La prima è prevista dal 2° comma dell’art. 545 c.p.c., nel quale si menzionano i sussidi di grazia o di sostentamento dovuti a persone comprese nell’elenco dei poveri e i sussidi per maternità, malattie o funerali dovuti da casse di assicurazione o da istituti di assistenza o beneficenza.
Altra ipotesi è quella dei crediti del contraente e del beneficiario verso l’assicuratore, sorgenti dal contratto di assicurazione sulla vita ( art. 1923, I° c., C.C.), e i crediti verso l’ Istituto nazionale delle assicurazioni, sorgenti da contratto di assicurazione (art. 19 L. 4/4/1912, n. 305).
Una terza ipotesi è data dai crediti iscritti nei libretti di risparmio postale, capitali ed interessi costituenti l’importo dei buoni postali di risparmio ( art. 140, I°c., e 157, 2°c. , R. D. 27/2/1936, n. 645). La quarta ed ultima categoria è costituita dai “fondi speciali” per la previdenza ed assistenza, costituiti dagli imprenditori con o senza contribuzione dei prestatori di lavoro, essi sono impignorabili sia dai creditori dell’imprenditore che da quelli del dipendente ( art. 2117 C. C.).
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Ipotesi
Una ipotesi di crediti impignorabili del tutto particolare, per l’importanza dell’oggetto e la rilevanza della questione, riguarda i crediti vantati da un comune verso la banca depositaria di somme ad esso attribuite a titolo di partecipazione alle entrate tributarie.
La Cassazione, prendendo spunto dagli artt. 826, 3° c., e 828, 2° c., fa rientrare nei beni Patrimoniali indispensabili dello Stato il denaro ed i crediti relativi ai tributi ed alle sovvenzioni pubbliche.
Ossia quei beni che in forza di un atto amministrativo o per legge sono destinati, sin dall’origine, a fornire allo Stato, alle province e ai comuni i mezzi economici necessari per l’adempimento dei servizi ed il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini.
Rientrano invece nella categoria dei beni di natura privatistica e quindi pignorabili, i proventi derivanti da un negozio giuridico privato, sempre che tali beni, originariamente di natura privatistica, non assumano carattere di indisponibilità nel caso in cui , in virtù di un provvedimento amministrativo successivo, vengano destinati al soddisfacimento di una finalità pubblica.
Peraltro occorre tenere presente che anche quando determinati beni siano destinati all’estinzione dei debiti dell’ente pubblico, non viene meno il vincolo di indisponibilità e di impignorabilità dei proventi stessi.
Resta, infatti, un margine di discrezionalità in ordine sia all’impiego della somma o al pagamento del debito, che ha l’ordine di precedenza da dare ai vari debiti o alle modalità del relativo adempimento. Ne deriva che non è consentito al giudice ordinario e tanto meno al privato in sede di espropriazione forzata sostituirsi all’amministrazione nell’esercizio del relativo potere.
Il principio affermato dalla Cassazione riguarda una fattispecie in cui il distacco del credito dal rapporto tributario è maggiore che in precedenti casi, in quanto il deposito in banca delle diverse somme spettanti al comune è già avvenuto (2). La Cassazione riconferma la concezione che fa salva la discrezionalità della P.A., perfino nell’ordine di devoluzione dei proventi destinati in bilancio all’estinzione dei debiti dell’ente pubblico.
DOTTRINA
Non tutta la dottrina condivide l’argomentazione della Suprema Corte, anche se può giungere alle stesse conclusioni per altre vie.
Ad esempio il Nigro dopo aver respinto l’atto di destinazione come ragione ultima dell’impignorabilità del credito, si ricollega al fatto che l’esercizio della potestà pubblica è in itinere sino al pagamento del tributo, venendo successivamente meno (3).
Del tutto contraria alla posizione del Cassarino il quale nega che sui crediti sia opponibile un vincolo amministrativo di destinazione, essendo tutte le entrate di qualsiasi natura destinate a fondersi nel patrimonio finanziario dell’ente per poi essere devolute secondo gli stanziamenti predisposti. Viene fatta salva l’ipotesi del vincolo legislativo di destinazione, che limiti la discrezionalità dell’ente creditore (4).
Casi di impignorabilità
Oltre a questi casi di impignorabilità assoluta, vi sono altri casi in cui la pignorabilità presso terzi è più o meno limitata.
Il primo caso è costituito dai crediti alimentari i quali sono pignorabili esclusivamente per causa di alimenti, e sempre sulla base di una autorizzazione del giudice dell’esecuzione ma solo per la parte da questi determinata con decreto (art. 545, 1° c., cpc).
Si ritiene che il giudice dell’esecuzione non possa escludere il pignoramento ma solo determinare il quantum pignorabile, tenuto conto delle circostanze.
Sebbene la legge non distingue fra il credito alimentare a fonte legale e quello a fonte negoziale, parte della dottrina sostenuto l’impignorabilità del primo, in quanto il giudice dell’esecuzione , nell’ambito di un apprezzamento sommario parziale, finirebbe con il modificare la misura degli alimenti dovuti già fissata dal giudice di cognizione con un accertamento vero e proprio (5).
La distinzione della dottrina non appare convincente se si tiene presente l’indifferenza della legge e l’eccezionalità dell’ipotesi, inoltre si verrebbe per eccessivo garantismo menomare le possibilità del beneficiario di tale credito.
Altro caso di pignorabilità limitata riguarda i crediti per stipendi, salari, sussidi, gratificazioni, pensioni nei confronti di enti pubblici, di aziende autonome per servizi pubblici municipalizzati e di concessionari di pubblico servizio.
Il pignoramento può avvenire solo per causa di alimenti dovuti per legge, di debiti verso i datori di lavoro derivanti dall’esercizio dell’attività dedotta nel rapporto e di tributi posti fin dall’origine a carico dei dipendenti. Per la prima causa sono pignorabili nella misura di 1/3, per la seconda e la terza di 1/5, (artt. 1-2 D.P. N. 180/50).
Nel caso di concorso di azioni per le due ultime cause, non si può accedere nel complesso di 1/5, se concorre anche la prima, la metà (art. 2 2° c., DP n. 180/50).
La Cassazione ha affrontato con propria sentenza del 12/6/85, n. 3518 il problema della delimitazione dell’efficacia del D.P.R. 5/1/50 n. 180.
La Suprema Corte ha affermato che tale normativa si riferisce esclusivamente alla sequestrabilità, pignorabilità e cedibilità dei crediti verso lo Stato e gli enti pubblici vantati dai loro impiegati, salariati e pensionati, e “non ancora in loro favore soddisfatti”. Pertanto, una volta soddisfatta – spontaneamente o per via coatta – l’obbligazione derivante per legge a carico della pubblica amministrazione in conseguenza dell’opera di lavoro prestata dal dipendente (…), nessuna preclusione o limitazione più sussistono in ordine alla sequestrabilità e pignorabilità di somme ormai acquisite definitivamente dal dipendente e confluite nel suo patrimonio, sia che esse si trovino nel suo diretto possesso, sia che esse risultino depositate a suo nome presso banche ed assoggettate quindi alla disciplina prevista dall’art. 1834 c.c.” (6).
E’ stato sollevato più volte il dubbio sulla costituzionalità dell’art. 1 del D.P.R. n. 180/50, in rapporto alla disciplina dettata per i lavoratori privati (art. 545, 4° e 6° c., c.p.c.).
La Corte Costituzionale, più volte sollecitata, si è alfine pronunciata con sentenza del 16/3/76, n. 49 in cui ha affermato che tale disciplina non lede il principio di uguaglianza, né quello che afferma la responsabilità dei pubblici dipendenti il cui fondamento risiede nell’esigenza i garantire il buon andamento degli uffici e la continuità dei servizi della P.A.
L’impignorabilità non è che l’aspetto particolare di una normativa volta ad assicurare, nell’interesse della P.A., la indisponibilità giuridica parziale delle retribuzioni dei pubblici dipendenti e di coloro che sono addetti a taluni pubblici servizi, il cui regolare funzionamento è stato ritenuto essenziale.
Del resto la responsabilità patrimoniale del pubblico dipendente ben può trovare attuazione rispetto ad altri beni e crediti esistenti nel patrimonio del debitore. (7).
Quanto detto non si estende agli stessi Enti pubblici che, ai fini del conguaglio fiscale previsto dall’art. 23 del D.P.R. 29/9/73 n. 600, dispongono nei confronti di alcuni dipendenti la ritenuta dell’intera retribuzione nel mese di dicembre, non essendo tale ritenuta in contrasto con il D.P.R. n. 180/50, le cui disposizioni appaiono superate dalle nuove norme tributarie (8).
I crediti dei prestatori di lavoro in rapporto di lavoro privato, compresi quelli da cessazione del rapporto, sono pignorabili per qualsiasi titolo, ma solo nella misura autorizzata dal giudice dell’esecuzione per cause alimentari e nella misura di un quinto per tributo e per ogni altro titolo (art. 545, 3° e 4° c., c.p.c.). Nel caso di concorso di più azioni esecutive su uno dei crediti sopra considerati, il pignoramento non può eccedere la metà dell’ammontare totale (art. 545, 5°c., c.p.c.).
Essendo la porzione fissata per ogni altro credito meno favorito uguale ad un quinto, il giudice per causa alimentare non deve fissare una porzione al di sotto del quinto. Se poi la determinazione non è richiesta il pignoramento si intende effettuato per la misura del quinto, a differenza dei crediti alimentari previsti dall’art. 545, 1° c., c.p.c. in cui si realizzerebbe una situazione di imperfezione e conseguente inefficacia temporanea del pignoramento stesso.
Ci si è chiesti se si possano pignorare gli stipendi ed i salari futuri derivanti da un rapporto continuativo di lavoro ed, allargando il discorso, tutti i crediti derivanti da prestazioni corrispettive periodiche o continuative. Tali crediti appaiono pignorabili in quanto certi nell’ammontare e nel tempo e non fondati su una semplice spesa .
Nel concetto di retribuzione, occorre sottolineare, devono essere fatte rientrare anche le indennità di trasferta erogate in modo fisso e continuativo al lavoratore, in misura preordinata, al fine di raggiungere l’abituale luogo di lavoro (9).
In intervento particolarmente rilevante della Corte Costituzionale si è verificato con la sentenza del 30/11/88, n.1041, in cui sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi gli artt. 128 del R.D.L. 4/10/35 n. 1827 e 69 della L. 30/4/69 n. 153, nella parte in cui non consentono, entro i limiti stabiliti dall’art. 2, n.1 del D.P.R. 5/1/1950 n. 180, la pignorabilità per crediti alimentari delle pensioni corrisposte dall’I.N.P.S. (10).
Infatti, sottolinea la Corte, vi è una disparità di trattamento tra INPS e pubblico priva di qualsiasi giustificazione. Dinanzi all’esigenza di tutelare i crediti alimentari, non vi è ragione di concedere ai titolari di pensione INPS un trattamento privilegiato nei confronti di coloro che fruiscono di pensioni dello Stato o di altri enti pubblici, e tanto meno di porre in una condizione deteriore i rispettivi creditori di assegni alimentari.
La Corte Costituzionale già con sentenza n. 209 del 1984 ha dichiarato l’illegittima costituzionale dell’art. 1 della L. 9/11/1955 n. 1122, che escludeva la pignorabilità per i crediti alimentari delle pensioni corrisposte dall’Istituto di previdenza dei giornalisti.
La stessa sentenza ha risolto il problema del limite di pignorabilità degli assegni pensionistici dell’obbligato, dichiarando applicabile la disposizione dell’art. 2 n. 1 del D.P.R. 5/1/50 n. 180, norma che “può essere considerata di carattere generale nella materia”.
Un ulteriore caso di crediti parzialmente pignorabili sono i crediti di lavoro dei marittimi arruolati. Questi sono pignorabili in misura di un quinto, solo per alimenti dovuti per legge e per crediti certi, liquidi ed esigibili dell’armatore sorti in dipendenza del servizio della nave. Sono del tutto impignorabili le quote corrispondenti al vitto, le somme dovute dall’armatore per il rimpatrio, le spese di cura e le somme dovute dall’istituto assicuratore a norma delle leggi speciali in materia (art. 369, 1° e 2° c., Cod. Nav.). Disposizioni analoghe proteggono i crediti di lavoro dei lavoratori dell’aria (art. 930 Cod. Nav.)
Infine i crediti per assegni familiari sono impignorabili salvo che per alimenti a favore di coloro per i quali sono corrisposti, in questo caso anche per intero (art. 22 D.P. 30/5/55 n. 797).
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NOTE
- Cassazione, sez. unite, 15/9/77 n. 3986, Foro italiano, 1978, 1, 2592 e ss.;
- Cassazione, 12/10/71 n. 2863, Foro italiano, 1972, 1, 77;
Cassazione, 2/7/69 n. 2428, Foro italiano, 1969, 1, 2130;
Cassazione, 3/1/67 n. 1, Foro italiano, 1967, 1, 753;
- Nigro, Giustizia amministrativa, 1976, 217;
- Cassarino, La destinazione dei beni degli enti pubblici, 1962, 72;
- Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, 190;
- Cassazione, sez. 3, 12/6/85 n. 3518, Giustizia civile, 1985, 1, 2499;
- Corte Costituzionale, 16/3/76 n. 49, Rivista Corte dei conti n. ¾, 1976, 1, 465;
- A.R. Lazio, Sez. 3, 21/3/77, T.A.R., 1977, n. 4, 1, 1176;
- Cassazione, 26/3/80 n. 2003, Foro italiano, 1980, 1, 943;
(10)Corte Costituzionale, 30/11/88 n. 1041, Giustizia civile, 1989, 1, 262;
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