Premessa.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state più volte investite, in sede di risoluzione di conflitto negativo di giurisdizione, della seguente questione: se spetti al giudice ordinario o al giudice amministrativo conoscere della controversia avente ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni conseguenti alle spese sostenute per l’esecuzione di un contratto di appalto, caducato a seguito dell’annullamento dell’atto di aggiudicazione da parte del T.A.R.
Con la recente ordinanza n. 19677 del 24 settembre 2020, la Suprema Corte ha nuovamente ripercorso le argomentazioni prospettate su quale sia giudice munito della potestas iudicandi in materia.
Per quanto oggi si possa affermare un esplicito riconoscimento della piena risarcibilità delle posizioni giuridiche soggettive, qualora l’esercizio del potere pubblico ne leda l’affidamento posto in essere dal privato, sono diversi i dubbi che tuttora permangono, tra i quali, appunto, il riparto della giurisdizione di fronte a tali fattispecie[1].
L’ordinanza n. 19677/2020 delle sezioni unite quale occasione per una riflessione in tema di giurisdizione.
La controversia originaria aveva ad oggetto la domanda autonoma di risarcimento dei danni proposta dalla società che aveva ottenuto l’aggiudicazione di una gara per l’affidamento di servizi di raccolta e di trasporto dei rifiuti solidi urbani, successivamente annullata dal T.A.R. competente, perché illegittima.
A fronte delle spese sostenute per l’esecuzione del contratto, avvenuta anche dopo l’annullamento dell’aggiudicazione al fine di assicurare la continuità del pubblico servizio, nelle more dell’individuazione di un altro affidatario, tale società conveniva in giudizio l’Ente Comunale dinanzi al giudice ordinario.
Quest’ultimo, tuttavia, reputava la cognizione della controversia in capo al giudice amministrativo. L’iter argomentativo seguito concludeva che l’illegittimità provvedimentale, attribuibile all’esercizio di una funzione pubblica, fosse la causa del danno. E che pertanto, la condotta dell’Amministrazione portava alla lesione di una posizione qualificabile in un interesse legittimo, data la pretesa del privato a che l’attività amministrativa fosse rispettosa del principio di buon andamento di cui all’art. 1 della legge 241/90 (oltre alla copertura costituzionale di cui all’art. 97).
A fronte di tale statuizione, la società successore a titolo particolare della società attrice presentava ricorso in riassunzione dinanzi al giudice amministrativo, riproponendo le suindicate domande; tuttavia il T.A.R. adito dubitava a sua volta della propria giurisdizione, sollevando così conflitto negativo di giurisdizione.
Ai fini del giudizio sul regolamento di giurisdizione, la Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento consolidatosi negli ultimi anni, indicando il giudice ordinario quale titolare della potestas iudicandi. Alla base della pronuncia, vi è la considerazione che esuli dalla giurisdizione amministrativa la domanda con la quale il destinatario di un provvedimento ampliativo (ma illegittimo) della sua sfera giuridica chieda il risarcimento del danno subìto a causa dell’emanazione e del successivo annullamento di tale atto. In passato, infatti, si era già osservato come non sia l’esercizio del potere amministrativo in sé a rilevare, quanto “l’efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole di un atto apparentemente legittimo”[2].
L’orientamento maggioritario
Per meglio affrontare la questione delineata nel paragrafo precedente, è necessario evidenziare come, negli anni passati, non siano mancate pronunce con linee interpretative differenti. L’azione risarcitoria per lesione dell’affidamento, riposto nella legittimità dell’atto amministrativo poi annullato, era considerata tra le materie della giurisdizione amministrativa esclusiva, in ragione del contesto di stampo pubblicistico nel quale la complessiva condotta dell’Amministrazione si collocava (e si colloca tuttora)[3].
Tuttavia, le ordinanze nn. 6594, 6595, 6596 del 2011 hanno superato tale orientamento, definendo il principio per cui i) la giurisdizione amministrativa presuppone l’esistenza di una controversia sul legittimo esercizio di un potere autoritativo ed è preordinata ad apprestare tutela contro l’agire pubblicistico della P.A. e ii) l’attribuzione al giudice amministrativo della tutela risarcitoria costituisce uno strumento complementare rispetto alla tutela demolitoria, attuabile nel momento in cui il danno di cui si chiede il risarcimento sia casualmente collegato all’illegittimità del provvedimento amministrativo.
La tutela risarcitoria può essere invocata davanti al giudice amministrativo soltanto qualora il danno sia conseguenza immediata e diretta dell’illegittimità dell’atto impugnato, non costituendo il risarcimento del danno materia di giurisdizione esclusiva, ma solo uno strumento di tutela ulteriore e, di completamento, rispetto a quello demolitorio[4].
In altri termini, perché al giudice amministrativo spetti statuire sulla fattispecie, la causa petendi dell’azione di danno dev’essere l’illegittimità del provvedimento della Pubblica Amministrazione[5].
Differentemente, la causa petendi della domanda qui presa in esame non è l’illegittimità del provvedimento amministrativo bensì la lesione dell’affidamento dell’attore nella legittimità del medesimo. L’atto, ancorché illegittimo, non ha prodotto alcun danno al suo destinatario, in quanto favorevole: il privato che instaura il giudizio non mette in discussione l’illegittimità dell’atto amministrativo annullato ope judicis, ma lamenta la lesione del suo affidamento sulla legittimità dell’atto annullato e ne chiede il risarcimento per aver orientato le proprie scelte negoziali o imprenditoriali confidando nella relativa legittimità[6].
Si tratta, quindi, di una fattispecie complessa costituita dall’emanazione dell’atto favorevole illegittimo, dall’incolpevole affidamento del beneficiario nella sua legittimità e dal successivo (legittimo) annullamento dell’atto stesso. La lesione non discende dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo che si estrinseca nel provvedimento, bensì dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, afferenti al diritto privato, cui si deve uniformare il comportamento della Pubblica Amministrazione. La violazione di tali regole implica che “non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A. le regole di correttezza e buona fede non sono regole di validità (del provvedimento), ma regole di responsabilità (per il comportamento complessivamente tenuto)”[7].
Non sussiste alcun collegamento tra il comportamento dell’Amministrazione e l’esercizio del potere nel momento in cui il comportamento della P.A. sia lesivo dell’affidamento del privato perché non conforme ai canoni di correttezza e buona fede, previsti ai sensi dell’art. 1337 c.c.
Dal 2011 ad oggi, il principio espresso risulta ripreso e confermato da diverse pronunce dei giudici di legittimità[8], nelle quali ricorre l’affermazione che la controversia relativa ai danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento legittimamente annullato, non sia una lesione di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto soggettivo, da qualificarsi come “diritto alla conservazione dell’integrità del patrimonio”. Pertanto, pur non essendo mancate pronunce poco favorevoli all’orientamento maggioritario delineatosi negli ultimi anni, sembra potersi affermare che la giurisdizione appartenga al giudice ordinario.
Verso il riconoscimento della responsabilità da contatto sociale
Da ultimo, seppur la pronuncia di cui sopra – ordinanza n. 19677 del 24 settembre 2020 – si sia soffermata unicamente sulle questioni di giurisdizione, pare opportuno sviluppare alcune considerazioni concernenti la configurabilità della responsabilità in capo Pubblica Amministrazione, nella fase in cui l’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione si è concluso e il proprio comportamento sia interamente regolato dal principio della buona fede.
Tale responsabilità sembra doversi ricondurre al paradigma della responsabilità da contatto sociale, qualificato dallo status della Pubblica Amministrazione, quale soggetto tenuto all’osservanza della legge come fonte della legittimità dei propri atti.
Il rapporto tra il privato e la Pubblica Amministrazione – alias “il contatto sociale” – implica, a carico delle parti, non obblighi di prestazione, bensì reciproci obblighi di buona fede, protezione e informazione[9].
Il dovere di comportarsi secondo correttezza, buona fede e salvaguardia rappresenta, infatti, una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale e grava reciprocamente tra i consociati, in particolar modo quando si instaurano momenti socialmente o giuridicamente qualificati, tali da generare ragionevoli affidamenti sull’altrui condotta corretta e protettiva[10].
Cosicché, come persuasivamente affermato dal Consiglio di Stato nella già citata sentenza n. 5 del 2018, “da chi esercita, ad esempio, un’attività professionale “protetta” (ancor di più se essa costituisce anche un servizio pubblico o un servizio di pubblica necessità) e, a maggior ragione, da chi esercita una funzione amministrativa, costituzionalmente sottoposta ai principi di imparzialità e buon andamento (art. 27 Cost.), il cittadino si aspetta uno sforzo maggiore in termini di correttezza, lealtà, protezione e tutela dell’affidamento”.
La questione è stata oggetto di un acceso dibattito giurisprudenziale volto a qualificare la relazione tra P.A. e privato (che con questa sia entrato in relazione). La giurisprudenza più recente[11] sembra aver accolto un’interpretazione riconducibile allo schema della responsabilità da rapporto o da contatto sociale qualificato, da inquadrare nell’ambito della responsabilità contrattuale per inadempimento, pur quando esso non abbia fonte in un contratto. Il contatto sociale tra soggetto pubblico e privato è fonte di obbligazioni di protezione, pur non configurandosi un negozio bilaterale né tantomeno un rapporto giuridico vero e proprio.
Ciononostante, benché spesso si sia cercato di ricondurre tale responsabilità alla natura extracontrattuale[12], la giurisprudenza tende a collocarla ben distante dalla responsabilità aquiliana, tradizionalmente delineata presupponendo l’assenza di un rapporto tra il danneggiato e il danneggiante[13]. Il dovere che si delinea in termini di correttezza, lealtà e tutela dell’affidamento non sorge da un contratto, ma – appunto – dal cosiddetto “contatto sociale” che si instaura tra l’Amministrazione e il cittadino, in virtù delle garanzie che assistono quest’ultimo, soggetto destinatario dell’azione amministrativa.
Conclusioni
Da quanto illustrato emerge, dunque, come i contrasti in merito alla giurisdizione siano sempre più risolti, distinguendo tra il piano dell’illegittimità dell’atto e il profilo d’illiceità del comportamento. La Pubblica Amministrazione è chiamata a rispondere dei danni nel caso in cui il privato, avendo ottenuto l’aggiudicazione di una gara per l’appalto di un pubblico servizio, successivamente annullata dal giudice amministrativo, deduca la lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento di aggiudicazione apparentemente legittimo.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che tale tutela risarcitoria, proposta come domanda autonoma, richieda la giurisdizione del giudice ordinario, dal momento in cui la condotta della P.A. recriminata sia lesiva dell’affidamento del privato perché non conforme ai canoni di correttezza e buona fede. La P.A. risponde dei danni nel momento in cui adotta provvedimenti illegittimi che escludono, comprimono, eliminano o ritardano ingiustamente la realizzazione di un bene della vita che spettava al privato. La ricostruzione prospettata conduce poi all’affermazione di forme di responsabilità dell’Amministrazione per comportamenti contrari ai principi di correttezza, ravvisabili nell’ambito della responsabilità contrattuale per inadempimento.
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Note
[1] M.A. Sandulli, Il risarcimento del danno nei confronti delle Pubbliche amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove questioni, in Federalismi.it, 2011.
[2] Corte di Cassazione, ord. n. 17865/2015.
[3] Corte di cassazione, sent. 8511/2009; ex multis, T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, 20 giugno 2012, n. 312; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 3 luglio 2012, n. 3147.
[4] Corte di Cassazione, SU, n. 1654/2018.
[5] A. Travi, “Nota alle tre ordinanze delle Sezioni Unite” in Foro.it, 2011, p. 2398 e seguenti.
[6] Corte di Cassazione, n. 17586/2015.
[7] Consiglio di Stato nella sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 5 del 2018 (p.34).
[8] Corte di Cassazione, nn. 17586/2015; 12799/2017; 15640/2017; 19171/2017; 1654/2018; 4996/2018; 22435/2018; 32365/2018; 4889/2019; 6885/2019; 12635/2019.
[9] F. Fracchia, Responsabilità da contatto: profili problematici, in Foro it., 2002, III, 18 ss.
[10] Corte di Cassazione, n. 17586/2015.
[11] Corte di Cassazione, n. 8236 del 28 aprile 2020.
[12] Pronunce in cui si è cercato di riferire natura aquiliana a tale responsabilità: Cass. civ., Sez. I, 10 dicembre 1987, n. 9129; T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 3 giugno 2002, n. 3258; Cons. Stato, Sez. IV, 14 gennaio 2013, n. 156.
[13] In primis, corte di Cassazione, n. 157 del 2003; poi Corte di Cassazione n. 24382/2010; Corte di Cassazione n. 24438/2011; Corte di Cassazione n. 14188/16; Corte di Cassazione n. 25644/2017.
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