Cosa distingue il reato di truffa consumata attraverso la prospettazione di un pericolo rappresentato dalla minaccia alla libertà personale e di iniziativa economica della vittima e quello di estorsione

Scarica PDF Stampa
(Riferimenti normativi: Cod. pen., artt. 340, 629)

(Ricorso rigettato)

Il fatto 

La Corte di appello di Torino, con la sentenza impugnata, confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Biella con la quale il ricorrente era stato condannato per concorso nel delitto di estorsione aggravato dall’avere commesso il fatto in più persone riunite con le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alla contestata aggravante ed alla recidiva.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso tale sentenza ricorreva l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione della legge penale, sostanziale e processuale e vizio di motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, c ed e), avendo la Corte illogicamente motivato il convincimento relativo alla errata qualificazione giuridica del fatto (estorsione, aggravata dalle più persone riunite, in luogo della truffa, aggravata dalla circostanza di aver ingenerato nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario, art. 640 c.p., comma 2, n. 2) riconosciuto nel giudizio di merito così come erroneamente la Corte divisava estorsione e non truffa aggravata valorizzando l’effetto suscitato dalla condotta sulla vittima laddove il criterio distintivo tra le due fattispecie non può tener conto degli effetti determinati dalla condotta; 2) violazione della legge penale, sostanziale e processuale e vizio di motivazione avendo la Corte territoriale erroneamente qualificato il fatto non apprezzando la evidente prospettazione di un male immaginario ad opera di terzi cosicché i fatti contestati in imputazione integravano il delitto di truffa aggravata, ai sensi del n. 2, comma 2, c.p. e non quello di estorsione; 3) violazione della legge penale, sostanziale e processuale e vizio di motivazione avendo la Corte territoriale illogicamente argomentato il proprio convincimento colpevolista valorizzando atteggiamenti del tutto neutri tenuti dal ricorrente in occasione del secondo incontro con la vittima laddove l’efficacia decettiva era stata già realizzata da costei in un’altra precedente occasione.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva reputato infondato per le seguenti ragioni.

Si osservava prima di tutto in via pregiudiziale come i primi due motivi di ricorso potessero essere trattati unitariamente.

Premesso ciò, gli Ermellini evidenziavano che la diagnosi differenziale tra il reato di truffa e quello di estorsione postula come risolti i seguenti interrogativi: a) se il male minacciato sia prospettato come reale o immaginario; b) se la prospettazione di tale male produca, in concreto, una manipolazione della volontà riconducibile alla induzione in errore, piuttosto che ad una vera e propria coazione della volontà.

Orbene, per quanto riguarda la prospettazione di un effetto negativo (quale conseguenza di un “rifiuto” patrimoniale) che abbia – comunque e ragionevolmente – come conseguenza una reazione di “evitamento” del male prospettato, quel che rileva, ai fini del corretto inquadramento del fatto, secondo la Suprema Corte, è se tale reazione sia riconducibile ad una condotta fraudolenta, piuttosto che ad una irresistibile coartazione ossia se la volontà della vittima risulti semplicemente manipolata o, piuttosto, irresistibilmente coartata (Sez. 2, n. 21974, del 18/4/2017).

Detto questo, veniva rilevato che la coazione della volontà si distingue dalla manipolazione agita attraverso l’induzione in errore in quanto solo nel primo caso l’azione illecita si presenta irresistibile atteso che l’induzione in errore è azione diversa dalla costrizione, sebbene entrambe le condotte siano idonee a deviare il fisiologico sviluppo dei processi volitivi: la condotta induttiva, anche quando si manifesta con la esposizione di pericoli inesistenti, si differenzia dalla condotta estorsiva proprio nella misura in cui la volontà risulta “diretta” e “manipolata” ma non irresistibilmente “piegata“.
L’idoneità della rappresentazione del male a “dirigere” piuttosto che “piegare” la volontà non può essere stabilita in astratto ma necessita di uno scrutinio che verifichi in concreto la consistenza della azione minatoria, anche rispetto alla effettiva resistenza della vittima.

Ebbene, secondo il Suprema Consesso, tale indagine di merito non può che analizzare l’idoneità coercitiva della minaccia nel momento in cui la stessa viene posta in essere a nulla rilevando che ex post il male prospettato risulti irrealizzabile.

Invero, se si individua nella concreta efficacia coercitiva della minaccia l’attributo della condotta utile per distinguere la truffa dall’estorsione, perde rilevanza anche la eventuale irrealizzabilità del male prospettato essendo l’analisi richiesta limitata alla verifica ex ante della concreta efficacia coercitiva della azione minatoria (in questi termini, Sez. 2, n. 11453, del 17/2/2016).
La valutazione della capacità di concreta ed effettiva coazione della minaccia è, quindi, ancora una volta, un’indagine di merito che deve essere effettuata prendendo in esame le circostanze del caso concreto ovvero sia la potenza oggettiva della minaccia che la sua soggettiva incidenza sulla specifica vittima e che se congruamente e logicamente motivata dal giudice di merito, non è ulteriormente sindacabile nel giudizio di legittimità (Cass. sez. 6, n. 27996, del 28/5/2014) dato che la idoneità coercitiva del pericolo prospettato va divisata sulla base di indici sintomatici esterni, da apprezzare nel giudizio di merito e argomentare con motivazione congrua, non potendo di certo farsi dipendere la qualificazione giuridica del fatto dall’esame obiettivo diretto (non ancora fortunatamente praticabile) della psiche della vittima al momento del fatto.

D’altro canto, sempre a parere dei giudici di piazza Cavour, il “pericolo immaginario” non può che essere un “pericolo obiettivamente inesistente” e tale pericolo “indotto” nella psiche della vittima non può che essere il frutto di artifici o raggiri ossia di mezzi che non realizzano veruna costrizione della volontà ma soltanto inducono in errore sul futuro inverarsi di un pericolo inesistente che la vittima (proprio per l’errore indotto dai raggiri) si rappresenta invece come realizzabile.

Nel caso di specie, correttamente, dunque, per gli Ermellini, la condotta costrittiva tenuta sia dall’imputato, sia quella esplicitata pag. 5 della sentenza impugnata in occasione della riscossione della somma estorta, doveva essere qualificata come estorsiva.

Tal che, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, veniva affermato il seguente principio di diritto: la distinzione, tra il reato di truffa, consumata attraverso la prospettazione di un pericolo rappresentato dalla minaccia alla libertà personale e di iniziativa economica della vittima ed il reato di estorsione, deve essere effettuata valutando la concreta modalità della condotta dovendosi ritenere che si verte nella ipotesi estorsiva quando il male prospettato si presenta incontrastabilmente derivato dalla volontà potestativa dell’agente e coarta la volontà della vittima rappresentando un evento di danno futuro in ipotesi realizzabile dallo stesso agente; si verte invece nell’ipotesi della truffa quando la minaccia del pericolo irrealizzabile, per la sua intrinseca consistenza, non ha capacità coercitiva, ma si limita ad influire sul processo di formazione della volontà deviandolo attraverso la induzione in errore (similmente Sez. 2, n. 52121, del 25/11/2014; Sez. 2, n, 46084 del 21/10/2015; da ultimo: Sez. 2, n. 24624 del 17/07/2020).

La valutazione della efficacia coercitiva, piuttosto che semplicemente manipolativa della minaccia, quindi, deve essere svolta con apprezzamento di merito da effettuarsi ex ante che, se adeguatamente argomentato in fatto, non è censurabile nel giudizio di legittimità.

Ebbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, i giudici di legittimità ordinaria rilevavano come la Corte territoriale avesse correttamente applicato tali principi divisando invincibile effetto coercitivo in una minaccia credibile, per come rappresentata, cui la stessa persona offesa attribuì efficacia intimidatrice tanto che si preoccupò di attingere al sapere professionale di un legale per orientare le proprie scelte e si rivolse di poi alla polizia giudiziaria per arginare la condotta costrittiva che stava subendo.

Alla luce della corretta qualificazione giuridica attribuita al fatto, si notava infine come la Corte territoriale avesse altresì correttamente apprezzato (pag. 5 della sentenza impugnata) gli elementi di fatto utilizzabili (dichiarazioni della p.o.) ed avesse quindi correttamente ritenuto che la condotta tenuta dal ricorrente nell’occorso avesse concretamente contribuito a rafforzare nella vittima i timori in precedenza già attivati dal correo (non ricorrente) volti a costringere l’offeso a compiere l’atto di disposizione patrimoniale.

Si procedeva pertanto alla reiezione del ricorso proposto condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Conclusioni

La decisione in esame è interessante nella parte in cui si spiega cosa distingue il reato di truffa consumata attraverso la prospettazione di un pericolo rappresentato dalla minaccia alla libertà personale e di iniziativa economica della vittima e quello di estorsione.

Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, viene postulato il principio di diritto secondo cui la distinzione, tra il reato di truffa, consumata attraverso la prospettazione di un pericolo rappresentato dalla minaccia alla libertà personale e di iniziativa economica della vittima ed il reato di estorsione, deve essere effettuata valutando la concreta modalità della condotta dovendosi ritenere che si verte nella ipotesi estorsiva quando il male prospettato si presenta incontrastabilmente derivato dalla volontà potestativa dell’agente e coarta la volontà della vittima rappresentando un evento di danno futuro in ipotesi realizzabile dallo stesso agente; si verte invece nell’ipotesi della truffa quando la minaccia del pericolo irrealizzabile, per la sua intrinseca consistenza, non ha capacità coercitiva, ma si limita ad influire sul processo di formazione della volontà deviandolo attraverso la induzione in errore.

Oltre a ciò, viene altresì asserito che la valutazione della efficacia coercitiva, piuttosto che semplicemente manipolativa della minaccia, deve essere svolta con apprezzamento di merito da effettuarsi ex ante che, se adeguatamente argomentato in fatto, non è censurabile nel giudizio di legittimità.

Tale decisione, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di verificare quale di questi due illeciti penali sia effettivamente configurabile.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

Volume consigliato

 

Sentenza collegata

106162-1.pdf 23kB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento