minorile fiorentino, Minori giustizia, 2008, 2, p. 351.
[13] Così Trib. min. Sassari [decr.] 30-5-2002, in Fam. e dir. 2003, p. 71; sul punto v. Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia, in Corr. giur., 2014, p. 471 ss., spec. 486, l’a. propone, condivisibilmente, l’abolizione dell’ultimo comma dell’art. 28 L. adoz., cosicché sulla disciplina non possa incidere la morte o l’irreperibilità dei genitori adottivi.
2. L’attuale assetto normativo dell’art. 28, comma 7, L. n. 184 del 1983 e s.m.: il diritto dell’adottato, non riconosciuto alla nascita, alla conoscenza delle proprie origini e il concorrente diritto della madre biologica all’anonimato
L’evoluzione normativa dell’art. 28 legge adoz. ha conosciuto diverse tappe[14]. In particolare, il vigente comma 7 è stato così riformulato a decorrere dal 1° gennaio 2004, dal comma 2, dell’art. 177, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali (c.d. Codice privacy)[15].
Pertanto la questione del diritto alla conoscenza delle proprie origini va “inquadrata nel sistema complessivo che disciplina il trattamento dei dati personali”[16]. In quest’ottica si consideri: a) che l’art. 177, comma 2, d.lgs. n. 196/2003, ha riscritto il comma 7 dell’art. 28 legge adoz. restringendo il divieto di accesso dell’adottato alle informazioni sulle origini alla sola ipotesi di manifestazione, da parte della madre naturale, della volontà “di non essere nominata” nella dichiarazione di nascita, ai sensi dell’art. 30, comma 1, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396(Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile)[17];b) che, ai sensi dell’art. 93 “Certificato di assistenza al parto” del d.lgs. 196 del 2003, Codice in materia di protezione dei dati personali (c.d. Codice privacy), comma 1, “Ai fini della dichiarazione di nascita il certificato di assistenza al parto è sempre sostituito da una semplice attestazione contenente i soli dati richiesti nei registri di nascita”. Ne deriva che solo collegando la dichiarazione di nascita al certificato di assistenza al parto o alla cartella clinica si riesce a risalire all’identità della madre che abbia optato per l’anonimato al momento del parto[18].
Peraltro, exart. 93, comma 2, Codice privacy (d.lgs. n. 196 del 2003), “Il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata avvalendosi della facoltà di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazione del documento”[19]. Tuttavia non va dimenticato (come spesso sembra accadere) che l’art. 93, comma 3, del Codice in materia di protezione dei dati personali prevede che “Durante il periodo di cui al comma 2”, dunque prima del decorso dei cento anni, “la richiesta di accesso al certificato o alla cartella può essere accolta relativamente ai dati relativi alla madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata, osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile”. È cosi “temperato” il “rigore” del principio espresso dal comma 7 dell’art. 28 legge adoz.[20].
Anche se è stata indubbiamente una nuova ratio che la riforma del 2001 e il Codice privacy (d.lgs. n. 196/2003) hanno infuso nell’art. 28 relativo al diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, rimaneva però non risolta una questione, spinosa perché eticamente sensibile, che ancora oggi coinvolge nel dibattito la società civile e non solo dottrina e giurisprudenza. La questione riguarda diritti confliggenti: il diritto dell’adottato, non riconosciuto alla nascita, all’accesso a tutte le informazioni sulla sua origine, compresi dunque i dati identificativi della madre biologica, da un lato, e, dall’altro, il diritto alla riservatezza della madre che si sia avvalsa della facoltà di non essere nominata al momento del parto (art. 28, comma 7, L. n. 184 del 1983 e s.m.).
[14] Inizialmente l’art. 28 L. adoz. è stato così sostituito dall’art. 24, L. 28 marzo 2001, n. 149. Le parole: “potestà dei genitori” nel comma 4 sono state sostituite dalle seguenti: “responsabilità genitoriale” dall’art. 100, comma 1, lett. p), d.lgs. 28-12-2013, n. 154, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 5 dell’8 gennaio 2014.
[15] Può essere utile ricordare che il testo previgente del comma 7 in discorso, versione dettata dalla l. n. 149/2001, prevedeva il divieto di accesso alle informazioni sulle proprie origini in tre casi: a) se l’adottato non era stato riconosciuto alla nascita dalla madre biologica; b) quando anche uno solo dei genitori biologici aveva dichiarato di non voler essere nominato; c) o aveva manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo). La ratio del divieto di informazione sulle proprie origini biologiche all’adottato (la cui madre naturale abbia scelto di non voler essere nominata) era ravvisabile nel bilanciamento fra le esigenze del minore adottato e quelle, antitetiche, della famiglia naturale, che avrebbe potuto essere sconvolta dal ritorno del figlio. V. sul punto A. e M. Finocchiaro, Adozione e affidamento dei minori, Milano, 2001, p. 133; Stefanelli, Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini, cit., p. 426 ss.; sulla scelta dell’anonimato e gli interessi protetti, v. Renna, Anonimato materno e diritto alla conoscenza delle origini personali, cit., p. 75 ss., spec. p. 81 ss.; per un sintetico quadro storico della normativa e della giurisprudenza sull’argomento, v. M., Di Marzio, Adozione. L. 4 maggio 1983, n. 184 – art. 28 , in Codice della famiglia, diretto da F. Di Marzio, cit., p. 1062 ss.
[16] Così Lenti, Adozione e Segreti, in Nuova g. civ. comm., II, 2004, p. 229.
[17] V., sulla problematica specifica in esame, Coscia, Status di filiazione e diritto della madre a non essere nominata ex art. 30 Regolamento dello stato civile 2000/396, in Lo Stato civile italiano, 2006, p. 341.
[18] Andreola, Accesso alle informazioni sulla nascita e morte della madre anonima, in Fam e dir., 2017, p. 26; Checchini, Una singolare fase della maternità. Tra il parto e l’atto di nascita, in Nuova g. civ. comm., 2013, II, p. 83; ancora Checchini, La giurisprudenza sul parto anonimo e il nuovo “istituto” dell’interpello, in Nuova g. civ. comm., 2017, II, p. 1290.
[19] Su diritto di accesso alla cartella clinica e diritto alla privacy, v., anche per la bibliografia citata, Baice, La cartella clinica tra diritto di riservatezza e diritto di accesso, in Resp. civ., 2008, p. 169). “Cento anni”: viene dunque stabilito un vincolo all’anonimato che eccede la possibile durata della vita umana, con la finalità evidente di proteggere la vita (del nascituro), tutelando la riservatezza dell’identità della madre biologica (per motivazioni più ampie v. infra la decisione Corte cost. n. 425 del 2005).
[20] Sul punto v. Montaruli, Parto anonimo e accesso alle origini nell’adozione, in giudicedonna.it, cit., p. 10.
2.1. Il necessario bilanciamento di tali diritti e il principio di revocabilità dell’anonimato nelle decisioni della Corte Edu e della Corte costituzionale
Ed infatti la Corte costituzionale è chiamata, già nel 2005, una prima volta a pronunciarsi sulla problematica relativa alla legittimità del divieto all’accesso dell’adottato alle informazioni sulle proprie origini biologiche, qualora la madre abbia dichiarato al momento del parto di non voler essere nominata: Corte Cost. 25 novembre 2005, n. 425 ha statuito che non è fondata la q.l.c. dell’art. 28, comma 7, L. 4 maggio 1983, n. 184, nel testo modificato dall’art. 177, comma 2, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., nella parte in cui esclude la possibilità di autorizzare l’adottato all’accesso alle informazioni sulle origini senza avere previamente verificato la persistenza della volontà di non essere nominata da parte della madre biologica[21]. Secondo la Consulta la norma impugnata, art. 28, comma 7, L. 4 maggio 1983, n. 184, che mira a tutelare la gestante (la quale in situazioni particolarmente difficili dal punto di vista personale, economico o sociale, abbia deciso di non tenere con sé il bambino), non prevede per la tutela dell’anonimato della madre nessun tipo di limitazione, in quanto intende, da un lato, assicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali e, dall’altro, distogliere la donna da decisioni irreparabili, e, perseguendo questa duplice finalità, costituisce espressione di una ragionevole valutazione comparativa dei diritti inviolabili dei soggetti della vicenda e non si pone in contrasto con gli artt. 2 e 32 Cost., dovendosi altresì escludere la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevole disparità fra l’adottato nato da donna che abbia dichiarato di non voler essere nominata e l’adottato figlio di genitori che non abbiano reso alcuna dichiarazione al riguardo, in quanto la diversità di disciplina non è ingiustificata, solo la prima ipotesi, e non anche la seconda, essendo caratterizzata dal rapporto conflittuale fra il diritto dell’adottato alla propria identità personale e quello della madre al rispetto della sua volontà di anonimato[22]. Il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini biologiche, nel caso in cui la madre abbia manifestato nella dichiarazione di nascita di non voler essere nominata, si colloca tra la tutela della identità dell’adottato e la protezione del riserbo della madre biologica. Dunque, costituisce l’esito del contemperamento di interessi conflittuali: “l’interesse della madre naturale all’anonimato” ed “il diritto del figlio all’identità personale” (art. 2 Cost.), nonché “l’interesse della madre naturale all’anonimato” ed “il diritto alla salute ed all’integrità psico-fisica dell’adottato” (art. 32 Cost.) di conseguenza configura il risultato della scelta di attribuire la priorità al diritto alla salute e alla riservatezza della madre gestante (e, indirettamente, quindi, al diritto alla vita del nascituro).
Dalla lettura delle motivazioni della sentenza si deduce che lo schema argomentativo scelto dalla Corte costituzionale poggia più che su un “bilanciamento di diritti” sulla prevalenza da accordare alla protezione della vita prenatale. Il ragionamento della Corte appare una difesa del diritto alla vita e alla salute, dei due valori che informano la scelta dell’anonimato materno. Può dirsi che su una configurazione privatistica dell’istituto dell’adozione prevale un inquadramento più attento ai profili di interesse generale, profili di interesse pubblico[23], ed è altresì evidente la difficoltà di conciliare opposti interessi, il diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini e il diritto all’oblio del genitore biologico[24].
Il quadro normativo di riferimento, art. 28 legge adoz., muta in seguito alla seconda pronuncia della Corte costituzionale sul tema, la sentenza n. 278 del 22 novembre 2013, ma fra le due pronunce sulla stessa materia è intervenuta la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza: Corte Edu, 25 settembre 2012, ricorso n. 33783/09, causa Godelli c. Italia, che ha p>revirement della Consulta. Peraltro, è indubbio che nella sentenza Corte Cost. 22 novembre 2013, n. 278si sia tenuto conto anche della pronuncia della Corte Edu del 2003[25], oltre che, e soprattutto, come si diceva, dei rilievi formulati dalla Corte di Strasburgo, nella sentenza del 2012 sull’Affaire Godelli, la quale, infatti, viene richiamata dalla Consulta. Corte Edu, 25 settembre 2012 ha censurato l’Italia per il rigido sistema di protezione dell’anonimato della madre biologica, a differenza del sistema francese esaminato nella sentenza Odièvre che è più flessibile[26]. In sintesi, secondo Corte Edu lo Stato italiano ha violato l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sulla base di queste motivazioni: – “la Corte considera il diritto all’identità, da cui deriva il diritto di conoscere la propria ascendenza, come parte integrante della nozione di vita privata” e riconosce l’ “interesse vitale” all’accesso alle informazioni “necessarie alla scoperta della verità concernente un aspetto importante della propria identità personale, ad esempio l’identità dei propri genitori”; – “la normativa italiana non tenta di mantenere alcun equilibrio tra i diritti e gli interessi concorrenti in causa”; – “in assenza di meccanismi destinati a bilanciare il diritto della ricorrente a conoscere le proprie origini con i diritti e gli interessi della madre a mantenere l’anonimato, viene inevitabilmente data una preferenza incondizionata a questi ultimi”. – Pertanto, “se la madre biologica ha deciso di mantenere l’anonimato, la normativa italiana non dà alcuna possibilità al figlio adottivo e non riconosciuto alla nascita di chiedere l’accesso ad informazioni”. In altre parole, la Corte ha ritenuto che la legge italiana fosse troppo orientata verso la tutela della madre a discapito dei diritti del figlio, perché non consentiva di effettuare un bilanciamento delle diverse esigenze, al fine di garantire ai soggetti coinvolti il pieno rispetto del diritto alla vita privata e familiare assicurato dall’art. 8 della Convenzione europea.
Il percorso evolutivo della disposizione (comma 7, art. 28, legge adoz.) segna quindi una nuova decisiva tappa con la seconda pronuncia della Consulta sulla questione. Con un parziale revirement, la Corte costituzionale, con sentenza n. 278 del 22 novembre 2013[27], sancisce l’illegittimità costituzionale del comma 7 dell’art. 28 legge adoz., nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, d.p.r. 3 novembre 2000, n. 396, su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.
Da un lato la Corte riconosce il fondamento costituzionale del diritto all’anonimato della madre, basato “sull’esigenza di salvaguardare madre e neonato da qualsiasi perturbamento, connesso alla più eterogenea gamma di situazioni, personali, ambientali, culturali, sociali, tale da generare l’emergenza di pericoli per la salute psico-fisica e la stessa incolumità di entrambi e da creare, al tempo stesso, le premesse perché la nascita possa avvenire nelle condizioni migliori possibili”, dall’altro lato, però riconosce che “anche il diritto del figlio a conoscere le proprie origini e ad accedere alla propria storia parentale costituisce un elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona”. La Consulta quindi non nega il diritto della madre all’anonimato, ma censura la norma in esame “per la sua eccessiva rigidità” e riconosce che nell’ottica di un bilanciamento dei due diritti, “il vulnus è rappresentato dallairreversibilità del segreto”,la quale, risultando in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., deve di conseguenza essere rimossa[28].
Nel dispositivo la Corte statuisce che sarà compito del legislatore introdurre apposite disposizioni finalizzate a permettere la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, al contempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, “secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui innanzi si è detto”.
Pertanto, la Consulta nell’arrêt n. 278 del 2013 prevede la possibilità di interpello della madre, con modalità idonee a preservare la massima riservatezza, da parte del giudice su richiesta del figlio, al fine di un’eventuale revoca dell’anonimato, ma “non prende posizione né sul diritto del figlio di conoscere chi l’ha procreato (art. 30 Cost. – che introduce un principio di responsabilità per il fatto della procreazione: «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio» -), né sul bilanciamento tra le contrastanti posizioni della madre e del figlio che può invocare gli artt. 7 e 8 Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo e l’art. 30 della Convenzione dell’Aja del 1993 sulla protezione dei minori, ratificate e rese esecutive in Italia”[29].
Considerata la conclusione della pronuncia della Corte, ben presto nella giurisprudenza si sono delineate due linee interpretative.
Secondo la prima: la sentenza della Corte Costituzionale non sarebbe stata immediatamente efficace, “a causa dell’esplicita riserva di legge in essa contenuta nella conclusione”[30]. Pertanto la tutela dell’interesse dell’adottato, pur nel suo assetto minimale prospettato dalla sentenza, non risulterebbe ancora azionabile. Conseguentemente, alcuni uffici, tra cui quello sopra citato della Corte di Appello di Milano, non consentivano, stante l’assenza di una legge che ne disciplinasse le modalità, di compiere ricerche e interpellare la donna, che aveva deciso di partorire nell’anonimato e di dare in adozione il proprio figlio, circa la persistenza della sua volontà di non essere nominata[31].
Invece, la seconda linea interpretativa ammetteva la possibilità di interpello riservato della madre “anonima” pure in assenza di una specifica disciplina legislativa. È questo l’orientamento avallato anche da Cass., sez. un., n. 1946 del 2017, che ritiene non corretto il primo e afferma che la sentenza della Corte Costituzionale: – “è una pronuncia additiva di principio”, ossia il dispositivo, oltre alla dichiarazione d’incostituzionalità, stabilisce un principio sulla cui base il legislatore dovrà basare la futura azione legislativa e il giudice dovrà fondare la propria decisione sul caso concreto; – inoltre, la sentenza n. 278 del 2013, con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità del comma 7, dell’art. 28 legge adoz., “è una pronuncia di accoglimento, […] non contiene soltanto l’addizione di un principio, ma anche una regola chiara circa la possibilità d’interpello della madre da parte del giudice su richiesta del figlio. Pertanto, il mancato intervento del legislatore non può giustificare la violazione di un diritto del figlio, ormai riconosciuto mediante la declaratoria d’incostituzionalità”[32]. Non solo, ma, com’è noto, la disposizione dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia e non può essere più applicata dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione: così anche il comma 7, art. 28, legge adoz., che negava la possibilità per l’adottato nato da parto anonimo di attivare un procedimento finalizzato a raccogliere l’eventuale revoca della dichiarazione di non essere nominata da parte della madre biologica.
In attesa dell’intervento legislativo, alcuni tribunali hanno dato immediata attuazione al dictum della Corte costituzionale, procedendo all’interpellodella madre biologica per verificarne l’attuale volontà, anche se, in assenza di una disciplina dell’interpello consequenziale alla pronuncia della Corte, i tribunali minorili hanno seguito prassi nonuniformi[33].
Diversamente, altri uffici giudiziari favorevoli ad aspettare l’intervento del legislatore, hanno ritenuto chein mancanza di un’apposita legge volta a colmare il vuoto legislativo determinato a seguito della declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 28 della legge sull’adozione, nella parte in cui non permette di rendere reversibile la scelta dell’anonimato della donna che partorisce, “il giudice non può rendere operativo il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini”[34].
[21] Corte Cost. 25 novembre 2005, n. 425, in Gazz. Uff. 30 novembre 2005, n. 48, 1ª Serie speciale; nonché in Fam. e dir. 2006, p. 129, con nota di Eramo, Il diritto all’anonimato della madre partoriente; in Familia 2006, II, p. 155 ss., con nota di Balestra, Il diritto alla conoscenza delle proprie origini tra tutela dell’identità dell’adottato e protezione del riserbo dei genitori biologici; in Fam. pers. e succ., 2006, p. 884 ss., con nota di Carletti, Accesso dell’adottato alle informazioni sulle proprie origini: legittimo il divieto ove la madre abbia dichiarato di non voler essere nominata; in Giur. cost. 2005, p. 4594, con nota di Cozzi, La Corte costituzionale e il diritto di conoscere le proprie origini in caso di parto anonimo: un bilanciamento diverso da quello della Corte europea dei diritti dell’uomo?; in Giur. it. 2006, p. 1801, con nota di Marzucchi; in Nuova g. civ. comm., 2006, I, p. 545 ss., con nota di Long, Diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini: costituzionalmente legittimi i limiti nel caso di parto anonimo; sul tema v. altresì Fadiga, L’adozione legittimante dei minori. Il diritto di sapere, in Filiazione, Tr. Zatti2, II, a cura di Collura-Lenti-Mantovani, cit., p. 944 ss.; Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia, cit., 471 ss., spec. 481; Sesta, Manuale di diritto di famiglia7, Padova, 2016, p. 441; nonché le riflessioni di Gosso, L’adottato alla ricerca delle proprie origini. Spunti di riflessione, Fam. e dir., 2011, p. 204 ss.; Lenti, Adozione e Segreti, cit., p. 229 ss.; e già Lenti, Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini, in Minori giustizia, 2003, p. 144 s.; Stefanelli, Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini, cit., p. 426 ss.; Restivo, L’art. 28 l. ad. tra nuovo modello di adozione e diritto all’identità personale, cit., p. 691 ss.; Liuzzi, Il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini: una vexata quaestio, in Fam. e dir. 2002, p. 89 ss.; Figone, Sulla conoscenza delle proprie origini da parte dell’adottando, Fam. e dir. 2003, p. 69 ss., spec. p. 72 ss.; Dogliotti, Verità biologica, legale, effettiva nel rapporto di filiazione, in Fam. e dir. 2004, p. 90 ss.; Lisella, Ragioni dei genitori adottivi, esigenze di anonimato dei procreatori e accesso alle informazioni sulle origini biologiche dell’adottato nell’esegesi del nuovo testo dell’art. 28 L. 4 maggio 1983, n. 184 , in Riv. dir. civ., 2004, p. 413 ss.; Pane, Favor veritatis e diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini nella recente riforma dell’adozione, in Diritto alla famiglia e minori senza famiglia, a cura di Ruscello, Padova, 2005, p. 105 ss.
[22] Concorda sulle ragioni addotte a sostegno del parto anonimo indicate dalla Corte: Troiano, Circolazione e contrapposizione di modelli nel diritto europeo della famiglia: il “dilemma” del diritto della donna partoriente all’anonimato, in Gabrielli-Patti-Zaccaria-Padovini-Cubeddu Wiedemann-Troiano (a cura di), I, Parte generale e persone, Liber amicorum per Dieter Henrich, cit., p. 172 ss, spec. p.178 e p. 192 ss.; invece critico è Renda, L’accertamento della maternità . Profili sistematici e prospettive evolutive, Torino 2008, p. 150 e p. 213 ss. Il divieto di cui all’art. 28, l. n. 184 del 1983 non si riferisce solo alle notizie dirette sulla genitrice, ma comprende altresì tutti i dati che, con una certa prevedibilità, possono, comunque, condurre all’identificazione della madre, o a facilitare la sua ricerca (Trib. min. L’Aquila [decr.] 3-12-2007, in Dir. fam. 2008, p. 712 s.).
[23] Lo rileva anche Casaburi, Osservazioni a Corte cost. n. 278 del 2013 , in Foro it. 2014,c. 10 s.
[24] Fadiga, L’adozione legittimante dei minori. Il diritto di sapere, in Filiazione, Tr. Zatti2, II, cit., p. 947 s. Dopo la pronuncia Corte Cost. n. 425 del 2005 in dottrina il dibattito sulla questione è stato vivace. Sul punto v., oltre agli autori sopra citati, Stanzione, Identità del figlio e diritto di conoscere le proprie origini, Torino, 2015, passim; Bozzi, La parabola del diritto a conoscere le proprie origini. Brevi riflessioni, in Nuova g. civ. comm., 1/2019, p. 170 ss.; nonché, anche per la bibliografia citata, Lombardini, Sub art. 28 L. 4 maggio 1983 n. 184 , in Commentario breve al diritto della famiglia, a cura di Zaccaria, cit., 1922 ss.
[25] Anche la Corte di Strasburgo, nel sopra citato arrêt del 2012, si riferisce alla precedente decisione sulla questione, vale a dire a Corte Edu 13 febbraio 2003, Odièvre c. Francia, (in Familia 2004, II, p. 1109, con nota di Renda, La sentenza Odièvre c. Francia della Corte Europea dei diritti dell’uomo: un passo indietro rispetto all’interesse a conoscere le proprie origini biologiche; in Quad. cost. 2012, p. 447, con nota di Paris, Parto anonimo e bilanciamento degli interessi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, del Conseil constitutionnel e della Corte europea dei diritti dell’uomo; in Nuova g. civ. comm., 2004, II, p. 283 ss., con nota di Long, La Corte europea dei diritti dell’uomo, il parto anonimo e l’accesso alle informazioni sulle proprie origini: il caso Odièvre c. Francia, cui si rinvia anche per un’informazione sulle soluzioni adottate negli altri Paesi), in cui la Corte Edu ricorda che la legislazione francese (Loi 22 janvier 2002, n. 2002-93, in www.legifrance.gouv.fr), consentendo l’accesso del figlio adottivo alle informazioni relative all’identità della madre biologica, che lo abbia abbandonato alla nascita esercitando la facoltà di partorire nell’anonimato (artt. 341, 341-1 Code civil ), solo in quanto questa acconsenta all’accesso ai dati conservati presso il CNAOP (Conseil national pour l’accès aux origines personnelles), non costituisce violazione dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, protettivo del diritto al rispetto della vita privata. Infatti, l’art. 8 della Convenzione, nel proteggere l’individuo da arbitrarie interferenze da parte dello Stato, non solo fa divieto a quest’ultimo di porre in essere siffatte interferenze, ma pure lo vincola a soddisfare l’obbligazione positiva di assicurare l’interesse vitale dell’individuo a ricevere le informazioni necessarie a conoscere e a comprendere la propria infanzia e il proprio sviluppo nelle fasi iniziali della vita, nel cui adempimento l’ordinamento nazionale deve effettuare un corretto bilanciamento tra contrapposti interessi, disponendo a tale scopo di un certo margine di apprezzamento. Ne consegue che la soluzione volta a bilanciare il diritto della persona a conoscere le proprie origini con l’interesse della madre a rimanere anonima al fine di tutelare la propria salute, partorendo in condizioni mediche appropriate, nonché con l’esigenza di prevenire aborti e abbandoni dei neonati e con gli interessi dei terzi (i genitori adottivi e gli altri membri della famiglia biologica), adottata dalla normativa francese, che ha introdotto la reversibilità del segreto, costituisce espressione di una scelta del legislatore compatibile con il grado di discrezionalità riconosciuto dalla Convenzione nell’effettuazione di siffatto bilanciamento di interessi. In tema cfr. Stefanelli, Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini, cit., p. 426 ss.
[26] Corte Edu 25 settembre 2012, ric. 33783/09, Godelli c. Italia, in Nuova g. civ. comm., 2013, I, p. 103, con nota di Long, La corte europea dei diritti dell’uomo censura l’Italia per la difesa a oltranza dell’anonimato del parto: una condanna annunciata; in Fam. e dir. 2013, p. 537, con nota di Currò, Diritto della madre all’anonimato e diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini. Verso nuove forme di contemperamento; in Giust. civ. 2013, I, p. 1597, con nota di Ingenito, Il diritto del figlio alla conoscenza delle origini e il diritto della madre al parto anonimo alla luce della recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo; in Corr. giur. 2013, p. 940, con nota di Carbone; in Minori giustizia 2013, 2, p.340, con nota di Margaria, Parto anonimo e accesso alle origini: la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna la legge italiana.
[27] Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Gazz. Uff. 27 novembre 2013, n. 48 – Prima serie speciale; nonché in Fam. e dir . 2014, p. 11, con nota di Carbone, Un passo avanti del diritto del figlio, abbandonato e adottato, di conoscere le sue origini rispetto all’anonimato materno; in Nuova g. civ. comm., 2014, I, p. 279, con nota di Long, Adozione e segreti: costituzionalmente illegittima l’irreversibilità dell’anonimato del parto e con nota di Marcenò, Quando da un dispositivo di incostituzionalità possono derivare incertezze, in Nuova giur. civ. 4/2014, p. 285 s.; v. anche G. Finocchiaro, Il segreto sulle origini perde il carattere irreversibile ma la donna può decidere se restare nell’anonimato, in Guida al dir., 2013, n. 49-50, p. 20.
[28] Va rilevata, al punto 5 della pronuncia, la distinzione tra la nozione di “genitorialità giuridica” e quella di “genitorialità naturale”. Afferma infatti la Consulta che, sul piano generale, una scelta per l’anonimato che comporti una rinuncia irreversibile alla “genitorialità giuridica” può, invece, ragionevolmente non implicare anche una definitiva e irreversibile rinuncia alla “genitorialità naturale”: ove così fosse, d’altra parte, risulterebbe introdotto nel sistema una sorta di divieto destinato a precludere in radice qualsiasi possibilità di reciproca relazione di fatto tra madre e figlio, con esiti difficilmente compatibili con l’art. 2 Cost. In altri termini, mentre la scelta per l’anonimato legittimamente impedisce l’insorgenza di una “genitorialità giuridica”, con effetti inevitabilmente stabilizzati pro futuro, non appare ragionevole che quella scelta risulti necessariamente e definitivamente preclusiva anche sul versante dei rapporti relativi alla “genitorialità naturale”: potendosi quella scelta riguardare, sul piano di quest’ultima, come opzione eventualmente revocabile (in seguito alla iniziativa del figlio), proprio perché corrispondente alle motivazioni per le quali essa è stata compiuta e può essere mantenuta. La disciplina all’esame è, dunque, censurabile per la sua eccessiva rigidità (così Corte Cost. n. 278 del 2013, cit., punto 5).
[29] Carbone, Un passo avanti del diritto del figlio, abbandonato e adottato, di conoscere le sue origini rispetto all’anonimato materno, cit., p. 15 ss.; v. altresì Gigliotti, Parto anonimo e accesso alle informazioni identitarie (tra soluzioni praticate e prospettive di riforma), in E. dir. priv., 2017, p. 931 ss.
[30] Così App. Milano [decr.] 10 marzo 2015, n. 496, in www.altalex.it.
[31] Come ricorderà Cass. civ., sez. un., n. 1946 del 2017, su cui v. infra § n. 3, è questo l’orientamento anche dei Tribunali per i minorenni di Milano, Catania, Bologna, Brescia, Salerno; in dottrina v. Auletta, Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia, cit., p. 476; cfr. Long, Diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini: costituzionalmente legittimi i limiti nel caso di parto anonimo, cit., p. 556.
[32] In termini, Cass. civ., s. u., n. 1946 del 2017, su cui v. infra § n. 3.
[33] V. Trib. min. Firenze 7 maggio 2014 [ord.], in Fam. e dir. 2014, p. 1003 ss., con nota di Carbone, L’adottato alla ricerca della madre biologica; App. Venezia 21 marzo 2014, App. Catania 5 dicembre 2014,in www.altalex.it e in Foro it. 2015, I, c. 697; App. Catania 14 ottobre 2015, in Foro it., 2016, I, c. 930, con Osservazioni di Casaburi, secondo cui il giudice minorile (anche di appello, se richiesto con il reclamo), su istanza del figlio maggiorenne di una donna che, alla nascita, aveva dichiarato di non voler essere nominata e che è stato adottato da terzi, può procedere all’interpello della stessa, con l’opportuna riservatezza, per verificare se ella intenda tenere ferma o meno l’originaria dichiarazione, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina di dettaglio, imposta in materia da Corte Cost. n. 278 del 2013; v. anche App. Salerno, 25 luglio 2016, in www.ilfamiliarista.it, 28 dicembre 2016; nonché Trib. minori Trieste [decr.] 5 marzo 2015, in Fam. e dir. 2015, p. 830 ss., con nota di Carratta, Effettività del diritto alla ricerca della madre biologica, il quale, in assenza di una specifica disciplina normativa, individua le regole che in via di prassi devono essere seguite, una volta identificata la madre biologica dell’adottato, in modo da dare attuazione alle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale; “una sorta di ‘decalogo’ delle regole di procedura da seguire per l’interpello” della madre biologica, nota Gigliotti, Parto anonimo e accesso alle informazioni identitarie (tra soluzioni praticate e prospettive di riforma), cit., p. 933, nota 96.
[34] In termini, App. Milano [decr.] 10 marzo 2015, n. 496, in www.altalex.it, con nota di Vassallo, nonché, similmente, Trib. minori Catania, 26 marzo 2015, in Minori giustizia, 2015, p. 211.
3. L’incisivo intervento delle pronunce più recenti (Cass., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946 e Cass. 7 febbraio 2018, n. 3004): un punto di arrivo o una tappa in itinere?
Sulla questione si è pronunciata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite: Cass. civ., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946[35], che ha consacrato il diritto dell’adottato all’interpello della madre, che al momento della nascita del figlio abbia dichiarato di non voler essere nominata (avvalendosi della facoltà di cui all’art. 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000), pur in mancanza della normativa di attuazione. La Cassazione ha infatti statuito che, anche in assenza dell’intervento del legislatore, in tema di parto anonimo, per effetto della sentenza Corte Cost. n. 278 del 2013, sussiste la possibilità per il giudice (minorile) di dare attuazione al diritto del figlio di conoscere le proprie origini, utilizzando un modulo procedimentale idoneo a verificare la volontà e la disponibilità a rimuovere il segreto sulla propria identità da parte della madre biologica: interpellare la madre che, ai sensi dell’art. 30 d.p.r. 396 del 2000, ordinamento dello stato civile, si sia avvalsa all’epoca della nascita, della facoltà di non essere nominata, per verificare l’attualità del suo intento di conservare l’anonimato e, dunque, ai fini di una eventuale revoca della relativa dichiarazione.
Le modalità procedimentali vanno desunte dal quadro normativo, in particolare dall’art. 28, l. n. 184 del 1983, e dall’art. 93, d. lgs. n. 196 del 2003, nonché dalla pronuncia Corte cost. n. 278 del 2013, tali da assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la madre, interpellata, non rimuova la dichiarazione di anonimato resa al momento della nascita, persistendo dunque il rifiuto della medesima di svelare la propria identità. Ciò significa che, nel procedimento (di volontaria giurisdizione) già delineato dai commi 5 e 6 dell’art. 28, il giudice inserirà le misure necessarie ad assicurare la riservatezza della madre[36].
La pronuncia delle Sezioni unite n. 1946 del 2017 costituisce indubbiamente “una pronuncia di grande rilievo”: se un diritto, “è riconosciuto (addirittura perché di rilevanza costituzionale), se ne deve consentire l’esercizio, senza che ciò possa essere ostacolato dall’inerzia del legislatore”[37]. La pronuncia, oltre ad aver statuito l’immediata applicabilità dell’arrêt della Corte costituzionale del 2013 (e dunque, in concreto, dell’istituto dell’interpello della madre biologica che aveva scelto l’anonimato al momento del parto), ha il merito di aver composto, da un lato la diversità tra le disomogenee prassi giurisprudenziali in materia di interpello, che la giurisprudenza di merito aveva procedimentalizzato (la sopra citata pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte ne dà atto, stabilendo la correttezza di una ricostruita prassi applicativa e avallandola), dall’altro di “avere composto la discrasia creatasi tra la giurisprudenza interna e quella della Corte Edu”[38].
È pur vero che resta qualche perplessità. In estrema sintesi, le perplessità vertono, mi sembra, in primo luogo sulle obiettive difficoltà di rispettare il dictum di Corte cost. 278 del 2013, richiamato dalle Sezioni Unite, vale a dire che l’istituto dell’interpello, così come prospettato, sia in grado di “assicurare il massimo rispetto e la massima riservatezza della dignità della donna”, non solo durante il suo svolgimento, ma già prima, perché “all’interpello, comunque, deve almeno potersi pervenire (e prima ancora, la madre va ricercata, il che può porre rilevantissimi problemi anche pratici)”[39]; in secondo luogo sul rischio di ricadute negative dell’istituto dell’interpello: che possa disincentivare il ricorso al parto anonimo, a causa del timore della donna di poter essere contattata un giorno allo scopo di verificare la perdurante attualità della scelta dell’anonimato, e, di riflesso, affievolire la tutela della vita del nascituro. Si tratta di preoccupazioni, del resto, già espresse da Corte cost. n. 425 del 2005[40].
In senso conforme la successiva Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2017, n. 14162[41], che pone in evidenza il necessario bilanciamento di diritti concorrenti: il diritto del figlio adottato a conoscere delle proprie origini e ad accedere alla propria storia parentale e il diritto all’anonimato della madre biologica, che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, “fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre a svelare la propria identità”.
Una problematica implicitamente trattata nella sentenza delle Sezioni Unite concerne la possibilità o meno dell’adottato di conoscere l’identità della madre biologica, ormai deceduta, che abbia dichiarato al momento del parto di non voler essere nominata. La Suprema corte si limita a richiamare e, dunque, ad avallare due pronunce materia. La prima, Cass. civ., 21 luglio 2016, n. 15024[42], la seconda, confermativa, ma più compiutamente motivata, Cass. civ., 9 novembre 2016, n. 22838[43].
In entrambe le pronunce si sancisce che il diritto dell’adottato – nato da donna che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata exart.30, comma 1, d.p.r. n. 396/2000 – ad accedere alle informazioni concernenti la propria origine e l’identità della madre biologica sussiste,e può essere concretamente esercitato, anche se la stessa sia morta e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare l’anonimato, non rilevando in senso ostativo il mancato decorso del termine dei cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica di cui all’art. 93, d. lgs. n. 196/2003, Codice in materia di protezione dei dati personali. Dunque, l’intervenutamorte della madre, che si era avvalsa della facoltà di non essere nominata nell’atto di nascita del figlio, dato in adozione, senza che abbia potuto essere interpellata ai fini dell’eventuale revoca di tale dichiarazione, non osta all’accoglimento della domanda del figlio stesso, che chiede di conoscerne i dati identificativi; fermo che, aggiunge Cass., civ., n. 22838/2016, “il trattamento di siffatti dati concernenti la sua identità personale deve essere eseguito in modo corretto e lecito, senza cagionare danni, anche non patrimoniali, all’immagine, alla reputazione e ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati (discendenti, familiari)”[44].
Le Sezioni unite della Cassazione nella pronuncia n. 1946/2017, citando le due pronunce suindicate, di cui trascrivono il dispositivo, per un verso prendono atto che “nel riconoscere il diritto dell’adottato ad accedere a informazioni sulle proprie origini anche nel caso in cui non sia più possibile procedere all’interpello della madre naturale per morte della stessa, entrambe le pronunce mostrano di ritenere che già adesso il figlio nato da parto anonimo possa chiedere l’interpello della madre sulla reversibilità della scelta e che la sentenza di costituzionalità abbia prodotto l’ulteriore effetto di sistema di rendere flessibile il rigore dello sbarramento temporale contenuto nel citato art. 93”, per altro verso però non mancano di sottolineare la necessità di rispettare e proteggere la riservatezza della madre biologica e dei suoi dati personali.
Sulla medesima questione del diritto dell’adottato ad accedere ad informazioni identificative in caso di morte della madre biologica si è espressa ancora, di recente, la Suprema corte (Cass. civ., sez. VI-1, ord., 07 febbraio 2018, n. 3004)[45]haribadito che sussiste il diritto del figlio di conoscere le proprie origini biologiche tramite accesso alle informazioni relative all’identità personale della madre, anche se la stessasia morta o irreperibilee non sia possibile effettuare la verifica della perdurante attualità della scelta di mantenere il segreto. Ha inoltre puntualizzato che non può infatti ritenersi operativo, oltre il limite della vita della madre, il termine, stabilito dal d. lgs. n. 196 del 2003, che permette l’acquisizione dei dati relativi alla propria nascita decorsi cento anni dalla data del parto, poiché ciò comporterebbe la cristallizzazione della scelta dell’anonimato da parte della madre anche dopo la sua morte e la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio, in palese contrasto con la indispensabile reversibilità del segreto e l’affievolimento, se non la scomparsa, di quelle ragioni di protezione che l’ordinamento ha considerato meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre, proprio a causa della revocabilità di tale scelta.
Parte della dottrina ha espresso delle perplessità sul dictum della Corte, in quanto può sussistere un interesse al mantenimento del segreto sulla identità della madre biologica in relazione a situazioni soggettive dei discendenti o congiunti della stessa[46].
Alla luce di quanto sopra illustrato, anche se non è questa la sede per l’analisi e la valutazione dell’istituto dell’interpello della madre biologica, che abbia dichiarato al momento della nascita del figlio di non voler essere nominata, nonché delle prassi seguite per esperirlo, sia consentito un sintetico accenno a un concreto profilo problematico della disciplina di dettaglio introdotta e seguita per procedere all’interpello. La criticità più palese mi pare infatti procedimentale. Ritenendo esercitabile il diritto dell’adottato non riconosciuto alla nascita di accedere alla conoscenza delle proprie origini e dei dati identificativi della madre biologica (perché è quest’ultimo il punto clou), si renderebbe necessario introdurre e utilizzare un procedimento di interpello che consenta al giudice di contattare, “effettivamente” nella massima riservatezza, la madre biologica, ancora in vita[47] (per verificare se voglia confermare o revocare la scelta dell’anonimato effettuata a suo tempo, al momento del parto), massima ed effettiva riservatezza a monte, a partire dal momento della ricerca della madre biologica (aspetto questo dimenticato nelle sopra citate pronunce della Cassazione, che può non essere facile e comportare lunghe e complesse indagini), ma altresì a valle per la necessaria tutela dei diritti della madre e di eventuali terzi interessati[48]. Non può negarsi che, ad oggi, nello svolgimento della lunga catena procedimentale caratterizzante l’esercizio dell’interpello della madre biologica che abbia scelto l’anonimato, a causa dell’intervento e/o del coinvolgimento di numerose persone (giudici, cancellieri, polizia giudiziaria del tribunale per i minorenni cui si rivolge l’interessato, responsabile del reparto di maternità e dell’ufficio cartelle cliniche, personale incaricato di rintracciare la madre – per esempio l’Ufficio dell’anagrafe per verificare la permanenza in vita della donna e individuare il luogo di residenza – personale impiegatizio del comune di residenza, altri giudici e cancellieri incaricati di contattarla, servizi sociali interpellati) si possano facilmente verificare, nelle diverse fasi del procedimento, delle “assenze” di tutela del diritto alla riservatezza della madre biologica e del nucleo familiare eventualmente costituito dopo l’evento. Cosicché, non può non rilevarsi la difficoltà che l’interpello sia effettuato con modalità procedimentali tali da “assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità della donna” (come previsto da Cass. civ., sez. un., n. 1946 del 2017), con il rischio di non “cautelare in termini rigorosi il diritto all’anonimato”, disattendendo in tal modo le indicazioni e i criteri enunciati da Corte cost. 278 del 2013[49] al fine di tutelare al massimo la segretezza e al contempo la dignità della madre biologica, nonché di riflesso dell’eventuale famiglia che nel frattempo la donna potrebbe aver costruito.
[35] Cass. civ., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946, in Foro it. 2017, I, c. 477 ss., con Osservazioni di Casaburi, e con p>Giudice legislatore, c. 493, e di Amoroso, Pronunce additive di incostituzionalità e mancato intervento del legislatore, c. 494; in Corr. giur. 2017, p. 618 ss. con nota di Bugetti, Sul difficile equilibrio tra anonimato materno e diritto alla conoscenza delle proprie origini: l’intervento delle Sezioni Unite; in Fam. e dir. 2017, p. 740 ss., con nota di Di Marzio, Parto anonimo e diritto alla conoscenza delle origini; in Guida al dir., 2017, fasc. 8, p. 50, con nota di M. Finocchiaro; nonché in Dir. fam. 2017, p. 320.
[36] Così Cass. civ., s. u.., 25 gennaio 2017, n. 1946, cit.
[37] Casaburi, Osservazioni a Cass. civ., s. u., 25 gennaio 2017, n. 1946, in Foro it. 2017, I, c. 491 s.
[38] Bugetti, Sul difficile equilibrio tra anonimato materno e diritto alla conoscenza delle proprie origini: l’intervento delle Sezioni Unite, nota a Cass., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946, cit., p. 618.
[39] Così osserva, esprimendo tuttavia una valutazione positiva sulla pronuncia, Casaburi, Osservazioni a Cass. civ., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946, cit., c. 492.
[40] V. supra § 2.1. le motivazioni espresse dalla Consulta. Infatti, la protezione dell’anonimato risultando strumentale rispetto alla nascita del bambino, rientra “tra le forme di protezione del diritto alla vita”, Bugetti, Sul difficile equilibrio tra anonimato materno e diritto alla conoscenza delle proprie origini: l’intervento delle Sezioni Unite, nota a Cass., sez. un., 25 gennaio 2017, n. 1946, cit., p. 633.
[41] Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2017, n. 14162, in Mass. Foro it., 2017, c. 494. In argomento v. Stefanelli, Anonimato materno e genitorialità dopo Cass., sez. un., n. 1946 del 2017, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, p. 1041; l’ampio studio di Gigliotti, Parto anonimo e accesso alle informazioni identitarie (tra soluzioni praticate e prospettive di riforma), cit., p. 901; Checchini, La giurisprudenza sul parto anonimo e il nuovo “istituto” dell’interpello, cit., p. 1288.
[42] Cass. civ., sez. I, 21 luglio 2016, n. 15024, in Foro it. 2016, I, c. 3114, con Osservazioni di Casaburi; in Nuova g. civ. comm. 2016, 1484, con nota di Stanzione, Il diritto del figlio a conoscere le proprie origini nel dialogo tra le Corti; in Fam. e dir. 2017, p. 15 ss, con nota di Andreola, Accesso alle informazioni sulla nascita e morte della madre anonima; in dottrina v., altresì, Stefanelli, Diritto all’identità, in Sassi-Scaglione-Stefanelli, Le persone e la famiglia, III, 4, La filiazione e i minori, Tr. Sacco2, cit., p. 509 ss.; Carbone, Con la morte della madre al figlio non è più opponibile l’anonimato: i giudici di merito e la Cassazione a confronto, cit., p. 24 s.; Adamo, Il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini: scenari e prospettive alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali, in Dir. succ. e fam., 2016, p. 325; sulla tutela del diritto alla riservatezza dopo la morte del suo titolare, v. Tescaro, La tutela post mortem dei diritti della personalità morale e specialmente dell’identità personale, in www.juscivile.it, 2014.
[43] Cass. civ., sez. I, 9 novembre 2016, n. 22838, in Foro it., 2016, I, 3784, con Osservazioni di Casaburi; in Guida dir., 2017, n. 6, p. 52 ss., con nota critica di M. Finocchiaro, La Cassazione fa sue le prerogative del legislatore; in Nuova g. civ. comm. 2017, I, p. 319, con ampia nota, p. 323 ss., di Stanzione, Scelta della madre per l’anonimato e diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini, con la ricostruzione dell’evoluzione del diritto di conoscere le proprie origini nell’ordinamento italiano e nei maggiori ordinamenti europei; in Fam. e dir. 2017, p. 15 ss. con nota di Andreola, Accesso alle informazioni sulla nascita e morte della madre anonima;v. anche Granelli, Il c.d. “parto anonimo” ed il diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini: un caso emblematico di “dialogo” fra Corti (nota a Cass. civ., sez. I, 9 novembre 2016, n. 22838 e Cass. civ. sez. I, 21 luglio 2016, n. 15024), in www.juscivile.it, 2016, fasc. 6, p. 564, spec. p. 569.
[44] Dunque, Cass. n. 22838 del 2016 evidenzia che il diritto alla conoscenza di informazioni identificative della madre biologica non può essere esercitato indiscriminatamente, e che la procedura dell’interpello dovrà essere “informata al rispetto dei canoni di liceità e correttezza senza pregiudizio di terzi eventualmente coinvolti”, Renna, Anonimato materno e diritto alla conoscenza delle origini personali, cit., p. 94.
[45] Cass. civ., sez. VI-1, ord., 07 febbraio 2018, n. 3004, inwww.altalex.com., con nota di G. Vassallo (27-02-2018).
[46] Sul punto v, per tutti, Andreola, Accesso alle informazioni sulla nascita e morte della madre anonima, cit., p. 15 ss.; Bugetti, Sull’esperibilità delle azioni ex artt. 269 e 279 c.c. nei confronti della madre che abbia partorito nell’anonimato, in Fam. e dir., 2016, spec. p. 490 ss.; Granelli, Il c.d. “parto anonimo” ed il diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini: un caso emblematico di “dialogo” fra Corti (nota a Cass. civ., sez. I, 9 novembre 2016, n. 22838 e Cass. civ., sez. I, 21 luglio 2016, n. 15024), cit., p. 564, spec. p. 569; M. Finocchiaro, La Cassazione fa sue le prerogative del legislatore, cit., p. 52 ss. In tema v. altresì, infra, il § n. 4. Rilievi conclusivi.
[47] Nell’ipotesi di impossibilità d’interpello della madre, che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata per morte o irreperibilità della medesima, il discorso si fa più articolato, v. supra testo e nota precedente.
[48] “Anche a fronte della famiglia in cui potrebbe essere inserita, e che verosimilmente ignora la precedente maternità”, come osserva Casaburi, Diritto alle origini dell’adottato, in www.treccani.it, Il libro dell’anno del diritto 2019, 2019, p. 5.
[49] Si richiama che nella precedente legislatura era stato esaminato in Commissione, poi decaduto, il disegno di legge S. 1978 del 18 novembre 2015, che proponeva una disciplina dell’interpello anche “secondo un rito ampiamente deformalizzato” (Casaburi, Diritto alle origini dell’adottato, in www.treccani.it, cit., p. 8, nota n. 16).
4. Rilievi conclusivi
Giunti al termine di queste brevi considerazioni occorre compiere qualche riflessione e porsi alcuni interrogativi.
Nella giurisprudenza sopra illustrata emerge con evidenza il consolidato orientamento della Corte di cassazione (anticipato dalla ponderata Corte cost. n. 278/2013 e da una parte della giurisprudenza di merito) di superare la rigidità dell’irreversibilità dell’anonimato della madre biologica, in applicazione del principio del diritto dell’adottato non riconosciuto alla nascita di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative anche all’identità personale della madre, in diverse fattispecie e a latitudini sempre più ampie: per esempio, anche se la madre siamorta o irreperibile, coinvolgendo i congiunti della stessa[50]. In altri termini, emerge la prevalenza accordata al diritto dell’adottato, anche dell’adottato nato da parto anonimo, alla conoscenza delle proprie origini “in applicazione del principio del favor veritatis nella filiazione, in continuità con l’evoluzione del diritto vivente”[51].
La questione del diritto alla conoscenza delle proprie origini da parte dell’adottato (previsto, come si è detto, dal vigente comma 7 dell’art. 28, legge adoz. anche per l’adottato la cui madre al momento della nascita abbia dichiarato di non voler essere nominata, se pur con un limite allorché la madre in seguito all’interpello non revochi la scelta iniziale dell’anonimato), andrebbe inserito, credo, come un tassello in un puzzle più ampio, vale a dire nella vasta problematica del rapporto tra legame biologico e filiazione. Pertanto andrebbe visto alla luce del pluralismo dei fondamenti biologico e volontario della filiazione (si pensi, ad esempio, per il profilo volontario, oltre che all’adozione, alla procreazione medicalmente assistita con ricorso a un donatore terzo e alla gestazione per altri, articolate attorno alla volontà individuale, dunque una sorta di filiazione elettiva)[52]. In un futuro non lontano la ricerca delle proprie origini coinvolgerà, probabilmente, un numero di persone più elevato rispetto ad oggi e il legislatore dovrà pronunciarsi su un problema poliedrico e divisivo delle coscienze, perché eticamente sensibile[53].
Con riferimento all’adottato, ci si chiede se riconoscere il suo diritto di accesso alle proprie origini e ai dati identificativi della madre biologica – come prevede l’art. 28 della L. 184/1983 nella fattispecie del parto in anonimato di cui al comma 7, dopo la sentenza di Corte cost. n. 278 del 2013, nonché di Cass. civ., sez. un., n. 1946 del 2017, che statuisce l’immediata applicabilità dell’istituto dell’interpello della madre che al momento della nascita del figlio abbia dichiarato di non voler essere nominata – non significhi, di fatto, attribuire maggiore peso e importanza all’elemento biologico della filiazione. E si può rilevare come, avendo giurisprudenza consolidata e dottrina maggioritaria già riconosciuto il diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, il dibattito ora verta sul perimetro di questo diritto, soprattutto quando coinvolge terzi, per le eventuali conseguenze in termini personali e patrimoniali[54].
Un possibile rischio è, sotto l’apparenza del diritto dell’adottato alla conoscenza delle proprie origini, di aprire la strada alla multi-genitorialità e di minare, o almeno indebolire, il rapporto di filiazione-adozione[55], dimenticando che ogni essere umano ha un’identità personale nella cui formazione svolgono un ruolo fondamentale tanto la “discendenza biologica” quanto i “legami affettivi e sociali” con i genitori, anche adottivi[56] e i confini tra le due aree sono molto porosi.
[50] Si consideri che “se alla morte della madre il figlio può accedere ai dati riservati del parto, non si esaurisce ogni profilo di tutela dell’anonimato, in quanto collegato ad altre situazioni soggettive dei discendenti o familiari della stessa. Resta quindi la necessità di un adeguato bilanciamento degli interessi potenzialmente confliggenti e una possibile tutela sul piano risarcitorio”, così Andreola, Accesso alle informazioni sulla nascita e morte della madre anonima, cit., p. 31 ss., spec. p. 32.
[51] Sul punto v. Andreola, Il principio di verità nella filiazione, in Fam. e dir., 2015, p. 88; diritto a conoscere la “verità” sulle proprie origini che, secondo parte della dottrina “andrebbe relativizzato, poiché costituisce solo uno dei molteplici aspetti che caratterizzano la formazione della personalità umana, peraltro, la verità biologica dovrebbe passare in secondo piano rispetto all’interesse del minore” (così De Santis V., Diritto a conoscere le proprie origini come aspetto della relazione materna. Adozione, pma eterologa e cognome materno, in Nomos, 1/2018, p. 15 ss.); spesso non si considera che portare a termine questa opera di ricerca non è esente da rischi e delusioni, può far conoscere verità difficili che per l’adottato sarebbe meglio ignorare (v. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia, cit., p. 457, nota 168); del resto, l’opportunità di ricorrere ai canoni di ragionevolezza ed equilibrio suggeriscono che “l’accanimento” nella ricerca delle proprie origini si giustifichi, pienamente, per la tutela della salute, con qualche perplessità invece se si indaga per arrivare ad ogni costo alla c.d. “verità”.
[52] Problematica, quella del pluralismo delle basi della filiazione, molto dibattuta in Francia di recente, in occasione della annunciata riforma che dovrebbe ammettere l’aiuto medico alla procreazione (AMP, Aide Médicale à la Procréation) anche alle coppie non eterosessuali e alle donne sole, v. Pérès, Lien biologique et filiation: quel avenir?, in Recueil Dalloz-13 giugno 2019, n. 21, p. 1184 e p. 1189; v. sul tema già Dogliotti, Verità biologica, legale, effettiva nel rapporto di filiazione. Spunti e riflessioni, cit., p. 90.
[53] E si consideri altresì l’evoluzione dei rapporti familiari e la nuova identità della famiglia contemporanea in Europa, fondata, “non più sul vincolo matrimoniale bensì sulla fermezza del vincolo di filiazione e sul comune esercizio della responsabilità genitoriale”, come rileva Sesta, Famiglia e figli in Europa: i nuovi paradigmi, cit., p. 1049 ss.
[54] Nell’ambito della valutazione di interessi potenzialmente confliggenti occorre tener conto, per esempio, anche dell’interesse dei genitori adottivi all’esclusività del rapporto di filiazione adottiva, nonché dei terzi coinvolti loro malgrado e di una possibile tutela sul piano risarcitorio; su quest’ultimo aspetto v. Andreola, Accesso alle informazioni sulla nascita e morte della madre anonima, cit., p. 31 ss.; con riguardo alle conseguenze sull’accertamento della genitorialità giuridica, v. Stefanelli, Anonimato materno e genitorialità dopo Cass., sez. un., n. 1946 del 2017, cit., p. 1041, spec. p. 1045 ss.; sul tema dell’esperibilità delle azioni di stato, v. ancora Stefanelli, Diritto all’identità, in Sassi-Scaglione-Stefanelli, Le persone e la famiglia, III, 4, La filiazione e i minori, Tr. Sacco2, cit., p. 498 ss.; nonché Sassi, Azioni di stato, in Sassi-Scaglione-Stefanelli, Le persone e la famiglia, III, 4, La filiazione e i minori, Tr. Sacco2, cit., p. 351 ss.; Renna, Anonimato materno e diritto alla conoscenza delle origini personali, cit., p. 80 s. e p. 102 ss.
[55] Sulla problematica, molto dibattuta in Francia attualmente, v., in questo senso, anche Pérès, Lien biologique et filiation: quel avenir?, cit., p. 1190, soprattutto con riferimento, in prospettiva, alla filiazione AMP con ricorso a un donatore terzo; v. già Dogliotti, Verità biologica, legale, affettiva nel rapporto di filiazione. Spunti e riflessioni, cit., p. 91.
[56] Lenti, La costituzione del rapporto filiale e l’interesse del minore, in Jus civile, 1/2019, p. 1, spec. p. 13.
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