Limitazioni alla modifica della domanda ammissibile (In margine a Cassazione civile, Sez. III, 28 novembre 2019, n. 31078)

Redazione 20/02/20

di Lucilla Galanti*

* Assegnista di ricerca nell’Università di Firenze

Sommario

1. Il contesto giurisprudenziale

2. La soluzione adottata nel caso di specie

3. (Segue): l’adozione di un approccio “funzionale”

4. (Segue): e il carattere “sostitutivo” o “cumulativo” delle domande successivamente proposte

5. Possibili dubbi sul percorso argomentativo seguito dalla S.C.

6. Conclusioni

1. Il contesto giurisprudenziale

È ben noto come negli ultimi anni la Suprema Corte abbia p>

Limitandosi a ricordare alcune delle tappe più significative nel compiuto percorso di ampliamento, deve richiamarsi, innanzitutto, l’arresto delle sezioni unite del 2014[1]; in cui, a fronte di una domanda di risoluzione contrattuale, proposta ai sensi dell’art. 1453, co. 2, c.c. nel corso del giudizio originariamente promosso per ottenere l’adempimento, è stata ammessa la possibilità di introdurre anche la domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale[2]. Successivamente, nel 2015 le sezioni unite[3] hanno ritenuto ammissibile, nella memoria ex art. 183, co. 6, n. 1, c.p.c., la modifica della iniziale domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto proposta ai sensi dell’art. 2932 c.c., in una domanda di accertamento del già avvenuto effetto traslativo, sulla base del medesimo contratto qualificato come compravendita; nell’occasione, si è altresì precisato che l’attività di modificazione possa riguardare anche entrambi gli elementi identificativi sul piano oggettivo – petitum e causa petendi – purché in aderenza alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio[4]. Ulteriormente, nel 2018 le sezioni unite[5] hanno ritenuto ammissibile la domanda di arricchimento senza causa exart. 2041 c.c. proposta, in via subordinata, con la prima memoria di cui all’art. 183, nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, pur sempre con il limite dell’aderenza alla medesima vicenda sostanziale[6].

Ne emerge un approccio casistico, sensibile alla fattiva tutela dell’interesse perseguito di fronte all’unitaria controversia dedotta in giudizio, più che ai precisi termini in cui sia stata declinata la domanda. Infatti, nel 2014, i confini della modifica ammissibile sono stati disegnati avendo riguardo precipuo alla complessiva tutela offerta dal processo, senza fornire rigorose spiegazioni processualmente orientate in termini di connessione tra domande: la domanda risarcitoria proposta in occasione dell’esercizio dello ius variandi consentito dall’art. 1453, co. 2, c.c. rappresenta una pretesa «non legata da un rapporto di consequenzialità logico-giuridica alla domanda di risoluzione»[7]. Nel 2015, l’ammissibilità della domanda successivamente formulata ha trovato spiegazione nello specifico legame intercorrente con quella originaria, in base ad una «connessione per alternatività», e anzi «per incompatibilità»[8], che ha originato la ormai celebre qualificazione di domande «complanari», ammissibili seppur, tecnicamente, nuove[9]; e da una connessione, specificamente «per incompatibilità», risultano caratterizzate anche le domande poste alla base della pronuncia del 2018[10].

[1] Cass. civ., sez. un., 11 aprile 2014, n. 8510, in Giur. it., 2014, 1619, con nota di E. D’Alessandro, Le Sezioni unite si pronunciano sulla portata dell’art. 1453, 2º comma, c.c. ; in Contratti, 2014, 749, con nota di M. Dellacasa, Ius variandi e risarcimento del danno tra disciplina legislativa e regole giurisprudenziali; in Nuova giur. civ., 2014, I, 991, con nota di D. M. Frenda, La Cassazione torna sui suoi passi (ma fino ad un certo punto): l’ammissibilità della domanda risarcitoria e il limite dei fatti sopravvenuti. Nel senso che lo ius variandi comprende anche la facoltà di chiedere il ristoro dei danni conseguenti alla risoluzione, v. di recente Cass. civ., sez. II, 19 settembre 2019, n. 23417.

[2] Per le sezioni unite del 2014, infatti, «[l]a parte che, ai sensi dell’art. 1453, co. 2, c.c., chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l’adempimento, può domandare, contestualmente all’esercizio dello ius variandi, oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale ».

[3] Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310, in Corr. giur., 2015, 961 con nota di C. Consolo, Le S. U. aprono alle domande “complanari”: ammissibili in primo grado ancorché (chiaramente e irriducibilmente) diverse da quella originaria cui si cumuleranno; in Riv. dir. proc., 2016, 816, con nota di E. Merlin, Ammissibilità della mutatio libelli da «alternatività sostanziale» nel giudizio di primo grado; con nota di C. M. Cea, Tra «mutatio» ed «emendatio libelli»: per una diversa interpretazione dell’art. 183 c.p.c. in Foro it., 2016, I, 255; con nota di M. Monnini, Le sezioni unite ammettono la “modificazione” delle domande sino alla prima memoria ex art. 183, 6° comma, c.p.c.: una spinta per la rivitalizzazione della fase orale e scritta di trattazione?, in Giusto proc. civ., 2016, 389; in Foro it., 2015, I, 3190, con nota di A. Motto, Le sezioni unite sulla modificazione della domanda giudiziale. Sul tema, già prima dell’intervento delle sezioni unite, v. anche Id., Domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre ex art. 2932 c.c. e domanda di accertamento dell’avvenuto trasferimento della proprietà: «mutatio» o «emendatio libelli»?, in Giusto processo civ., 2014, 1041; G. Guarnieri, Contratto preliminare, contratto definitivo, e mutatio libelli, in Corr. giur., 1996, 639; E. Gasbarrini, Osservazioni in tema di modifica della domanda, in Riv.trim.dir.e proc.civ, 1995, 1301, e, se si vuole, L. Galanti, Sulla modifica della domanda tra accertamento e costituzione del diritto di proprietà, in Giusto proc. civ., 2012, 932.

[4] Per le sezioni unite del 2015, infatti, «[l]a modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue che deve ritenersi ammissibile la modifica, nella memoria all’uopo prevista dall’art. 183 c.p.c., della iniziale domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo».

[5] Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2018, n. 22404, in Riv. dir. proc., 2019, 1300, con nota di C. Consolo-F. Godio, Le Sezioni Unite di nuovo sulle domande cc.dd. complanari, ammissibili anche se introdotte in via di cumulo (purché non incondizionato) rispetto alla domanda originaria; in Corr. giur., 2019, 267, con nota di L. Dittrich, Sulla successiva proposizione della domanda di arricchimento senza causa nel processo avente come domanda principale la condanna all’adempimento contrattuale; in Nuova giur. civ. comm., 2019, 249, con nota di E. Italia, La modifica della domanda: dal contratto all’ingiustificato arricchimento; con nota di M. Abbamonte, Sulla proponibilità della domanda di arricchimento senza causa nel corso del giudizio di adempimento contrattuale: i chiarimenti delle sezioni unite, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, 1055.

[6] Dalle sezioni unite del 2018 è infatti stata ritenuta «ammissibile la domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. proposta, in via subordinata, con la prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa (per incompatibilità) a quella inizialmente formulata».

[7] Per le sezioni unite del 2014, la lettura fornita è in grado di cogliere «le ragioni e l’intima ratio» dell’art. 1453, co. 2 c.c., assicurando «la finalità di concentrazione e pienezza della tutela che la disposizione del codice ha inteso perseguire»; la tutela risarcitoria consente infatti «di realizzare, nell’ambito dello stesso processo, il completamento sul piano giuridico ed economico degli effetti che si ricollegano allo scioglimento del contratto», offrendo al contraente non inadempiente la possibilità di perseguire le «naturali conseguenze» della pretesa, ed evitando «il promovimento di un’ulteriore controversia attraverso lo sfruttamento più razionale ed intensivo delle risorse del giudizio già promosso».

[8] Oltre alla precisazione che la domanda modificata «deve pur sempre riguardare la medesima vicenda sostanziale», le sezioni unite del 2015 hanno specificato che tale domanda debba presentarsi «connessa a quella originaria quanto meno per “alternatività”, rappresentando quella che, a parere dell’attore, costituisce la soluzione più adeguata ai propri interessi in relazione alla vicenda sostanziale dedotta in lite»; evidenziando tra l’altro che, nel caso specifico, «non è neppure ravvisabile una semplice connessione per alternatività tra la domanda iniziale e la domanda modificata, ma addirittura una connessione per incompatibilità».

[9] C. Consolo, Le S. U. aprono alle domande “complanari”, cit., 968 ss.

[10] V., in questi termini, la citata pronuncia.

2. La soluzione adottata nel caso di specie

In tale contesto giurisprudenziale, ed in controtendenza al percorso di progressivo ampliamento dei margini di ammissibilità di modifica della domanda in corso di causa, si colloca la pronuncia in commento (Cassazione civile, Sez. III, 28 novembre 2019, n. 31078).

Nel caso di specie, a fronte di una originaria domanda di accertamento della natura locatizia del rapporto dedotto in giudizio al fine di stabilirne il termine o, in subordine, di annullamento del contratto che vi aveva dato origine, era stata successivamente proposta, con la solita memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, una domanda volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità dell’avvenuta estromissione dai locali e la condanna alla riconsegna; la Corte di cassazione ha ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito circa l’inammissibilità delle domande così introdotte in corso di causa.

L’argomentazione svolta si è fondata su un duplice rilievo: il richiamo al fondamento “funzionale” della modifica ammissibile da un lato, e la sua natura sostitutiva e non cumulativa dall’altro; elementi entrambi non rinvenuti nel caso di specie.

3. (Segue): l’adozione di un approccio “funzionale”

Privilegiando l’approccio “funzionale” già accolto dalle sezioni unite del 2015, la modifica della domanda viene configurata come un’attività rivolta al miglior perseguimento degli interessi in causa; in quest’ottica, deve considerarsi domanda modificata quella «più rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio». Nell’ambito di «un circoscritto quadro processuale», l’attività di modificazione rappresenta un «fisiologico e ragionevole aggiustamento» della domanda: a rilevare è, dunque, il fine perseguito e l’utilità sostanziale cui si aspira[11].

La rilevanza della dimensione funzionale consente di scartare un approccio formalistico, incentrato sull’intangibilità degli elementi identificativi della domanda. Sulla scorta dell’arresto del 2015, infatti, si ritiene consentito incidere anche su entrambi gli aspetti del petitum e della causa petendi[12].

Allo stesso tempo, si evita di inquadrare la modifica ammessa entro la formula di emendatio libelli, in contrapposizione alla sua inammissibile mutatio; si riafferma, infatti, «l’ambiguità semantica e il connesso rischio di confusione esegetica» insiti nel riferimento alla distinzione. D’altronde, riferirsi a tali espressioni non spiega cosa vi rientri e quale ne sia il contenuto, limitando a spostare i termini del problema sull’identificazione di cosa debba intendersi per un’attività di non consentita mutatio libelli e di una invece ammissibile emendatio[13].

[11] Tale approccio “funzionale” è sottolineato anche in dottrina. Nel senso che «in materia sia necessario muovere sempre dall’effettivo bisogno di tutela che si lega alla posizione sostanziale dedotta in giudizio», senza «rimanere astretti al criterio formale che regola la identificazione della domanda», e, infine, avere «riguardo alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio tra le stesse parti, ossia allo stesso bisogno di tutela», v. A. Chizzini, Alcune p>, in Giusto proc. civ., 2018, 667-668. La rilevanza dell’utilità sostanziale effettivamente perseguita si ritrova anche nell’«idea per cui l’oggetto del processo sta nel diritto affermato dall’attore», da individuare «in base a criteri sostanziali che stanno a monte del processo»: M. Bove, Individuazione dell’oggetto del processo e mutatio libelli, in Giur. it., 2016, 613. In tal senso, come la dottrina classica ha messo in rilievo, «la res in judicium deducta è proprio e direttamente il diritto»: A. Cerino Canova, La domanda giudiziale ed il suo contenuto, in E. Allorio (diretto da), Commentario al codice di procedura civile, Torino, 1980, II, 1, 1980, 188. A porsi in risalto è, infine, lo scopo effettivo della tutela perseguita dalla parte; sul punto, si v. G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1960, 310 ss.; Id, Identificazione delle azioni. Sulla regola «ne eat iudex ultra petita partium», in Saggi di diritto processuale civile, Roma, 1930, 160; e, nella medesima prospettiva, v. L. Montesano, Diritto sostanziale e processo civile di cognizione nell’individuazione della domanda, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1993, I, 65; C. Consolo, Preclusioni nel processo civile e preclusioni alla definizione del processo legislativo di riforma. (A proposito della legge n. 477 del 1992; delle problematiche curiose che solleva – ancora per quanto?-, specie nel processo con cumulo di cause; e delle prospettive alternativamente percorribili), in Giur. It., 1993, 767 ss.; P. Comoglio, La domanda giudiziale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1988, 1303.

[12] Su tale aspetto la dottrina (tendenzialmente) concorda con la giurisprudenza: ricercare la diversità della domanda sulla base della diversità di uno dei suoi elementi identificativi non farebbe che spostare i termini del problema; v. S. Satta, Domanda giudiziale (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 824. Così, la perdurante scomposizione della domanda in petitum e causa petendi dovrebbe superarsi a vantaggio di una prospettiva «che attribuisce il giusto primato alla posizione soggettiva fatta valere in giudizio», riconducendo «ad unità petitum e causa petendi nel prisma del diritto soggettivo fatto valere in giudizio»: C. Gamba, Domande senza risposta: Studi sulla modificazione della domanda nel processo civile, Padova, 2008, 17 ss. e 63; in una prospettiva analoga, v. G. Giannozzi, La modificazione della domanda nel processo civile, Milano, 1958, 52. D’altro canto, di tali elementi si mette in rilievo il ruolo strumentale, rispetto all’identificazione del diritto sostanziale, anche alla luce della svalutazione della fattispecie legale: E. Merlin, op. cit., 818.

[13] Invero, «la difficoltà di ravvisare un sicuro discrimen tra mutatio ed emendatio ha fatto sì che la giurisprudenza dominante, da un lato, si è arroccata su posizioni teoricamente rigoriste, ravvisando il mutamento in ogni variazione degli elementi oggettivi della domanda; dall’altro, ha spesso e volentieri sconfessato tale premesse teoriche, adottando soluzioni estremamente permissive»: C.M. Cea, op. cit., 255 ss. D’altronde, sebbene costituisca formula tralatizia e ricorrente quella secondo cui integrerebbe una vera e propria mutatio «il completo mutamento di entrambi o di uno solo degli elementi oggettivi di identificazione della domanda», mentre mera emendatio la variazione solo parziale degli stessi, in realtà divergano le opinioni relative alla variazione consentita, individuando il contenuto dello ius variandi sulla base di una serie di criteri eterogenei, considerando «talvolta la fattispecie legale invocata, talvolta la situazione sostanziale allegata o, ancora, i fatti giuridici allegati e posti a fondamento della domanda»: C. Gamba, Domande senza risposta, cit., 2 ss.

4. (Segue): e il carattere “sostitutivo” o “cumulativo” delle domande successivamente proposte

Proprio in quanto domanda modificata è quella più rispondente agli interessi perseguiti, si ribadisce allora che con la modificazione della domanda iniziale l’attore rinuncia implicitamente alla precedente domanda, o alla domanda come formulata prime della sua modificazione. Emerge, così, il secondo elemento, in base al quale è modifica consentita quella che pervenga a variare la domanda originaria, anziché cumulare ad essa una domanda ulteriore: la domanda modificata, infatti, «sostituisce la domanda iniziale e non si aggiunge ad essa». Dunque, la modificazione «non include l’introduzione di ulteriori domande accanto a quella originaria»: «le domande modificate non possono essere considerate “nuove” nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive”, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate – eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali -, o, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività».

5. Possibili dubbi sul percorso argomentativo seguito dalla S.C.

Su tali basi, la Corte ha ritenuto che la vicenda sottoposta alla sua attenzione si sia posta «al di fuori dei limiti» di ammissibilità della modifica, nella «pur lata» interpretazione accolta nell’arresto delle sezioni unite del 2015. La conclusione così raggiunta è da condividere, seppure alcuni dubbi possano emergere a fronte del percorso argomentativo utilizzato.

Da un lato, infatti, non pare così certo che, in una dimensione funzionale, le domande successivamente proposte in corso di causa siano state inequivocabilmente dirette, nel caso di specie, ad un fine diverso rispetto a quelle iniziali; potendo ravvisarsi, al contrario, la ricerca di una tutela unitaria per la vicenda sostanziale dedotta in giudizio. Di fronte alla domanda di accertamento della natura locatizia del rapporto contrattuale o di suo annullamento, ci si potrebbe infatti chiedere quale fosse il fine concretamente perseguito se non quello di rientrare nel possesso del bene, in conseguenza della scadenza del termine di durata del contratto qualificato come locazione o dell’esperita impugnativa negoziale; fine perseguito, allo stesso modo, dalle domande successivamente proposte per ottenere la declaratoria di illegittimità dell’avvenuta estromissione dai locali e la condanna alla riconsegna. Non sarebbe allora così scontato escludere che la domanda sia stata integrata nel senso «più rispondente ai propri interessi», sì da intravvederne un «aggiustamento» funzionale alla complessiva tutela della vicenda sostanziale.

Più pregnante appare il secondo argomento, in base al quale le domande successivamente proposte, «lungi dall’introdurre una modifica consentita della domanda originaria», hanno condotto, come rileva la Corte, «ad una nuova pretesa, che, non ponendosi in posizione alternativa o sostitutiva della prima – invero rimasta ferma e inalterata – si è aggiunta a quest’ultima, con evidente vulnus difensivo per la controparte».

Diversamente dalle domande «complanari» considerate dalle sezioni unite del 2015, rivolte verso una «meta sostanzialmente unitaria»[14], a venire in rilievo nel caso di specie sarebbero domande aggiuntive, anziché meramente concorrenti con quelle inizialmente formulate.

Vi è da dire tuttavia come pure per le domande «complanari» si sia escluso che il carattere sostitutivo rappresenti un elemento essenziale: nell’arresto delle sezioni unite del 2018, infatti, a venire in rilievo è una domanda nuova, che si cumula a quella precedente, così specificando che tra la domanda formulata all’inizio del giudizio e quella successivamente modificata non deve intercorrere un rapporto di necessaria sostituzione[15]. D’altronde, già in passato il carattere non cumulativo della domanda successivamente proposta era parso recessivo di fronte alla garanzia di una tutela unitaria della vicenda sostanziale; nelle pretese risarcitorie, conseguenziali allo ius variandi di cui all’art. 1453, infatti, pure le sezioni unite del 2014 avevano ravvisato un’attività di (mera) modifica, seppure si trattasse, anche in quel caso, di una domanda aggiuntiva[16].

Verrebbe allora da chiedersi se, in realtà, non sarebbe stato più opportuno un riferimento alla tradizionale distinzione fondata sul concorso di norme e azioni[17], oppure valutare se la domanda successivamente proposta si sia posta in un nesso di inferenza conseguenziale rispetto a quella originaria, alla quale fosse legata da un rapporto di connessione qualificata, tale da farla apparire, al limite, in essa implicitamente ricompresa[18]: ipotesi che, come pare, sarebbero state comunque da scartare, giustificando la conclusione raggiunta.

[14] La domanda definita «complanare» è, infatti, una «domanda concorrente, che viaggia complanarmente verso una meta sostanzialmente unitaria, seppur – come oggetto del giudicato – tutt’altro che identica»; pur essendo una domanda propriamente «diversa», condivide con quella originaria «l’identità dell’episodio socio-economico di fondo (ed ovviamente l’identità dei soggetti)», derivando «assai spesso» «da concorsi di pretese ad un unico petitum» o «da diversi petita conseguenti a diverse qualificazioni della causa petendi»: C. Consolo, Le S. U. aprono alle domande “complanari”, cit., 969-970.

[15] Si è infatti posto il dubbio se «tra i requisiti di ammissibilità della domanda complanare v’è pure quello dell’essere svolta in via sostitutiva di quella originaria», ma la risposta «non deve essere tanto drastica»: con l’intervento delle sezioni unite del 2018 si è infatti chiarito che «la domanda complanare ex art. 183, comma 1, n. 6, c.p.c. non necessariamente dovrà sostituirsi alla domanda originaria, ma potrà ad essa cumularsi (quale domanda principale o) in via vicaria»: C. Consolo – F. Godio, op. cit., 270. Come sottolineano gli AA., però, restano dei profili da indagare, «anzitutto il tipo di cumulo tra domanda originaria e domanda complanare»: la «connessione per incompatibilità», in particolare, originerebbe «dal nesso di alternatività sostanziale che corre tra i diritti oggetto della domanda originaria e di quella complanare, poiché l’uno non può esistere se esiste l’altro»; ne discende «un cumulo alternativo sostanziale (o cumulo alternativo per incompatibilità sostanziale)», ossia «non un fenomeno di cumulo condizionale (nel quale, cioè, un certo esito decisorio di una domanda è condizione di decidibilità dell’altra, destinata altrimenti a rimanere assorbita), ma di cumulo semplice, o puro, poiché il giudice deciderà sempre sulla fondatezza di entrambe le domande». La novità della domanda, in relazione di incompatibilità o concorso con quella oggetto del processo, e qualificata come «modificata, pur in perdurante presenza della immodificata» è messa in rilievo anche da L. Dittrich, op. cit., 1312-1313, in cui si sottolinea che la nuova domanda, di indebito arricchimento, persegue «più o meno» «il medesimo interesse sostanziale fatto valere dall’attore nell’ambito della originaria domanda di adempimento»; la «nuova iniziativa dell’attore, insomma, non modifica in nulla la domanda originaria, ma dà luogo ad un cumulo oggettivo (e successivo) di domande».

[16] In un’ottica sistematica, infatti, si è ricercata «una soluzione che assicura la finalità di concentrazione dei procedimenti»: «la tutela risarcitoria non è legata da un nesso di consequenzialità necessaria alla domanda di risoluzione ma ciononostante, essa contribuisce a completare le difese del contraente non inadempiente»: E. D’Alessandro, op. cit., 1627.

[17] Sul tema si v., per tutti, A. Cerino Canova, La domanda giudiziale ed il suo contenuto, cit., 188 ss., 191 e 234, ove si sottolinea come, rispetto al diritto dedotto in giudizio, se «molteplici sussunzioni confluiscono in tanti e separati effetti, poiché spiegano rilevanza staccata, plurimi sono i diritti affermati nel processo; se esse sono coordinate dalla legge per un unico effetto, egualmente unico è il diritto fatto valere»; cfr. A. Proto Pisani, Dell’esercizio dell’azione, in E. Allorio (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, Torino, 1973, I, 2, 1061; C. Consolo, voce «Domanda giudiziale», in Dig. Disc. priv., sez. civ., Torino, VII, 1991, 44 ss.; S. Menchini, I limiti oggettivi del giudicato civile, Milano, 1987, 46 ss.

[18] Rispetto all’arresto delle sezioni unite del 2018, si è infatti affermato che, se non ci si vuole arrendere ad una interpretazione «paradossale del testo dell’art. 183, sesto comma, c.p.c.», si dovrebbe riconoscere che, in certi casi, «la domanda giudiziale ricomprenda in sè, in potenza (e ovviamente in dipendenza dello svolgimento del processo e delle attività di allegazione delle parti) tutte quelle azioni idonee a perseguire il medesimo «bene della vita», determinato sulla base di valutazioni fondamentalmente empiriche»: L. Dittrich, op. cit., 1313.

6. Conclusioni

Il progressivo ampliamento che ha interessato la modifica della domanda in corso di causa pare senz’altro appropriata a concentrare la tutela di una medesima situazione sostanziale all’interno dello stesso giudizio[19]. La pronuncia in commento ci ricorda, però, che tale estensione non può essere senza limiti.

Nel caso di specie, sembra che la S.C. sia intervenuta a circoscrivere, correttamente restringendo, i confini della modifica della domanda ammissibile: le domande successivamente proposte nella vicenda sottoposta al suo esame, infatti, seppure collocate nell’ambito di una medesima situazione sostanziale – il rapporto contrattuale da cui è originata la controversia – e astrattamente rivolte a perseguire un unico interesse finale di cui avrebbero contribuito a completare la tutela – la riconsegna del bene – presentano però innegabili profili di novità.

La pronuncia potrebbe semmai suggerire una considerazione più generale: inducendo, cioè, a chiedersi se un approccio eminentemente casistico al tema sia idoneo a delineare confini sufficientemente chiari e preventivabili alla modifica della domanda ammissibile in corso di causa, o non sarebbe invece opportuno pensare ad una (ri)definizione che si ponga entro una cornice sistematica. L’elasticità dei principi giurisprudenziali, certamente utile nell’ottica di effettività della tutela del caso concreto, si presta ad una non marginale incertezza (e dunque imprevedibilità) applicativa; di fronte alla quale potrebbe emergere qualche fondata titubanza nell’inquadramento delle variazioni alla domanda entro una modifica ammissibile o non già in una domanda nuova.

[19] Per alcune applicazioni recenti sull’ammissibilità della modifica della domanda, si v. Cass. civ., sez. III, 28 novembre 2019, n. 31060, in cui la Corte ha escluso che la ricostruzione della dinamica di un sinistro parzialmente diversa da quella originariamente prospettata comporti una mutatio libelli, a fronte dell’invarianza della causa petendi; nonché Cass. civ., sez. II, 27 settembre 2019, n. 24184, in cui si è affermato che, in quanto la deduzione del testamento a titolo regolatore della successione non altera gli elementi essenziali connotanti la domanda, anche se la successione testamentaria esclude il ricorso alla disciplina legale, «la mera mutazione del titolo a regolamento della successione non incide sulla domanda di divisione proposta poichè non ne muta nè il petitutm – i beni ereditari da dividere – nè la causa petendi – esistenza della comunione del diritto di proprietà in dipendenza della successione mortis causa».

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