L’autonomia privata: estensione e limiti.
L’autonomia privata è riconosciuta con forza di legge dall’art. 1372 c.c.
D’altra parte, l’efficacia vincolante delle norme private si distingue da quella del comando legale, giacché ha, rispetto a quest’ultima, un valore subordinato, in quanto limitata alle parti contraenti ed è comando concreto e non norma astratta[1].
In ogni caso, le parti hanno il potere di concludere tanto contratti nominati tanto contratti innominati ovvero atipici, in forza del meccanismo di cui all’art. 1322 c.c. Anche i contratti innominati, purché perseguano interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento, sono sottoposti alle regole vigenti in materia contrattuale, in ragione della previsione di cui all’art. 1323 c.c.
In linea di principio, il potere di autonomia privata è esteso al punto tale che i privati possono stabilire se, con chi e a quali condizioni contrattare, nonché decidere quale contenuto attribuire al regolamento negoziale. Tuttavia, non è superfluo rammentare come, con l’evoluzione dei tempi ed in particolare con l’avvento della Costituzione, il concetto di contratto sia mutato. Invero, in passato, vigeva il cosiddetto “dogma della volontà”, nel senso che il contratto, calato in una dimensione esclusivamente soggettiva, si colorava della volontà dei contraenti.
Tuttavia, siffatta ricostruzione conduceva a far dipendere le sorti dell’assetto contrattuale dall’esclusiva volontà dei paciscenti, dunque da qualsiasi causa in grado di perturbare questi ultimi[2]. Discendeva l’abbondono del dogma in parola, progressivamente sostituito dalle istanze di certezza e stabilità dei traffici giuridici.
Com’è noto, l’art. 1321 c.c., espressione del principio dell’accordo, così dispone: “Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.
Ebbene, “rapporto giuridico” deve essere inteso come relazione implicante uno specifico impegno legale all’attuazione dell’oggetto dell’accordo, la cui violazione attira conseguenze legali conformate sul risultato che, in base al rapporto, doveva realizzarsi[3].
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Nonostante, il principio dell’accordo ex art. 1321 c.c. nasca dalla spontanea manifestazione di volontà delle parti, talvolta, la legge ne limita il perimetro. Basti pensare all’art. 2597 c.c. (obbligo di contrattare da parte del soggetto in posizione di monopolio legale) o, ancora, all’art. 1679 c.c., in materia di trasporti, a mente del quale, “coloro che per concessione amministrativa esercitano servizi di linea per il trasporto di persone o di cose sono obbligati ad accettare le richieste di trasporto che siano compatibili con i mezzi ordinari dell’impresa, secondo le condizioni generali stabilite o autorizzate nell’atto di concessione e rese note al pubblico”.
Limitazioni di questo genere possono, altresì, verificarsi in ipotesi di contratti di adesione, nei quali il contenuto viene predisposto unilateralmente da una parte ed imposto all’altra, senza possibilità di una negoziazione. In questo specifico caso, il nocciolo duro dell’autonomia privata, ossia la volontarietà, viene fatto salvo, giacché la parte, aderendo alle condizioni imposte dall’altra, contribuisce, di conseguenza, a formare il regolamento contrattuale. Il quadro descritto è quello che, di regola, si propone in materia di contrattazione standardizzata di cui agli artt. 1341, 1342 c.c.
Ed ancora: la prelazione legale produce un vincolo di preferenza che necessita di essere rispettato, poiché, in caso contrario, il beneficiario ha diritto di esercitare il riscatto.
Autonomia contrattuale e norme tributarie: rapporti e profili di interferenza.
Sussistono taluni settori della contrattazione, in cui le parti possono prestare il loro consenso all’inserimento, nel contratto, di clausole ovvero patti aventi un contenuto atipico. È il caso del patto di manleva, con il quale si trasferiscono le conseguenze risarcitorie dell’inadempimento in capo ad un altro soggetto che garantisce il creditore, con obbligo del garante di tenerne indenne il manlevato. È stato definito dalla giurisprudenza come contratto atipico, fonte di un autonomo rapporto giuridico sostanziale, non disciplinato dall’ordinamento[4].
Con specifico riferimento alla materia locatizia, è sorto un contrasto giurisprudenziale di non poco momento, relativo al cosiddetto patto traslativo dell’imposta.
In effetti, sono sorti interrogativi circa possibilità dell’autonomia privata di spingersi sino a prevedere clausole in forza delle quali si attribuisce al conduttore l’obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati ed al contratto, manlevando, di conseguenza, il locatore[5].
In particolare, gli interpreti si sono chiesti, da un lato, se esista, nel nostro ordinamento, un generale divieto di concludere patti traslativi dell’imposta, dall’altro, se questi ultimi si pongano in contrasto con l’art. 53 Cost., a mente del quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
Secondo un primo orientamento, il patto traslativo di imposta dovrebbe ritenersi nullo, ex art. 1418, comma I, c.c., per contrarietà alla norma imperativa di cui all’art. 53 Cost.
Invero, secondo questa impostazione, l’art. 53, lungi dall’essere una norma meramente programmatica, ha, al contrario natura, direttamente precettiva, potendo incidere, in via immediata, sui rapporti tra privati. Discenderebbe che, mediante il patto traslativo, il soggetto obbligato al pagamento del tributo sottrae la propria ricchezza alle limitazioni sociali previste dalle legge.
Al contrario, secondo diversa ricostruzione, il patto traslativo d’imposta sarebbe nullo per illiceità della causa, contraria all’ordine pubblico, solo ove esso comporti che l’imposta non venga effettivamente corrisposta dal soggetto percettore del reddito.
Ebbene, la Suprema Corte, riprendendo un orientamento già espresso dalle Sezioni Unite del 1985[6], ha, in primo luogo, ribadito la natura imperativa della norma di cui all’art. 53 Cost. che, pertanto, continua a mantenere la sua essenza di norma direttamente precettiva. In secondo luogo, ha chiarito che il patto in esame debba essere interpretato in ragione dei criteri offerti dal Codice Civile, di cui agli artt. 1369 (“Le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto”) e 1366 (“Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede”). Dunque, il patto traslativo dell’imposta sul conduttore può ritenersi valido laddove integri il canone complessivamente dovuto dal conduttore al locatore; ciò perché non deve implicare che il tributo venga pagato da un soggetto diverso dal contribuente. Quindi, così ricostruito il patto de quo, risulta evidente che le imposte saranno, comunque, sostenute dal proprietario dell’immobile nel quale l’ente impositore ha individuato il soggetto tenuto a farvi fronte, senza che l’accordo privato rilevi come mezzo per aggirare le norme imperative vigenti in materia di tributi.
Principio di certezza del diritto e norme costituzionali: spunti di riflessione.
La complessità dei rapporti, cui può dar vita l’autonomia privata, ha condizionato la certezza del diritto, legandola all’interpretazione e al ragionamento dell’operatore giuridico chiamato ad applicare la norma. L’interpretazione riveste, allora, un ruolo cruciale ai fini della preservazione della certezza del diritto.
In questo contesto, un ruolo altresì fondamentale, svolge la Costituzione, in cui vengono a fondersi istanze di giustizia, formalistiche e sostanzialistiche.
Come emerge dal quadro delineato nei paragrafi precedenti, l’autonomia privata, per quanto espressione del principio dell’accordo e della libera manifestazione di volontà circa il regolamento degli interessi delle parti coinvolte, incontra comunque importanti limiti. Questi ultimi, da un lato, sono posti a tutela delle parti medesime, ossia in un’ottica di protezione della loro stessa libertà di espressione, dall’altro lato, sono posti allo scopo di tutelare interessi di rilievo pubblico, che rischiano di essere messi in discussione da patti atipici stipulati dai paciscenti. In conclusione, può osservarsi quanto sia essenziale il ruolo dell’interpretazione del contratto, al fine di valutare, di volta in volta, la validità dei patti atipici conclusi dalle parti con le norme, vigenti nell’ordinamento italiano, aventi natura imperativa e rilievo costituzionale.
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Note
[1] A. Trabucchi, “Istituzioni di diritto civile”, 2012, p. 185 e ss.
[2] V. Roppo, “Il Contratto”, p. 37 e ss.
[3] OP.cit. p. 40 e ss.
[4] Cassazione civile, sez. II , 30/05/2013, n. 13613, De Jure.it.
[5] Cassazione civile sez. un., 08/03/2019, n.6882, De Jure.it.
[6] Cassazione civile sez. un., 6445/1985, De Jure.it.
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