Quando si configura il falso innocuo

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(Annullamento senza rinvio)

Il fatto

La Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di quella città, aveva confermato il riconoscimento della penale responsabilità di uno degli imputati per il delitto di falso materiale in atto fidefaciente e dell’altro per il delitto di falso ideologico in atto fidefaciente.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Il ricorso per cassazione nell’interesse del primo imputato menzionato era affidato a due motivi così formulati: 1) vizio di motivazione per violazione dei criteri di valutazione della prova di cui all’art. 192 c.p.p. e della regola di giudizio di cui all’art. 533 c.p. atteso che il giudice di appello, replicando gli errori del giudice di primo grado, accertata la falsità della firma, avrebbe ricondotto la sottoscrizione apocrifa ad altra persona fondando il proprio convincimento esclusivamente sugli esiti della perizia grafologica disposta dal Tribunale posto che, senza tener conto dell’intrinseca debolezza euristica di cui soffre il detto mezzo di prova, perché condizionata dalla cifra di opinabilità discendente dall’apprezzamento soggettivo dell’ausiliario del giudice, di modo che il relativo risultato avrebbe dovuto essere corroborato dagli ulteriori esiti dell’istruzione probatoria compiuta, la Corte triestina avrebbe omesso di valutare la conclusione rassegnata dai periti – di falsità della sottoscrizione e di riconduzione della stessa ad altra persona – nell’insieme della ricostruzione del fatto siccome desumibile dalle dichiarazioni rese dal coimputato e dai testimoni;  vizio di motivazione in relazione al profilo dell’esclusione dell’innocuità del falso deducendosi al riguardo che sarebbe illogica la conclusione secondo la quale il documento sarebbe stato idoneo a ledere l’interesse giuridico protetto della fede pubblica perché, nel caso al vaglio, era stato accertato che l’annotazione era corrispondente a quella mostrata ai testimoni dal suo autore ed uno degli imputati ed era veridica nel contenuto documentando i fatti rappresentati per come si erano effettivamente verificati donde, al di là del segno grafico, apposto in calce ad esso, ad avviso di questo ricorrente, non era stata in alcun modo compromessa la funzione probatoria del documento medesimo, diversamente non spiegandosi la valenza documentale degli atti contrassegnati dalla firma digitale.

Ciò posto, il ricorso proposto nell’interesse dell’altro imputato era ugualmente affidato a due motivi così enunciati: a) vizio di motivazione in riferimento al riconoscimento della natura dolosa della condotta ascritta al ricorrente; b) violazione degli artt. 476 e 479 c.p..

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Quanto al primo ricorso summenzionato, in relazione alla prima doglianza, gli Ermellini rilevavano come essa lamentasse un vizio non ammesso nel giudizio di legittimità atteso che, se il diritto vivente ha statuito che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997) mentre l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere, inoltre, evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi” dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999) e quindi, una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla Corte di cassazione prendere in considerazione, “sub specie” di vizio motivazionale, la diversa valutazione delle risultanze processuali prospettata dal ricorrente (Sez. 1, n. 6383 del 13/11/1997) atteso che dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti, effettuata dal giudice di merito, una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. 1, n. 7252 del 17/03/1999) desunta, ad esempio, come proposto dal ricorrente, dalle prove dichiarative, il cui travisamento, peraltro, può essere denunciato ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), solo qualora il relativo contenuto abbia un oggetto definito e non opinabile tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017) e si riveli decisivo nell’economia della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017), per il Supremo Consesso, occorre riconoscere la correttezza della decisione impugnata non smentita da nessuna, diversa e decisiva, emergenza fattuale.

Detto questo, terminata la disamina del primo motivo, per quanto concerne il secondo motivo, gli Ermellini lo ritenevano infondato rilevando a tal proposito – una volta osservato che la dottrina penalistica, che ha elaborato la teoria del falso documentale, ha affermato che il documento rilevante per il diritto si caratterizza per quattro elementi imprescindibili ossia: 1) per essere il veicolo espressivo del pensiero o della volontà di un uomo; per la sua incorporazione in un sostrato materiale; 2) per l’intellegibilità del suo contenuto, affidato ad un linguaggio comune, ancorché convenzionale; 3) per la sua riferibilità ad un autore; 4) per il dato funzionale dell’idoneità alla prova di rapporti giuridici e da ciò deriva che la sottoscrizione costituisce una componente fondamentale del documento perché è il segno grafico che consente di riferire ad un determinato soggetto il contenuto di pensiero o di volontà in esso trasfuso e nel documento informatico, cui a riferimento l’art. 491-bis c.p., è surrogata, nei casi specificamente previsti e alle condizioni disciplinate dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, artt. 20 e segg. e successive modificazioni (Codice dell’Amministrazione Digitale), dalla “firma digitale” – che il documento in questione sarebbe stato, comunque, idoneo a ledere il bene giuridico tutelato, la fede pubblica, in quanto non genuino nella sottoscrizione quale componente essenziale per stabilire la provenienza del contenuto di pensiero in esso incorporato dal pubblico ufficiale che aveva avuto diretta percezione dei fatti attestati ribadendosi a tal riguardo il principio di diritto secondo il quale, intema di falsità in atti, il falso innocuo si configura solo in caso di inesistenza dell’oggetto tipico della falsità, di modo che questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria, quale un documento inesistente o assolutamente nullo” (Sez. 5, n. 28599 del 07/04/2017; Sez. 5, n. 11498 del 05/07/1990; Sez. 5, n. 5414 del 20/03/1984) posto che, se il falso lede l’aspettativa sociale di corrispondenza ai fatti di alcuni tipi di rappresentazione, la innocuità della contraffazione o dell’alterazione di un documento può essere dovuta esclusivamente all’inesistenza dell’oggetto materiale tipico delle falsità in atti che coincide con un documento dotato di efficacia probatoria legale di modo che la condotta falsificatrice che riguardi l’uso del documento non è innocua perché non cade sull’oggetto materiale del reato, vale a dire sul documento in sé e da qui, per la Cassazione, era ravvisabile la piena correttezza della motivazione rassegnata sul punto dalla Corte territoriale.

La non manifesta infondatezza del ricorso consentiva tuttavia per il Supremo Consesso il formarsi di un valido rapporto di impugnazione ed imponeva dunque il rilievo delle cause di non punibilità, a norma dell’art. 129 c.p.p., e la conseguente loro dichiarazione (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000): nella specie la prescrizione del reato contestato all’imputato.

Il ricorso proposto dall’altro imputato, invece, veniva dichiarato inammissibile.

Quanto alla prima doglianza, i giudici di piazza Cavour notavano come in sede di merito fossero emersi plurimi elementi fattuali, che, valutati unitariamente, a loro avviso, lasciavano ragionevolmente ritenere che egli avesse dolosamente attestato il falso.

Ciò posto, pure il secondo motivo veniva stimato infondato evidenziandosi a tal riguardo che la Corte territoriale, nel ritenere che il documento oggetto dell’addebito di falsità ideologica fosse dotato di fede privilegiata, in quanto diretto ad apportare un contributo di conoscenza, dotato per legge di peculiare affidabilità, ad un procedimento penale istaurato o, comunque, istaurando, avesse agito in linea con l’ermeneusi della Cassazione che ha sempre identificato l’atto pubblico fidefaciente in quel documento che, oltre all’attestazione di fatti appartenenti all’attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione, sia destinato ab initio alla prova, ossia precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato nell’esercizio di una speciale funzione certificatrice, diretta, cioè, per legge, alla prova di fatti che lo stesso funzionario redigente riferisce come visti, uditi o compiuti direttamente da lui (Sez. 5, n. 47241 del 02/07/2019,; Sez. 5, n. 2714 del 04/10/2016; Sez. 6, n. 24768 del 31/03/2016) donde si è riconosciuto che le “relazioni di servizio” redatte dal pubblico ufficiale sono atti pubblici fidefacienti poiché con esse il pubblico ufficiale attesta l’attività espletata nell’esercizio delle sue funzioni e i fatti caduti sotto la sua diretta percezione (Sez. 5, n. 50082 del 29/09/2017; Sez. 5, n. 38085 del 05/07/2012; Sez. 5, n. 8252 del 15/01/2010; Sez. 5, n. 3557 del 31/10/2007; Sez. 5, n. 3942 del 11/10/2002).

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui si spiega in cosa consiste il falso c.d. innocuo.

Difatti, citandosi giurisprudenza conforme, si afferma in questa pronuncia che, in tema di falsità in atti, il falso innocuo si configura solo in caso di inesistenza dell’oggetto tipico della falsità, di modo che questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria, quale un documento inesistente o assolutamente nullo.

Questa pronuncia, pertanto, può essere presa nella dovuta considerazione al fine di verificare se ricorra o meno una ipotesi di falso di questo tipo.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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