Giustizia riparativa e Mediazione: una nuova forma di Giustizia complementare al diritto penale

SOMMARIO: -1. Premessa.  -2. Introduzione storico-giuridica: un’analisi critica.  -3. Giustizia riparativa e diritto penale: un confronto.  -4. Gli strumenti della Giustizia riparativa e Mediazione.  -5. Il principio di rieducazione nell’ordinamento giuridico italiano: è possibile rieducare il reo attraverso il modello riparativo?

Premessa

Il presente elaborato si pone l’obiettivo di approfondire da un punto di vista normativo la disciplina della Giustizia riparativa e Mediazione, analizzando principalmente il contenuto della direttiva n. 29/2012/UE, procedendo in seguito con un breve excursus circa le radici di tale modello di Giustizia.

Si analizzerà il significato del principio di complementarietà che regola i rapporti tra il diritto penale e la Riparazione. Si passeranno in rassegna gli strumenti e i principi che plasmano questa forma di Giustizia, per poi concludere con il rapporto che sussiste tra il principio di rieducazione e la Giustizia riparativa, verificando se, dal punto di vista concreto, quest’ultima possa esse utile nella fase di esecuzione penale e in generale da un punto di vista della sicurezza sociale.

Introduzione storico-giuridica: un’analisi critica

La Giustizia riparativa è una forma di giustizia peculiare e differente rispetto al diritto penale classico. La ratio cui si ispira è legata alla riparazione del rapporto tra vittima e reo, attraverso procedimenti e strumenti diversi da quelli tipizzati nei procedimenti penali.

A partire dagli anni ’70 del secolo scorso nascono i primi studi e programmi di Giustizia riparativa, i quali enfatizzano la problematica principale dei processi penali: ossia la scarsa importanza attribuita alla persona della vittima[1], che passa in un piano secondario, a differenza del reo, il quale diviene il principale protagonista del procedimento. Tale profilo problematico è il punto di partenza della Giustizia riparativa. Quest’ultima denuncia gli aspetti critici dei classici procedimenti penali, e diviene un manifesto contro il tipico sistema penale, incentrato invece sul principio retributivo-rieducativo della pena.[2]

 

Tale forma di Giustizia è stata regolamentata a livello normativo-europeo attraverso la direttiva n.29/2012/UE, che nel primo capo all’articolo 1 prevede che lo scopo della direttiva è assicurare alle vittime di reato un’informazione e un’assistenza e protezione adeguate, che possano quindi partecipare ai procedimenti penali.[3] Inoltre sempre nell’articolo ivi menzionato viene stabilito che:

Gli Stati membri assicurano che le vittime siano riconosciute e trattate in maniera rispettosa, sensibile, personalizzata, professionale”. Tale profilo è altresì rilevante, in quanto pone l’attenzione su aspetti che raramente vengono considerati durante un procedimento penale, nel quale viene posto l’accento sulla pretesa punitiva statale nei confronti del reo, attraverso l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero.

Proseguendo in rassegna con la direttiva in questione rileva certamente l’articolo 2, il quale fornisce alcune definizioni necessarie per la comprensione di questo nuovo modello di giustizia. In particolare viene definita la vittima, come una persona che ha subito un danno, fisico, mentale o emotivo, perdite economiche che siano state causate direttamente dalla condotta delittuosa. La vittima è altresì un familiare di una persona la cui morte è stato l’evento prodotto dalla condotta dell’autore del reato.

Viene definita anche la Giustizia riparativa, come un procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale.[4]

Dunque si ricorre ai programmi riparativi solo se:

  1. a) la vittima vi abbia prestato consenso, che può essere revocato in qualsiasi momento[5]; prima della partecipazione al procedimento di Giustizia riparativa;
  2. b) la vittima riceve informazioni complete ed obiettive in merito al procedimento stesso e al suo potenziale esito, così come informazioni sulle modalità di controllo dell’esecuzione di un eventuale accordo[6];
  3. c) l’autore del reato ha riconosciuto i fatti essenziali del caso[7].

Ogni eventuale accordo è raggiunto volontariamente e può essere preso in considerazione in ogni procedimento penale ulteriore[8].

In via riassuntiva si può dunque affermare che al capo secondo e terzo della presente direttiva trovano legittimazione non solo i programmi di Giustizia riparativa, ma vengono altresì legittimate le figure tipiche dei procedimenti riparativi, ossia reo e vittima, i mediatori o riconciliatori.  Tale direttiva rappresenta la fonte più importante nel panorama europeo circa la sensibilizzazione del tema della Giustizia riparativa, ed essendo una direttiva è vincolante per tutti gli Stati membri, i quali secondariamente dovranno adeguare i loro ordinamenti ai principi della fonte comunitaria.

 

Facendo un passo indietro nel tempo è doveroso ricordare le primordiali origini di una Giustizia improntata sul modello riconciliativo rispetto a uno meramente retributivo-punitivo. In particolare si richiama Eschilo[9]. Egli è stato uno dei primi a porre le basi per il superamento della legge del taglione, e quindi di un modello di giustizia meramente punitivo. Eschilo racconta della vicenda di Agamennone che salpò verso Troia e uccise la figlia Ifigenia. Così una volta ritornato in patria, la moglie Clitemnestra uccide Agamennone con l’aiuto del proprio amante, per rivendicare l’omicidio della figlia. Tuttavia Oreste che è il figlio di Agamennone e Clitemnestra, quando anch’egli torna in patria uccide la madre e il suo amante, per rivendicare l’omicidio del padre. La catena della violenza e dell’ira non termina qui, perché le Erinni vorrebbero uccidere Oreste, ma una volta che quest’ultimo giunge ad Atene viene istituito il tribunale dell’areopago, che sostituisce alla vendetta Dike, ossia la giustizia. Questa vicenda dimostra come già in epoca arcaica vi fossero le basi per il superamento di una forma di giustizia meramente punitiva, che produce solo effetti negativi, e quindi la sua sostituzione con una forma di giustizia più democratica.

Lo spunto che fornisce Eschilo è attualissimo: attraverso un’attenta analisi della storia classica si può giungere alla conclusione che una visione meramente punitivo-retributiva della giustizia non solo è arcaica, ma non è compatibile con l’evoluzione fisiologico-umana della giustizia. Soprattutto in considerazione del periodo storico in cui ci troviamo, appunto il ventunesimo secolo, che dovrebbe essere la culla di società plasmate da illustrissimi principi costituzionali e democratici che, troppo spesso dal punto di vista concreto non trovano attuazione.

 

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Giustizia riparativa e diritto penale: un confronto

Il diritto penale è una branca del nostro ordinamento la cui legittimazione trova fondamento in diverse teorie che verranno in seguito analizzate.  Prima di procedere in tal senso è doveroso individuare i cambiamenti a cui è stato soggetto il diritto penale nel corso del tempo. La sua storia infatti è stata segnata da una svolta epocale: stiamo parlando della secolarizzazione del diritto penale, e del passaggio dall’identità tra reato e peccato, per giungere ad una nuova equazione ossia reato che coincide con il fatto dannoso per la società, che cagiona ad altri un danno ingiusto. Quindi il diritto penale oggi punisce quei comportamenti non più contrastanti con la legge divina, bensì va inteso come diritto che punisce quelle condotte (azioni ed omissioni) che collidono con le norme giuridiche dell’ordinamento statale.

Tale svolta viene portata avanti da giusnaturalisti, e successivamente dagli illuministi. Così Cesare Beccaria, uno dei principali esponenti della scuola classica ricorda che bisogna guardare alla responsabilità dell’agente, e per fare ciò è necessario distinguere tra dolo e colpa grave, e che “la vera misura dei delitti è il danno alla nazione”.[10]

La secolarizzazione del diritto penale si inserisce nel contesto di attuazione del principio di laicità dello Stato che è avvenuta dal punto di vista giuridico con la sentenza additiva n. 203/1989 della Corte costituzionale, che nel caso specifico ha riguardato il riconoscimento del pluralismo confessionale, e che quindi lo Stato offre uguale garanzia della libertà di religione in un regime di pluralismo confessionale e culturale. Il riconoscimento di tale principio supremo ha inciso anche dal punto di vista penalistico, che ha condotto in prima battuta il legislatore a non qualificare reati i comportamenti peccaminosi delle singole religioni, e in secondo piano a non punire tali comportamenti da parte della magistratura italiana.[11]

 

Ritornando alle teorie che ispirano il diritto penale si possono distinguere una teoria assoluta e una teoria relativa.

Così come spiega il Professore Emilio Dolcini[12], la teoria assoluta è una teoria disinteressata agli effetti della pena, ed è dunque una teoria retributiva, si concepisce la pena come un male inflitto dallo Stato per retribuire il male che il reo ha inflitto ad un’altra persona o alla società, si punisce semplicemente perché è giusto, senza considerare minimamente particolari utilità dell’applicazione della pena. Al contrario le teorie relative sono interessate agli effetti della pena. Si distinguono a riguardo una teoria general-preventiva e una teoria special-preventiva.

La prima qualifica la pena come mezzo per orientare le scelte di comportamento della generalità dei suoi destinatari mediante l’intimidazione che si profila attraverso il contenuto afflittivo della pena che dovrebbe avere una controspinta psicologica alla non commissione del reato. Ma tale teoria ritiene che la pena abbia una funzione anche sull’orientamento culturale, ossia l’azione pedagogica svolta dalla norma penale nel lungo periodo, che determina una adesione ai valori espressi dalla legge.

La seconda teoria qualifica la pena come uno strumento per prevenire la possibilità che il reo commetta in futuro altri reati mediante la risocializzazione, l’intimidazione e la neutralizzazione.[13]

Nel nostro ordinamento prevale la teoria della prevenzione generale che incontra un limite nella funzione di prevenzione speciale, in particolare nell’articolo 27 comma 3 della Costituzione che sancisce che la pena deve essere rieducativa.

 

Una volta chiarita la funzione del diritto penale nel nostro ordinamento bisogna effettuare un passaggio ulteriore e chiarire il rapporto che sussiste tra quest’ultimo e la Giustizia riparativa. Tra le due forme di giustizia esiste un rapporto di complementarietà. [14] Anzitutto in base alle fonti internazionali[15] si stabilisce che sia possibile ricorrere in qualsiasi stato e grado del procedimento a percorsi di Riparazione, in tal senso la stessa direttiva 29/2012/UE prevede l’abbandono di una visione meramente reo-centrica del processo penale, per dare maggior spazio alla vittima di reato, così che possa davvero realizzarsi un bilanciamento di interessi tra reo e vittima.

La Giustizia riparativa è un metodo che non è soggetto agli stessi profili di tassatività del diritto penale, non ci sono regole tipizzate nei procedimenti riparativi. E questo è anche il punto di forza della disciplina in questione: si mette al centro la Persona con i suoi bisogni ed interessi, è un metodo antropologico, che usa come principale strumento per la riparazione la mediazione. Quindi ciascun paradigma trova nell’altro il proprio completamento: la giustizia riparativa è un’occasione per il diritto penale di non analizzare il conflitto solo tramite gli strumenti propri del diritto penale che sono cristallizzati nei precetti, e di conseguenza il diritto penale deve fare un passo indietro rispetto a soluzioni del conflitto meramente sanzionatorie. [16] E infine la sola Giustizia riparativa non è idonea a essere un paradigma universale per la risoluzione di controversie, infatti non sempre le parti coinvolte in un procedimento penale vogliono intraprendere percorsi riparativi. E allora è proprio in questi casi che serve che ci sia uno Stato che si erga a difensore per la tutela dei diritti violati: mediante l’intervento del pubblico ministero, e tutti i meccanismi propri del nostro codice di procedura penale. Per la vittima deve essere sempre possibile adire una Corte per la tutela dei propri diritti e la possibilità di ottenere un risarcimento per i danni subiti. Pertanto la volontarietà dei percorsi riparativi esige l’obbligatorietà e la coercizione del diritto penale. [17]

 

 

Gli strumenti della Giustizia riparativa e Mediazione

Prima di terminare questo approfondimento sulla Giustizia riparativa è necessario approfondire quali sono gli strumenti che tale forma di giustizia utilizza per raggiungere una riparazione tra reo e vittima.

In questi procedimenti i mediatori utilizzano l’empatia, l’ascolto attivo, la fiducia, e il dialogo. Si può dunque affermare che alla base di un percorso di mediazione producente ci sia una comunicazione aperta tra i soggetti coinvolti, guidata dai mediatori. Questi ultimi orientano le parti verso una maggiore conoscenza dei bisogni ed interessi reciproci, solo così in un momento successivo, dopo che le parti hanno individuato le rispettive esigenze potranno iniziare una vera riparazione che possa ripristinare il legame che è stato leso con la commissione del reato.[18]                                     È importante che sia costituito uno spazio di ascolto in cui il reo e la vittima si sentano protetti e possano instaurare un dialogo in confidenza, senza la paura di essere giudicati.[19] Si citava prima l’empatia, quest’ultima è la capacità di immedesimarsi nel vissuto delle parti, e può avvenire attraverso un ascolto attivo di tutti i fatti che vengono narrati dalla persona che ha commesso o ha subito il reato.[20] Se la vittima non volesse partecipare al procedimento di mediazione è possibile ricorrere a una mediazione con vittima aspecifica o surrogata: questa modalità può comunque portare benefici alle parti. Ascoltare attivamente chi si ha davanti è essenziale per far sì che questo metodo funzioni, ciò implica eliminare ogni pensiero legato a meri giudizi di valore, per andare al di là della persona che appare e immedesimarsi nella sua situazione. È dunque necessario che affinchè il metodo riparativo funzioni si instauri un clima di fiducia tra i soggetti partecipanti alla procedura. La tipologia di fiducia che si crea nei percorsi riparativi ha un tessuto differente rispetto a quella del diritto penale. Quest’ultimo, attraverso la previsione astratta della pena, risponde ad una contrazione della fiducia individuale o collettiva causata dalla commissione del reato; la Giustizia riparativa invece cerca di ricostruire la fiducia tra le Persone. Si cerca dunque di assumersi la responsabilità per il fatto commesso vero l’altro, inteso come Persona, e la mediazione è lo strumento per recuperare questa fiducia, seguendo la lezione di Lévinas, secondo il quale “il legame con gli altri si stringe soltanto come responsabilità”. [21]

L’empatia, l’ascolto attivo e la fiducia non sorgono nel momento in cui non vi è un dialogo tra i protagonisti del percorso riparativo. È doveroso intendere il dialogo secondo la sua etimologia greca (διάλογος), ossia “conversare”, “discorrere”, che implica un confronto tra due o più persone che non necessariamente hanno idee analoghe, dunque il dialogo diventa un’occasione di confronto e di maggiore comprensione reciproca, in chiave restaurativa. Si pongono dunque le basi per passare dal modello punitivo-retributivo a uno riparativo-conciliativo.

 

 

Il principio di rieducazione nell’ordinamento giuridico italiano: è possibile rieducare il reo attraverso il modello riparativo?

Prima di dare una risposta alla domanda che fornisce il titolo all’ultimo paragrafo di questo approfondimento, è necessario analizzare alcuni principi che orientano la disciplina della rieducazione nel nostro ordinamento.

Partiamo con l’analisi dell’articolo 27 della nostra Costituzione. In particolare vorrei porre l’attenzione sul comma 3, il quale recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Tale articolo è espressione del principio di rieducazione, e il suo contenuto viene altresì richiamato anche da un’ulteriore fonte: mi riferisco all’articolo 1 della legge di ordinamento penitenziario[22] il quale prevede che il trattamento penitenziario debba rispettare l’umanità e la dignità della persona.

Occorre effettuare ulteriori precisazioni. Se è vero che la Carta dei diritti fondamentali della Persona prevede tale previsione astratta, è doveroso completare il quadro enfatizzando i numerosi problemi concreti di tale principio. Molto spesso infatti le pene sono contrarie al senso di umanità e dignità, basti pensare alla sentenza Torreggiani pronunciata l’8 gennaio del 2013, attraverso la quale l’Italia è stata condannata per aver violato l’articolo 3 della CEDU.

Ma vi è di più. I principi del diritto penale, ispirati alle teorie general e special preventive sono spesso improduttive di effetti: le pene vengono espiate in istituti penitenziari in gravi condizioni di sovraffollamento carcerario il cui tasso attuale è del 119,8% [23], e tali condizioni difficilmente consentono di attuare un trattamento rieducativo-trattamentale. Con la diretta conseguenza che chi esce dal carcere molto probabilmente commetterà nuovamente un reato, anche più grave rispetto a quello per cui è stato condannato precedentemente.[24]

 

Dinanzi a tale panorama critico emerge la Giustizia riparativa, che essendo complementare al diritto penale può essere uno strumento tramite il quale si possano risolvere parte delle problematiche attuali in cui versa il classico sistema penale. Tuttavia per poter attuare tale forma di Giustizia è necessaria una rivoluzione culturale della società, di cui parla il giurista Guido Scardovelli in un seminario tenuto a Trevi nel 2017. Egli in particolare ritiene che per attuare il progresso spirituale di cui parla la Costituzione all’articolo 4 comma 2, è fondamentale cambiare il clima culturale in cui si trova oggi la società.

La concezione dominante oggi sembra essere legata a una teoria meramente retributiva della pena, quindi dinanzi a chi commette del male bisogna rispondere con altro male, dimenticandosi dei principi costituzionali che tutelano la dignità della persona, a prescindere che commetta o meno un reato. [25] Dunque davanti ad un momento storico di particolare criticità per il diritto penale è possibile intervenire con procedimenti riparativi che pongono al centro di ogni dialogo la Persona: il reo e la vittima, ma anche la società.

 

Tornando al quesito iniziale, funzionano davvero i percorsi riparativi in fase esecutiva e soprattutto dinanzi alle forme di reato più gravi? Premettendo che sia difficile il più delle volte immaginare che si possa ricorrere a tali forme di giustizia dinanzi a reati gravissimi, i dati possono stupire. Infatti è proprio davanti a queste forme delittuose che i programmi di Giustizia riparativa hanno fornito i loro migliori risultati.[26] Basti pensare per esempio alla risoluzione del conflitto africano mediante l’istituzione del Tribunale per la verità e la riconciliazione per mano di Nelson Mandela, oppure all’utilizzo della mediazione per arginare conflitti in Israele e Palestina.

Così anche Adolfo Ceretti ritiene che davanti ai crimini più gravi, più feroci, l’uomo in realtà cerca la potenza di riti riparatori, e che l’espiazione della pena non dà risposte alle spiegazioni ricercate dall’uomo dinanzi a un reato, al contrario si necessita di riallacciare le connessioni interrotte dal delitto.[27] Il criminologo che lavora preso l’Ufficio di Mediazione penale di Milano è rimasto colpito dalla richiesta del Tribunale di Milano di instaurare tali procedimenti soprattutto dinanzi ai reati più gravi, più difficili da perdonare, e di come abbiano avuto buon esito svariati procedimenti riparativi.

 

I percorsi riparativi possono divenire un monito per colmare le lacune del diritto penale, enfatizzando maggiormente il rapporto di complementarietà, possono sradicare i pregiudizi dei molti che tendono a identificare la Persona che commette il reato con il suo Reato, dimenticandosi della dimensione umana che c’è dietro ad ogni persona, della sua vulnerabilità, del suo passato e delle sue pulsioni aggressive.

 

La Giustizia riparativa non è un metodo per non punire chi ha commesso un reato, ma tale forma di Giustizia va oltre la punizione, non si tratta di punire chi ha commesso un fatto delittuoso, si tratta di mettere in comunicazione reo e vittima, qualora entrambi vi acconsentano, per poter riparare dal punto di vista individuale e sociale la frattura che si è creata attraverso la commissione del reato.

La Riparazione pertanto intende il fatto di reato non solo come un evento isolato che ha colpito la vittima, ma lo ritiene una violazione del patto sociale che lega i consociati, per tale ragione non basta prevedere una pena da espiare in virtù del fatto commesso, è necessario rimettere in connessione in primis il reo e la vittima, e in secundis il reo con la società, in quanto gli studi sulla Giustizia riparativa e mediazione hanno come obiettivo ultimo un’utilità assolutamente pratica di tale forma di Giustizia, che deve andare inevitabilmente a vantaggio della società. Per ridurre la possibilità di recidiva, per ridurre il sovraffollamento carcerario ma soprattutto per dare più valore alla persona della vittima, che spesso viene dimenticata nei classici procedimenti penali, nei quali i principali protagonisti in scena sono il pubblico ministero e l’imputato, entrambi dipendenti dalla decisione del giudice, che alla fine emetterà una pronuncia. E non importa se quest’ultima sia stata presa all’esito di un procedimento in cui la sensibilità, la privacy, l’emotività della vittima sono state oggetto di vittimizzazione primaria e secondaria.

Soprattutto dinanzi ai delitti più gravi si assiste ad uno spettacolo fin troppe volte macabro, la cui trama è tessuta attorno alla ricerca ostentata della verità, a qualsiasi costo, non importa quanti danni ulteriori possa arrecare alla vittima e alla sua famiglia, basta che si trovi una verità, non importa quanto male ulteriore rispetto a quello già posto in essere possa arrecare.

La Giustizia riparativa rappresenta un modello di Giustizia sicuramente ambizioso, ma non impossibile.

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Bibliografia

Contributi in riviste scientifiche:

  1. PORTIGLIATTI BARBOS, Vittimologia (voce), in Dig. Disc. Pen., 1999.
  2. MANNOZZI, Giustizia riparativa, in Enciclopedia del diritto-Estratto, Annali X-2017.
  3. PULITANO’, Sul libro dell’incontro fra vittime e responsabili della lotta armata, in Dir. pen. contemp., 18 gennaio 2016.

Contributi in Manuali:

  1. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale – Parte Generale, Milano, 2015.
  2. CASUSCELLI, Nozioni di diritto ecclesiastico, Torino, 2015.

Contributi in saggi:

  1. CERETTI, L. NATALI, Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali, Milano, 2009.
  2. LÉVINAS, Éthique et Infini. Dialogues avec Philippe Nemo, Paris, 1982, trad. it. Etica e infinito. Dialoghi con Philippe Nemo, Roma, 1984.
  3. MANNOZZI, G. LODIGIANI, Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Bologna, 2015.

Contributi giurisprudenziali:

Corte Cost., 11 aprile 1989, n. 203, Pres. Saja in G. CASUSCELLI, Nozioni di diritto ecclesiastico, Torino, 2015.

Contributi normativi:

Direttiva 29/2021/UE.

Legge di ordinamento penitenziario (l. 354/1975).

Raccomandazione R (99)19 sulla mediazione in materia penale adottata dal Consiglio d’Europa il 15 settembre 1999.

Contributi in convegni:

SCARDOVELLI, M. GUZZI, L’insurrezione della nuova umanità. La comunicazione non violenta, Atti del Convegno (Trevi, 24-30 luglio).

Ulteriori fonti:

  1. CIAVOLA, Contributo in Carceri: materiali per la riforma. Working Paper, 2015, 198.

Intervista dell’attuale direttrice della Casa di reclusione di Bollate rilasciata il 20 gennaio 2020 sul canale la7-giornalista Tiziana Panella.

Note

[1] M. PORTIGLIATTI BARBOS, Vittimologia (voce), in Dig. Disc. Pen., 1999, p. 341 ss..

[2] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale – Parte Generale, Milano, 2015, p. 34.

[3] Art. 1 direttiva 2012/29/UE

[4] Chiaramente il terzo imparziale è il mediatore.

[5] Art. 12 c.1 lett. a) direttiva n. 29/2012.

[6] Art. 12 c.1 lett. b) direttiva n. 29/2012.

[7] Art. 12 c.1 lett. c) direttiva n. 29/2012.

[8] Art. 12 c.1 lett. d) direttiva n. 29/2012.

[9] Eschilo, (Eleusi, 525 a.C. – Gela, 456 a.C.) è stato un drammaturgo greco antico. Egli è ricordato come il padre della Tragedia greca. Nelle sue opere vi è un unico protagonista il dolore umano, che si intreccia con le esperienze umane.

[10]  G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale – Parte Generale, cit. pp. 6 e ss.

[11] G. CASUSCELLI, Nozioni di diritto ecclesiastico, Torino, 2015, p. 50.

[12] Egli è stato professore di Diritto Penale presso l’Università degli Studi di Milano, è autore di numerose edizioni di manuali di diritto penale, dove oltre a spiegare dettagliatamente i principi più rilevanti del nostro ordinamento penale, elabora altresì numerose dottrine che costituiscono un bagaglio giuridico importante di integrazione allo studio normativo-giuridico.

[13] G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale – Parte Generale, cit., pp. 34-35.

[14] G. MANNOZZI, Giustizia riparativa, in Enciclopedia del diritto-Estratto, Annali X-2017, p. 485.

[15] Art. 3 e 4 della Raccomandazione R (99)19 sulla mediazione in materia penale adottata dal Consiglio d’Europa il 15 settembre 1999.

[16] D. PULITANO’, Sul libro dell’incontro fra vittime e responsabili della lotta armata, in Dir. pen. contemp., 18 gennaio 2016, 13.

[17]  G. MANNOZZI, Giustizia riparativa, in Enciclopedia del diritto-Estratto, cit., p. 484.

[18] G. MANNOZZI, Giustizia riparativa, in Enciclopedia del diritto-Estratto, cit., p. 476.

[19] A. CIAVOLA, Contributo in Carceri: materiali per la riforma. Working Paper, 2015, 198.

[20] A. CERETTI, L. NATALI, Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali, Milano, 2009, 103 e ss.

[21] E. LÉVINAS, Éthique et Infini. Dialogues avec Philippe Nemo, Paris, 1982, trad. it. Etica e infinito. Dialoghi con Philippe Nemo, Roma, 1984, 95.

[22] Legge 354/1975.

[23] Tasso aggiornato al 30 giugno del 2019.

[24] Così si è pronunciata Cosima Buccoliero, l’attuale direttrice della Casa di reclusione di Bollate nell’intervista rilasciata il 20 gennaio 2020 sul canale la7, dalla giornalista Tiziana Panella.

[25] M. SCARDOVELLI, M. GUZZI, L’insurrezione della nuova umanità. La comunicazione non violenta, Atti del Convegno (Trevi, 24-30 luglio).

[26] G. MANNOZZI, Giustizia riparativa, in Enciclopedia del diritto-Estratto, cit., p. 484.

[27] A. CERETTI, La giustizia riparativa di fronte al problema del male. Brevi riflessioni, in G. MANNOZZI, G. LODIGIANI, Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Bologna, 2015, p. 160.

Elisabetta Ficco

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