Il caso
Il fideiussore, unitamente alla società, poi dichiarata fallita nel corso del processo, proponeva opposizione ad un decreto ingiunto di euro 123.672,32, quale saldo debitore di un conto corrente, lamentando che la Banca nel corso del rapporto aveva applicato illegittimamente: a) la commissione di massimo scoperto ; b) le valute c.d. “fittizie”; c) gli interessi usurari.
Si costituiva in giudizio la banca che contestava le doglianze e chiedeva il rigetto dell’opposizione.
Solo con la comparsa conclusionale l’opponente eccepiva che era nulla la fideiussione da egli sottoscritta. per contrasto con l’articolo 2 della L. n. 287 del 1990.
In particolare, l’opponente deduceva che sono nulle le fideiussioni prestate a garanzia delle operazioni bancarie (c.d. “fideiussioni omnibus”) conformi allo schema predisposto dall’Associazione B.I., e segnatamente, alla luce del Provv. n. 55 del 2 maggio 2005 della B.I.
L’eccezione di nullità sollevata in comparsa conclusionale
IL Tribunale ha, preliminarmente, ritenuto che , ancorché formulata per la prima volta nella comparsa conclusionale, l’eccezione di nullità della fideiussione deve ritenersi ammissibile.
E’ vero, ha osservato il giudicante, che “è pacifico in giurisprudenza (cfr. Cass. Civ., n. 98/2016) che la comparsa conclusionale ha la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni già ritualmente proposte dalla parte nel corso del giudizio, per cui allorquando in tale scritto sia prospettata per la prima volta una questione nuova, il Giudice non può e non deve pronunciarsi al riguardo….tuttavia tale principio, che si condivide, va contemperato con la disciplina in materia di nullità, che ai sensi dell’articolo 1421 del Codice Civile può essere rilevata d’ufficio dal Giudice in ogni stato e grado del processo ….Orbene, considerato il dettato dell’articolo 1421 c.c. e l’interpretazione pretoria più recente, deve ritenersi che se la “quaestio nullitatis” è rilevabile anche d’ufficio dal Giudice, in ogni stato e grado del processo, allora non può essere preclusa alla parte la possibilità di sollevare la relativa questione con la comparsa conclusionale, tenuto conto peraltro che in tal modo è assicurato il rispetto del contraddittorio poiché la controparte ben può difendersi con la memoria di replica”.
La nullità totale del contratto
Nel merito il Giudice di primo grado ha ritenuto che il contratto di garanzia debba essere dichiarato totalmente nullo.
A tale proposito ha affermato “di aderire all’orientamento espresso dalla Suprema Corte, dapprima con ordinanza n. 28910/2017 e, più di recente ribadito con sentenza n. 21878 del 15/6/2019, secondo cui il mero dato della coincidenza oggettiva delle condizioni contrattuali pattuite con quelle di cui agli articoli 2), 6) ed 8) del Modulo A è condizione necessaria e sufficiente per ritenere che l’invalidità dell’intesa “a monte” tra Istituti di credito, volta a restringere la concorrenza, si estenda in via derivata al contratto di garanzia “a valle”, stipulato tra la singola Banca ed il singolo garante, poiché appare evidente che l’intesa “a monte”, ancorché conclusa tra soggetti diversi da quelli che stipuleranno il contratto “a valle” ha quale finalità unica ed esclusiva, quella di imporre in modo generale ed uniforme a tutti i contraenti le pattuizioni convenute tra le Banche, in tal modo ripercuotendosi inevitabilmente, quale effetto naturale, sui singoli contratti di garanzia”.
Ha quindi escluso che la nullità per la natura “anticoncorrenziale” della fideiussione “omnibus” possa essere parziale, cioè limitata alle sole clausole in essa contenute riproduttive delle condizioni predisposte in modo restrittivo della concorrenza da parte degli Istituti di credito.
Infatti, osserva il Tribunale, “ sebbene la Corte di Cassazione né con la pronuncia n. 29810/2017 né con quella n. 13846/2019 abbia precisato se le clausole vietate determinino la nullità dell’intero contratto o la sostituzione delle stesse con la normativa codicistica, deve escludersi l’applicabilità della nullità parziale ex art. 1419 c.c. perché la gravità delle violazioni in esame, – che incidono pesantemente sulla posizione del garante, aggravandola in modo significativo – rispetto ai superiori valori di solidarietà, muniti di rilevanza costituzionale (art. 2 Cost.), che permeano tutta l’impianto dei rapporti tra privati, dalla fase prenegoziale (art. 1137 c.c.) a quella esecutiva (artt. 1175, 1375 c.c.), ben giustifica che sia sanzionato l’intero agire dei responsabili di quelle violazioni; in altri termini, nell’ottica di assicurare alla nullità la sua funzione “sanzionatoria”, in questo caso di comportamenti precontrattuali e contrattuali caratterizzati da contrarietà a buona fede ed ai canoni minimi di solidarietà sociale, è necessario assicurare in questo caso alla più grave forma di patologia del contratto la sua massima manifestazione, senza consentire che, in nome del principio di conservazione degli atti giuridici, possano essere salvaguardate le restanti pattuizioni o, addirittura, che si dia vita ad un’operazione “ortopedica” di sostituzione eteronoma di clausole ex articolo 1339 c.c. Soltanto attraverso una siffatta interpretazione, infatti, è consentito realizzare quella funzione di “private enforcement” a tutela della concorrenza che l’ordinamento ormai attribuisce anche ai privati cittadini (come da ultimo certifica il recepimento della Direttiva n. 2014/104/EU), nonché di scoraggiare gli Istituti di credito dal fare applicazione di clausole che la B.I., nel suo ruolo di Autorità garante della concorrenza tra banche, ha ritenuto restrittive della concorrenza”.
La decisione
Sulla base di tale motivazione il Tribunale ha ritenuto che l’intero contratto di fideiussione è affetto da nullità perché conforme allo schema contrattuale elaborato dall’ABI, con la conseguenza che, essendo la garanzia personale dall’opponente sottoscritta nulla, non vi è alcun obbligo per lo stesso nei confronti della Banca opposta di corrispondere la somma oggetto di ingiunzione.
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