(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 284)
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Il fatto
Il Tribunale di Genova, in sede di riesame, confermava il provvedimento con cui il G.i.p. del Tribunale di Genova aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere per un caso di concorso in una tentata estorsione pluriaggravata.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Proponevano ricorso per Cassazione gli indagati, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata per manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione circa l’applicazione della misura degli arresti domiciliari.
Affermata l’astratta idoneità della misura a prevenire il pericolo di recidiva specifica, il Tribunale osservava che le dichiarazioni di disponibilità all’accoglimento degli indagati nelle abitazioni dei suoceri e delle rispettive mogli non fossero “accompagnate dalla disponibilità anche al mantenimento dei prevenuti e da apposita documentazione in grado di comprovare la capacità economica dei soggetti che dovrebbero farsi carico delle esigenze personali ed economiche dei tre indagati”.
Sosteneva inoltre la difesa come detta valutazione fosse ultronea rispetto al dettato normativo che preclude l’applicazione della misura degli arresti domiciliari quando sia prevedibile che il soggetto non osservi le connesse prescrizioni ovvero in mancanza di un luogo idoneo (art. 284 c.p.p., comma 1) e non già in relazione alle condizioni economiche dei soggetti ospitanti a carico dei quali non sussiste un obbligo di sostenere gli oneri di mantenimento dei congiunti sottoposti alla misura restrittiva.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
I ricorsi venivano considerati fondati per le seguenti ragioni.
Si osservava a tal proposito prima di tutto che, secondo la costante giurisprudenza della Cassazione, in tema di disciplina degli arresti domiciliari, la situazione economica dei familiari “non è presa in considerazione dalla legge nè sussiste alcun obbligo di mantenimento del sottoposto agli arresti domiciliari a carico dei componenti la famiglia, al di fuori di quello strettamente alimentare, il quale peraltro presuppone una incapacità del congiunto di procurarsi autonomamente un reddito che potrebbe essere risolta dal provvedimento di autorizzazione al lavoro”, ai sensi dell’art. 284 c.p.p., comma 1, (così Sez. 6, n. 32574 del 03/06/2005; in senso conforme v. Sez. 1, n. 123 del 29/10/2002, nonché, più di recente, Sez. 2, n. 8276 del 30/01/2018, e Sez. 6, n. 3635 del 28/12/2016, non massimate).
Orbene, a fronte di tale approdo ermeneutico, gli Ermellini osservavano come il Tribunale, invece, nel confermare l’idoneità della sola misura di massimo grado, avesse dato valore decisivo alla circostanza sopra richiamata in contrasto con il ricordato principio condiviso dalla Suprema Corte nel caso di specie.
Tal che se ne faceva conseguire l’annullamento dell’ordinanza impugnata in relazione al motivo proposto nel ricorso sul quale il Tribunale avrebbe dovuto decidere attenendosi al suddetto principio di diritto.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante in quanto in essa si afferma, citandosi giurisprudenza conforme, che, in tema di disciplina degli arresti domiciliari, la situazione economica dei familiari non è presa in considerazione dalla legge, né sussiste alcun obbligo di mantenimento del sottoposto agli arresti domiciliari a carico dei componenti la famiglia al di fuori di quello strettamente alimentare.
Tale sentenza, dunque, induce a sconsigliare una linea difensiva o una valutazione decisoria (come è avvenuto nel caso di specie) che, all’opposto, dia rilevanza a tale situazione economica o ad un preteso obbligo di mantenimento dei familiari del sottoposto agli arresti domiciliari a favore di costui che vada al di là della necessità di sostentarlo a livello alimentare.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, di conseguenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale peculiare situazione, non può che essere positivo.
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