La violazione dell’art. 192 c.p.p. non può essere dedotto come motivo di ricorso per Cassazione a norma dell’art. 606, c. 1, lett. c), c.p.p.

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(Riferimenti normativi: Cod. proc. pen., artt. 192, 606)

(Ricorso dichiarato inammissibile)

Il fatto

La Corte di Appello di Perugia, in riforma della decisione del Tribunale di quella stessa città, che aveva riconosciuto l’imputato colpevole del reato di atti persecutori, l’assolveva per insussistenza del fatto.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione la parte civile che, per il tramite del difensore, svolgeva un unico motivo con il quale denunciava violazione e falsa applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e insussistenza, insufficienza e illogicità della motivazione dolendosi che la Corte di appello, pur avendo ritenuto il narrato della persona offesa pienamente attendibile, avesse, tuttavia, escluso la rilevanza penale della condotta dell’imputato sulla base della ricostruzione del movente che confondeva con l’elemento psicologico del reato e, quindi, attraverso un iter argomentativo, a suo avviso, illogico, perveniva contraddittoriamente alla pronuncia assolutoria.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

Si osservava prima di tutto come dovesse condividersi l’orientamento giurisprudenziale che non consente, in linea generale, di fare leva sulla pretesa violazione, in sé, dell’art. 192 cod. proc. pen., onde radicare un ammissibile ricorso di legittimità dovendosi ribadire che «Poiché la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata» ( tra le altre, Sez. 6 – , n. 4119 del 30/04/2019; Sez. 6, n. 7336 del 08/01/2004; Sez. 1, n. 9392 del 21/05/1993; in conformità, con riferimento allo specifico aspetto della non ricorribilità per pretesa violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. in relazione alla valutazione operata dai giudici di merito sulla attendibilità dei testimoni di accusa, cfr. Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012).

Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente che «La specificità dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen., dettato in tema di ricorso per cassazione al fine di definirne l’ammissibilità per ragioni connesse alla motivazione, esclude che tale norma possa essere dilatata per effetto delle regole processuali concernenti la motivazione, attraverso l’utilizzazione del vizio di violazione di legge di cui alla lettera e)- dello stesso articolo. E ciò, sia perché la deducibilità per cassazione è ammessa solo per la violazione di norme processuali stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, sia perché la puntuale indicazione di cui al punto e) ricollega ai limiti in questo indicati ogni vizio motivazionale; sicché il concetto di mancanza di motivazione non può essere utilizzato sino a ricomprendere ogni omissione od errore che concernano l’analisi di determinati, specifici elementi probatori» (Sez. 1, n. 1088 del 26/11/1998; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018).

Dunque, una volta escluso che tale violazione potesse essere riconducibile alla categoria della violazione di legge, gli Ermellini rilevavano che il motivo di ricorso con il quale è dedotta violazione del criterio di giudizio declinato dall’art. 192 cod. proc. pen. con riguardo alla prova rimane incentrato su un preteso vizio di motivazione, come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (Sez. 6 n. 4119 del 30/04/2019) fermo restando che la disposizione di cui all’art. 606, comma I, lett. e), c.p.p., se letta in combinazione con l’art. 581, comma I, lett. c), c.p.p. (a norma del quale il giudice deve dare dato conto esaustivamente delle ragioni della propria decisione attraverso una motivazione congrua, immune da illogicità di sorta, contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Sez. 1, n. 624 del 05/05/1967, e, da ultimo, Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003,) è, pertanto, sottratta a ogni sindacato in sede di legittimità.

Orbene, a fronte di ciò, veniva rilevato come, nel caso di specie, l’assoluzione pronunciata dalla Corte di appello fosse fondata sulla considerazione – tratta dal compendio probatorio – che, nel periodo temporale in contestazione (anno 2010), successivo alla fine della pregressa relazione sentimentale (dal 2008 quando si era instaurato un rapporto di natura solo amicale), la ricorrente era tossicodipendente e l’imputato, a sua volta, affrancatosi da quella stessa condizione, era animato dal desiderio di volere aiutare a tutti i costi l’amica a venirne fuori.

La versione dei fatti riferita dal padre dell’imputato, del resto, trovava conforto nell’analisi dei messaggi sms inviati dalla parte civile all’imputato, fino al giorno prima dell’arresto di questi, dai quali si evinceva come la donna continuasse a mantenere un legame affettivo con l’imputato sul cui appoggio confidava e dunque, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, la Corte di appello, esponendo un ragionamento logicamente supportato, per un verso, non aveva ravvisato il dolo persecutorio del giovane e, dall’altro, neppure l’evento stesso del reato non avendo riscontrato l’insorgere nella vittima di uno stato di reale ansia e preoccupazione.

Pertanto, alla stregua di ciò, la Suprema Corte riteneva come la valutazione della Corte di appello fosse coerente con consolidati principi di diritto e non fossero pertanto ravvisabili i dedotti vizi di motivazione mentre la rivalutazione degli elementi fattuali, in assenza di lacune e/o contraddizioni motivazionali dei giudici del merito, costituiva, sempre secondo il Supremo Consesso, una valutazione di fatto che si sottraeva al sindacato di legittimità.

Da ultimo, veniva fatto presente come non potesse essere presa in considerazione la richiesta di liquidazione delle spese di giudizio in favore della ricorrente, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ostandovi la espressa previsione di cui all’art. 130 bis del D.P.R. n. 115/2002, comma 1, inserito dall’ art. 15, comma 1, D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla L. 1. dicembre 2018, n. 132, a tenore del quale “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è dichiarata inammissibile, al difensore non è liquidato alcun compenso.”

Conclusioni

La decisione in oggetto è interessante nella parte in cui chiarisce in che modo è deducibile in Cassazione la violazione dell’art. 192 c.p.p..

Difatti, in questa pronuncia, dopo essere postulato, citandosi giurisprudenza conforme, che stante il disposto dall’art. 606, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata, si afferma invece come tale doglianza, ossia quella con la quale è dedotta violazione del criterio di giudizio declinato dall’art. 192 cod. proc. pen. con riguardo alla prova, rimanga incentrata su un preteso vizio di motivazione come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame.

Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ove si voglia ricorrere per Cassazione deducendo la violazione di tale norma procedurale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questa tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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