La Corte costituzionale si pronuncia sui rapporti tra Pubblica Amministrazione e enti del Terzo settore

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Gli enti del terzo settore perseguono obiettivi di interesse generale ed il rapporto tra il mondo della cooperazione sociale e la Pubblica Amministrazione costituisce un utile rapporto per la collettività, ampiamente riconosciuto dal legislatore.

La sentenza della Corte costituzionale n.131 del 2020 effettua un’interessante disamina delle norme del terzo settore compiendo un approfondimento dei rapporti tra le fonti.

In particolare, la Corte costituzionale, seppur delineando le specificità della normativa volta a valorizzare la convergenza di obiettivi e dell’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi, inserisce il Codice del Terzo settore nel contesto normativo entro cui si muove la Pubblica Amministrazione. Pertanto, il Codice del Terzo settore deve essere letto all’interno dell’ordinamento. Peraltro, le Direttive europee in materia di appalti, e la giurisprudenza della Corte di giustizia mantengono in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano, in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente al perseguimento delle finalità sociali.

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La questione di legittimità costituzionale

La questione di legittimità costituzionale ha per oggetto l’articolo 5, comma 1, lettera b), della legge della Regione Umbria 11 aprile 2019, n. 2, la quale prevede la disciplina delle cooperative di comunità.

La legge regionale considera cooperative di comunità le società cooperative che anche al fine di contrastare fenomeni di spopolamento, declino economico, degrado sociale urbanistico, perseguono l’interesse generale della comunità in cui operano, promuovendo la partecipazione dei cittadini alla gestione di beni o servizi collettivi, nonché alla valorizzazione, gestione o all’acquisto collettivo di beni o servizi di interesse generale. In particolare, la legge regionale all’articolo 5, oggetto di censura e rubricato «Strumenti e modalità di raccordo», al comma 1 prevede che la Regione «riconoscendo il rilevante valore sociale e la finalità pubblica della cooperazione in generale e delle cooperative di comunità in particolare […] b) disciplina le modalità di attuazione della co-programmazione, della co-progettazione e dell’accreditamento previste dall’articolo 55 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106) e le forme di coinvolgimento delle cooperative di comunità e adotta appositi schemi di convenzione-tipo che disciplinano i rapporti tra le cooperative di comunità e le stesse amministrazioni pubbliche operanti nell’ambito regionale».

 

 

La norma parametro

 

La norma parametro entro cui vagliare la legittimità della norma regionale è l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Il ricorrente sostiene che l’art. 5, comma 1, lettera b), si porrebbe in contrasto con la norma statale richiamata perché prevederebbe il coinvolgimento anche delle cooperative di comunità nell’attività di programmazione, progettazione e accreditamento. Nel ricorso assume un ruolo centrale il contenuto dell’art. 55 del Codice del terzo settore, che la norma regionale impugnata renderebbe riferibile a un soggetto, la cooperativa di comunità, privo della qualifica di ente del terzo settore.

L’art. 55 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106»  limiterebbe tale coinvolgimento ai soli enti del Terzo settore, individuati dall’art. 4 del decreto stesso, tra i quali non sarebbero ricomprese le cooperative di comunità.

La previsione del coinvolgimento delle cooperative di comunità comporterebbe, «nella sostanza, l’omologazione di quelle agli enti del Terzo settore i quali, invece, così come tassativamente elencati, sono gli unici soggetti legittimati, secondo la normativa statale di riferimento, a partecipare attivamente alla programmazione statale degli interventi di utilità sociale».

In tal modo, la norma regionale amplierebbe il novero dei soggetti del Terzo settore, individuati e disciplinati dalla legge statale e dal diritto privato, così invadendo la materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

 

 

La norma che disciplina il rapporto tra il mondo della cooperazione sociale e la Pubblica Amministrazione

 

L’articolo 55, comma1, stabilisce che le amministrazioni pubbliche, nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività degli enti del terzo settore ne assicurano il coinvolgimento attivo “attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona”. Nei commi successivi la disposizione specifica che la co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione.

L’individuazione degli enti del Terzo settore con cui attivare il partenariato avviene anche mediante forme di accreditamento nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell’intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l’individuazione degli enti partner.

L’art. 55 Codice del terzo settore pone in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare, «nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona», il coinvolgimento attivo degli enti del terzo settore  nella programmazione, nella progettazione e nell’organizzazione degli interventi e dei servizi, nei settori di attività di interesse generale definiti dall’art. 5 del medesimo Codice.

Il modello configurato dall’art. 55 del Codice del Terzo settore non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale.

Ed anche le Direttive europee in materia di appalti, e la giurisprudenza della Corte di giustizia mantengono in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano, in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente al perseguimento delle finalità sociali.

Tuttavia questo modello di condivisione della funzione pubblica prefigurato dall’art. 55 è  riservato in via esclusiva agli enti che rientrano nel perimetro definito dal Codice, secondo il quale costituiscono il Terzo settore gli enti che rientrano in specifiche forme organizzative tipizzate e gli altri enti “atipici” che perseguono, «senza scopo di lucro, […] finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi», e che risultano «iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore».

 

 

La pronuncia

 

La Corte costituzionale sentenza n.131 del 2020 dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b).

Secondo la Corte costituzionale, tuttavia, risulta pertinente la censura del ricorrente che prefigura una violazione della competenza statale. Il legislatore regionale se da un lato è abilitato, nell’ambito delle attività che ricadono nelle materie di propria competenza, a declinare più puntualmente l’attuazione del dettato normativo, in relazione alle specificità territoriali, non può, dall’altro, alterare le regole essenziali delle forme di coinvolgimento attivo.

Tuttavia, va rilevato che la legge reg. Umbria n. 2 del 2019 non contiene, in nessuna sua disposizione, un’espressa qualificazione delle cooperative di comunità come enti del terzo settore.

La norma impugnata oltre a prevedere l’adozione di «appositi schemi di convenzione-tipo che disciplinano i rapporti tra le cooperative di comunità e le stesse amministrazioni pubbliche operanti nell’ambito regionale demanda alla Regione un duplice compito: quello di disciplinare «le modalità di attuazione della co-programmazione, della co-progettazione e dell’accreditamento previste dall’articolo 55 del [CTS] e le forme di coinvolgimento delle cooperative di comunità».

L’uso della congiunzione «e» conferma un’interpretazione per cui la disciplina delle modalità di attuazione degli istituti previsti dall’art. 55 Codice del terzo settore è tenuta distinta da quella delle forme di coinvolgimento che le cooperative di comunità possono avere con i soggetti pubblici.

Gli ambiti concettuali dei due sistemi sono riconducibili a fonti diverse e pertanto non sono assimilati quanto a regime.

Questa interpretazione consente di escludere il vulnus prospettato dal ricorrente, perché la norma censurata non comporta alcuna omologazione tra un soggetto estraneo al Terzo settore e quelli che vi rientrano. Essa, infatti, consente di disciplinare:

le modalità attuative dell’art. 55 CTS, avendo a riguardo gli ETS, come qualificati dalla normativa statale (e, quindi, anche le cooperative di comunità che in base alla suddetta normativa siano tali);

b) le forme di coinvolgimento delle cooperative di comunità, che siano “soltanto” così qualificabili (e non anche come ETS) e che non potranno essere coinvolte con gli stessi strumenti e modalità riservati dal legislatore statale agli ETS ai sensi del citato art. 55 CTS.

Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte, va da sé che gli schemi di convenzione-tipo, richiamati dalla disposizione impugnata e da adottare da parte della Regione, sono necessariamente diversi, quanto a presupposti e contenuti, dalle forme di coinvolgimento tipicamente disciplinate per gli ETS, perché, qualora attengano a cooperative di comunità non qualificabili all’interno di tale perimetro, la relazione convenzionale con l’ente pubblico si pone su basi diverse da quella accordata ai primi.

La Corte costituzionale dichiara che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b) non è fondata.

 

 

Il principio di sussidiarietà orizzontale

 

Principio fondamentale del diritto amministrativo che disciplina il rapporto tra i diversi livelli dell’amministrazione è il principio di sussidiarietà verticale. Il principio di sussidiarietà verticale è un criterio di riparto delle competenze degli enti di diverso livello territoriale, in cui la cura dell’interesse del cittadino è affidato all’ente più vicino e l’intervento dell’ente di livello più alto si giustifica laddove l’azione del primo risultasse inadeguata (il c.d. ascensore). Da tale declinazione del principio di sussidiarietà va distinta la sussidiarietà orizzontale, valorizzata dall’art. 118, quarto comma, della Costituzione la quale regola il rapporto tra iniziativa privata ed intervento pubblico. Tale disposizione ha esplicitato nel testo costituzionale le implicazioni di sistema derivanti dal riconoscimento della «profonda socialità» che connota la persona umana (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 228 del 2004) e della sua possibilità di realizzare una «azione positiva e responsabile» (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 75 del 1992).

L’articolo 55 del Codice del Terzo settore rappresenta una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale.

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