(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 671)
Il fatto
Con atto rivolto al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in funzione di giudice dell’esecuzione, veniva richiesta l’applicazione della disciplina della continuazione ai sensi dell’art. 671 c.p.p. ma il giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza.
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questo provvedimento veniva proposto dal difensore dell’istante ricorso per Cassazione deducendo vizio di motivazione con riferimento al mancato accoglimento della richiesta incidentale posto che i reati, per cui era stata richiesta la continuazione, ad avviso della difesa, erano perfettamente omogenei, commessi con le stesse modalità fermo restando che l’esclusione del vincolo della continuazione si sarebbe tra l’altro posta logicamente e giuridicamente in contrasto con quanto affermato in sede di merito.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva ritenuto fondato per le seguenti ragioni.
Prima di entrare nel merito della questione, gli Ermellini reputavano opportuno prima procedere alla disamina della giurisprudenza di legittimità formatasi in subiecta materia.
Ciò posto, si evidenziava a tal riguardo come sia stato postulato, per l’appunto in sede nomofilattica, da un lato, che, in tema di applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso, caratterizzante l’istituto disciplinato dall’art. 81 c.p., comma 2, postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia unitariamente deliberato una serie di condotte criminose e non si identifica con il programma di vita delinquenziale del reo che esprime, invece, l’opzione dello stesso a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati; essi, seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a priori nelle loro principali coordinate, ma rivelano una generale propensione alla devianza che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali (Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016), dall’altro, che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio – temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita e, per detto riconoscimento, è richiesto, inoltre, che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati, se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U., n. 28659 del 18/05/2017), dall’altro lato ancora, che la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza non è condizione necessaria o sufficiente ai fini del riconoscimento della continuazione ma ne costituisce comunque un indice rivelatore che deve formare oggetto di specifico esame da parte del giudice dell’esecuzione qualora emerga dagli atti o sia stato altrimenti prospettato dal condannato (Sez. 1, n. 18242 del 04/04/2014).
Detto questo, sempre per quanto concerne la giurisprudenza di legittimità ordinaria, veniva altresì fatto presente come fosse stato dedotto in quella sede che la valutazione in ordine alla sussistenza, in relazione alle concrete fattispecie, dell’unicità del disegno criminoso, è compito del giudice di merito la cui decisione sul punto, se congruamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 10366 del 28/05/1990) fermo restando che l’indagine, che si impone alla riflessione del giudice chiamato a delibare un’istanza di applicazione della disciplina della continuazione, deve concentrarsi su tre essenziali problemi: dapprima, verificare la credibilità intrinseca, sotto i profili della logica e della congruità, dell’asserita esistenza di un unico, originario programma delittuoso per poi analizzare i singoli comportamenti incriminati per individuare le particolari, specifiche finalità che appaiono perseguite dall’agente e, infine, verificare se detti comportamenti criminosi, per le loro particolari modalità, per le circostanze in cui si sono manifestati, per lo spirito che li ha informati, per le finalità che li ha contraddistinti, possano considerarsi, valutata anche la natura dei beni aggrediti, come l’esecuzione, diluita nel tempo, del prospettato, originario, unico disegno criminoso (Sez. 1, n. 1721 del 22/04/1992).
Oltre a ciò, viene rilevato, sempre richiamando un precedente della Cassazione, che il giudice dell’esecuzione, investito di una richiesta ai sensi dell’art. 671 c.p.p., per il riconoscimento del vincolo della continuazione, pur godendo di piena libertà di giudizio, non può trascurare la valutazione già compiuta in sede cognitoria ai fini della ritenuta sussistenza di detto vincolo tra reati commessi in un lasso di tempo al cui interno si collocano, in tutto o in parte, quelli oggetto della domanda sottoposta al suo esame e, di conseguenza, qualora non ritenga di accogliere tale domanda anche solo con riguardo ad alcuni reati maturati in un contesto di prossimità temporale e di medesimezza spaziale, è tenuto a motivare la decisione di disattendere la valutazione del giudice della cognizione in relazione al complessivo quadro delle risultanze fattuali e giuridiche emergenti dai provvedimenti dedotti nel suo procedimento (Sez. 1, n. 54106 del 24/03/2017).
Orbene, terminato questo excursus giurisprudenziale, i giudici di piazza Cavour evidenziavano come, nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione, nel rigettare l’istanza presentata ai sensi dell’art. 671 c.p.p., avesse omesso di considerare quanto statuito dal giudice di merito (nella fattispecie in esame: il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma) essendosi limitato ad osservare la distanza temporale intercorsa tra il primo e l’ultimo reato di rapina.
L’ordinanza impugnata veniva quindi annullata con rinvio al giudice dell’esecuzione a cui era demandato il compito di procedere ad un nuovo esame senza incorrere nei vizi riscontrati.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante in quanto in essa si spiega in che modo la continuazione compiuta in sede di cognizione deve essere presa in considerazione in sede esecutiva.
Difatti, in questa pronuncia, citandosi un precedente conforme, viene postulato che il giudice dell’esecuzione, investito di una richiesta ai sensi dell’art. 671 c.p.p., per il riconoscimento del vincolo della continuazione, pur godendo di piena libertà di giudizio, non può trascurare la valutazione già compiuta in sede cognitoria ai fini della ritenuta sussistenza di detto vincolo tra reati commessi in un lasso di tempo al cui interno si collocano, in tutto o in parte, quelli oggetto della domanda sottoposta al suo esame e, di conseguenza, qualora non ritenga di accogliere tale domanda anche solo con riguardo ad alcuni reati maturati in un contesto di prossimità temporale e di medesimezza spaziale, è tenuto a motivare la decisione di disattendere la valutazione del giudice della cognizione in relazione al complessivo quadro delle risultanze fattuali e giuridiche emergenti dai provvedimenti dedotti nel suo procedimento.
Questa sentenza, dunque, può essere validamente richiamata allorchè venga violato questo principio di diritto.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, quindi, non può che essere positivo.
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